venerdì 23 dicembre 2011

Le idi di Marzo

Il lato oscuro del potere



Stephen Meyers è il giovane e brillante addetto alla comunicazione di Mike Morris, candidato alle primarie presidenziali del Partito Democratico statunitense. Morris ha fama di essere l'uomo del cambiamento, un uomo integerrimo per cui i valori vengono prima di tutto, lontano da ogni logica politica tradizionale. Stephen lo sostiene con entusiasmo, ma scoprirà a poco a poco che non è tutto oro quello che luccica.

Il quarto film di George Clooney torna a calcare i sentieri della politica, che diventa però questa volta il soggetto principale, e non solo il nemico da combattere come in Good Night and Good Luck. L'analisi che emerge è dura, un colpo allo stomaco e alle speranze riposte da Stephen e dallo spettatore in una politica nuova, aperta, pulita. Clooney ci accompagna in un viaggio che dalla luce porta alle tenebre, in un abisso di corruzione e giochi di potere che coinvolge tutti, persino chi pensava di esserne escluso. Il messaggio è reso ancora più forte dalla scelta di ambientare la storia all'interno del partito democratico, anzichè nel più demonizzato partito repubblicano, come a dire che il marcio sta da tutte le parti, non solo tra quelli che consideriamo i "nemici".

Il film non è particolarmente originale, ma è solido, ben costruito e ben realizzato: il messaggio è forte e chiaro, e alcune scene sono talmente intense che mozzano il fiato. Quella della prova microfono è un piccolo capolavoro, il punto più alto della regia e dell'ottima prova di Ryan Gosling, favorito se ce ne è uno per gli Oscar di quest'anno con questo film e Drive. Lo supporta un cast di contorno d'eccellenza, con Philip Seymour Hoffman misurato ma perfetto, Giamatti ambiguo, viscido ma irresistibilmente simpatico, e Clooney freddo e imperturbabile. Completa il gruppo Evan Rachel Wood, una delle attrici più interessanti ed eclettiche della sua generazione, che ci regala una performance interessante e convincente.

Le Idi di Marzo non è solo un film sulla perdita dell'innocenza individuale: è un film da non perdere che racconta la perdita dell'innocenza di una nazione, di uno stato per cui è diventata più importante l'apparenza della sostanza, e per cui mentire, fare guerre inutili e dannose e trascinare il paese sull'orlo della bancarotta è meno grave che andare a letto con la stagista.

****

Pier

mercoledì 30 novembre 2011

Midnight in Paris

Quando un film è una poesia  

Gil è uno sceneggiatore hollywoodiano di successo. Il suo sogno è di diventare un grande romanziere e, trovandosi a Parigi con la dittatoriale fidanzata, rimane affascinato dalla città e dalla sua storia artistica e culturale. Il suo sogno sarebbe conoscere i grandi del passato, come Hemingway e Scott Fitzgerald, e vivere con loro l'atmosfera della Parigi anni Venti. Il sogno sembra essere destinato a rimanere tale quando una sera, dopo essere salito a bordo di una strana auto d'epoca, Gil si ritrova all'improvviso a viverlo per davvero. 

Midnight in Paris è un atto d'amore per l'arte e per la vita. La nostalgia per il passato, solitamente una presenza solida ma silenziosa nei film di Allen, diviene qui il motore trainante del film, la forza misteriosa che permette a Gil di vivere il suo sogno e conoscere tutti i grandi autori del passato. Saranno proprio loro a fargli riscoprire la bellezza del presente e a fargli capire che la felicità, a volte, può essere trovata nelle piccole cose. 

Allen realizza un film poetico, toccante, pervaso di un amore per l'Arte, di qualunque tipo e genere, ma anche di un grande senso del reale e del quotidiano. Scrittori, pittori, registi: tutti ci vengono presentate come persone normali, affette dalle loro nevrosi e dalle loro piccole manie, e ciononostante così diversi nella loro genialità. Woody ci regala una galleria di personaggi indimenticabili, dall'Hemingway ossessionato dal vero e dall'onesto allo splendido Dalì di Adrien Brody, passando per il Picasso nevrotico e lo Scott Fitzgerald perfetto gentleman d'altri tempi. 
Tra di loro si muove un disorientato ma felice Owen Wilson, che si conferma un attore eccellente anche al di fuori delle pellicole comiche, dotato di un'espressività facciale e di una naturalezza che non si possono insegnare. 

Il tutto è accompagnato da una fotografia magnifica, una colonna sonora come sempre incantevole (su questo Woody non delude mai) e da una sceneggiatura che gestisce il tempo a suo piacimento, dilatandolo o restringendolo quando necessario, e trascinando così lo spettatore all'interno di un sogno ad occhi aperti tanto poetico quanto vero. 

Woody firma un film insolitamente ottimista per i suoi canoni, che lascia spazio all'immaginazione e alla speranza invece che al cinismo o al fatalismo che solitamente caratterizzano i suoi lavori. La magia, come è giusto che sia, non viene spiegata: il passato rimarrà per sempre la nostra "epoca d'oro", ma per vivere pienamente bisogna guardare al futuro, magari camminando a Parigi, sotto la pioggia, accompagnati dalle note di Cole Porter. Da vedere. 

***** 

Pier

sabato 19 novembre 2011

Scialla!

Una bella commedia



Luca è un quindicenne romano con poca voglia di studiare ma una forte passione per la vita. Per farlo recuperare la madre lo manda a ripetizioni da Bruno, un ex romanziere ed insegnante deluso dalla vita che, al di là delle lezioni private, si guadagna da vivere scrivendo biografie di attori, cantanti e pornostar. La loro relazione, basata su una reciproca simpatia e accompagnata da un sereno disinteresse, procede tranquilla, fino a quando la madre di Luca non rivela a Bruno che i due sono in realtà padre e figlio. Gli fa poi promettere che si occuperà di lui per sei mesi, senza rivelargli però la sua identità.

Scialla! (parola gergale romana che significa "stai tranquillo") è il film d'esordio alla regia di Francesco Bruni, storico sceneggiatore di Paolo Virzì. E con i film di Virzì ha in comune l'attenzione per i rapporti famigliari, spesso sottoposti a situazioni-limite che ne testano la tenuta e la solidità. Il film racconta l'incontro-scontro tra due generazioni e due modi di vivere la vita, tra due personaggi che fanno fatica a calarsi nel mondo reale e che, aiutandosi l'un l'altro, riusciranno finalmente a trovare un proprio equilibrio.
La regia del film è semplice ma efficace, e accompagna una storia che scorre piacevolmente, senza pause nè cali di ritmo, grazie anche all'ottima prova degli attori. Bentivoglio è come sempre formidabile, e si cala alla perfezione nei panni di un professore un po' trasandato che ha perso l'appetito per la vita. Accanto a lui brilla per naturalezza ed energia l'esordiente Filippo Scicchitano, che regala al film quel tono spontaneo e quella simpatica cialtroneria che sono perfettamente riassunti nel titolo.

Scialla! è una bella commedia italiana, caratterizzata da un'energia positiva contagiosa e da una costruzione dell'atmosfera che non lascia nulla al caso, dal gergo dei ragazzi alla musica rap italiana che lo accompagna. Francesco Bruni realizza un film che, pur non brillando per originalità, porta una ventata di freschezza nel nostro cinema, una ventata di cui soprattutto in questi anni, si sentiva terribilmente bisogno.

*** 1/2

Pier

Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'unicorno

Freddo ma vitale

  

Tin Tin, giovane e intraprendente reporter, acquista a un mercato delle pulci francese il modellino di un galeone. Il misterioso furto dell'oggetto e la leggenda che avvolge la barca che questo rappresenta, l'Unicorno, spingono Tin Tin e il suo fido cagnolino Milou a prendere parte alla caccia al tesoro più avventurosa della loro vita. 

A più di ottant'anni dall'uscita del primo albo, Steven Spielberg riesce a finalmente a portare sul grande schermo la geniale creazione della matita di Hergè. Per farlo sceglie di affidarsi alla motion capture, la tecnica resa celebre da Zemeckis (Polar Express, A Christmas Carol) che permette di realizzare film di animazione partendo dalle movenze e dalla mimica di attori reali, tra cui non poteva ovviamente mancare Andy Serkis-Gollum. Il risultato è una via di mezzo tra film e cartone animato, un ibrido molto realistico che manca però del calore e dell'umanità che caratterizzano l'animazione. 

Il film inizia con i migliori titoli di testa visti da dieci anni a questa parte, un omaggio al fumetto e ai disegni originali molto apprezzabile e ben fatto, con qualche similitudine con i titoli di un altro film di Spielberg, Prova a prendermi. La storia ha grande ritmo, e si svolge in modo rocambolesco tra i quattro angoli del globo, in una caccia al tesoro che avrebbe fatto felice Jules Verne. Tin Tin, novello Indiana Jones, risolve mistero dopo mistero, segreto dopo segreto, fino ad arrivare a un gran finale ricco di spunti e citazioni. Il protagonista è ritratto in maniera fedele e convincente, e i personaggi di contorno, in particolare il capitano ubriacone Haddock, sono delle perfette spalle da cartoon, divertenti, comiche ma efficaci quando serve. 

Il Tin Tin di Spielberg convince, ed è sicuramente il miglior film d'animazione ad oggi realizzato con il motion capture. Restano tuttavia delle perplessità sulla scelta di questa tecnologia, che sacrifica emozioni e simpatia dei personaggi in nome di un iperrealismo di cui non si sente realmente bisogno. Il film comunque diverte e stupisce, e per una volta il già annunciato sequel ha più di una ragione di esistere. 

*** 

Pier

domenica 6 novembre 2011

Bar Sport

Quando un film non s'ha da fare




Bar Sport, tratto dal libro di Stefano Benni, racconta i personaggi che popolano il Bar Sport di un piccolo paese dell'Emilia a fine anni Settanta. Ciascuno con il suo soprannome, le sue caratteristiche e i suoi piccoli, inconfessabili segreti, i frequentatori del Bar Sport rappresentano lo spaccato di un'Italia provinciale ma vera e solidale, un'Italia che oggi forse non c'è più.

Ci sono libri che non sono fatti per essere trasformati in film. Non perchè siano di scarsa qualità, ma perchè la loro struttura e lo stile di scrittura dell'autore rendono pressochè impossibile la realizzazione di un adattamento che trasmetta le stesse sensazioni ed emozioni trasmesse dalla lettura. La versione di Barney era uno di questi libri, e infatti l'adattamento cinematografico, pur pregevole, si discostava scientemente dal tono e dallo stile del libro, scegliendo un taglio totalmente diverso dopo aver riconosciuto l'impossibilità di tradurre fedelmente l'originale in immagini.

Bar Sport è uno di quei libri: come tutti i libri a episodi manca di un filo narrativo, di una trama lineare che colleghi i personaggi, le vicende, le situazioni. Nel libro sono la meravigliosa scrittura di Benni e la vividezza dei ritratti, oltre all'ambientazione sempre costante, a rendere le varie storie un unicum narrativo, in grado di trasmettere un messaggio unitario nonostante la mancanza di una vera e propria storia.
Tutto questo è impossibile da tradurre fedelmente in un film, e così il film di Massimo Martelli finisce fatalmente per perdere quasi tutto ciò che rendeva piacevole e originale il romanzo e mantenere solo la mancanza di linearità e di evoluzione della trama, un difetto imperdonabile per un'opera cinematografica. Di buono rimangono solo i personaggi, ben delineati e interpretati da un cast eccellente, scelto con cura e attenzione, con Battiston e Bisio protagonisti azzeccati e una serie di ottimi caratteristi nelle parti secondarie (geniale Teocoli nel ruolo playboy fanfarone).

Mancano però l'ironia, le atmosfere e quella vena di assurdo che erano il punto forte del romanzo, e che qui rimangono solo in alcune, sporadiche scene. La colpa di Martelli è quella di non trovare un impianto narrativo adeguato a tradurre in immagini l'opera di Benni, e di limitarsi a replicare la struttura del romanzo, senza però riuscire a ricostruirne l'efficiente meccanismo. Il risultato è una serie di gag in stile Fantozzi, che però rimangono a metà tra l'assurdo di Benni e il grottesco del personaggio di Villaggio, senza riuscire a trovare un'identità precisa.

Bar Sport è dunque un film deludente, sia per chi ha amato il romanzo, sia, e forse persino di più, per chi non lo ha mai letto. Ogni tanto si ride, ma rimane la sensazione che con un pizzico di inventiva in più, forse, si sarebbe potuto fare di meglio.

*1/2

Pier

domenica 30 ottobre 2011

Faust

L'epica quotidianità del male



Faust è il capitolo conclusivo della tetralogia del potere di Alexander Sokurov. Dopo Hitler (Moloch), Lenin (Taurus) e l'imperatore Hirohito (Il sole), il grande cineasta russo volge la sua attenzione a uno dei miti più celebri della letteratura moderna, quel Faust che ha avuto nel capolavoro di Goethe la sua più completa e tragica rappresentazione.

Sokurov affronta il personaggio e la sua leggenda con rispetto per i suoi illustri predecessori, ma allo stesso tempo se ne distacca totalmente. Il suo Faust è un uomo qualunque, privo di quella carica emotiva che lo ha sempre caratterizzato. Il mondo intorno a lui è freddo e cinico, dominato da una natura quasi leopardiana nella sua malignità (e, forse non a caso, il film è stato girato in Islanda), fatta di paesaggi desolati e ostili, esaltati da una fotografia che predilige i grigi e i marroni, con un'assenza quasi totale di luce e colori vivaci.
La vera innovazione, però, Sokurov la apporta al personaggio di Mefistofele, umano, troppo umano, quasi una proiezione del lato malvagio di Faust, una rappresentazione vivente della sporcizia della sua coscienza, disposta a rinunciare all'anima in cambio della passione. Mefistofele è qui sullo stesso piano di Faust, non gli è inferiore, dialoga con lui da pari a pari, vagando per un mondo in cui il suo ruolo di diavolo è sminuito e la sua malvagità non risalta più di troppo. La sua deformità ci ricorda la sua vera natura, ma la viltà e la volgarità del personaggio sono lontanissimi dal Mefistofele di Goethe, maestro di inganni e dotato di grande sapienza.

Sokurov ci porta ancora una volta a passeggio nella banalità del male, e lo fa con il film forse più complesso dell'intera tetralogia, girato in 4:3, con una trama densa di significati ma lenta e priva di azione. Un film che per temi e potenza visiva non può non essere considerato un capolavoro, ma che risulta eccessivamente ermetico e artificialmente "difficile" in numerosi passaggi.
Un film per pochi, insomma, un momento di grandissimo cinema dall'accessibilità però complessa, che rischia di allontanare piuttosto che avvicinare il pubblico dal cinema d'autore. Proprio per questo resto perplesso per la decisione di assegnargli il Leone d'oro, un premio senza dubbio meritato per la forza dell'opera, ma che avrebbe forse recato maggior beneficio al cinema "alto" se fosse andato a un film ugualmente meritevole, ma meno complesso dal punto di vista filologico e interpretativo.

Faust è senza dubbio un grandissimo film, una di quelle opere che, se riescono a toccare le corde giuste, rimangono per sempre nel cuore dello spettatore per forza visiva e impatto emotivo. Allo stesso tempo, tuttavia, è anche un film difficile, "chiuso" e complesso, un film forse troppo elitario per essere ritenuto appieno un capolavoro.


***1/2

Pier

lunedì 24 ottobre 2011

Quentin Tarantino, professione talent scout

Quando si pensa a Tarantino, si pensa al regista, al re dello splatter, ai suoi celebri dialoghi, a un modo di fare cinema che, al di là dei gusti, ha segnato gli ultimi dieci-quindici anni della settima arte.

Si finisce così per dimenticare una delle più grande doti di Quentin: la capacità di scovare e lanciare giovani talenti, il coraggio di osare laddove molti preferiscono rifugiarsi sul nome che "fa cassetta".

Pensiamo solo a Inglorious Basterds: tre dei ruoli principali sono affidati a un oscuro attore austriaco, una giovane sconosciuta francese e a un attore tedesco naturalizzato irlandese, che a leggerlo così sembra una barzelletta.

Ebbene, dopo due anni il primo, Christoph Waltz, è diventato uno degli attori più richiesti di Hollywood, dopo aver vinto l'Oscar per il film di Tarantino ed aver prenotato una nomination grazie alla splendida prova offerta nell'ultimo film di Polanski.

La seconda, Melanie Laurent è una delle attrici più richieste a livello internazionale, nonchè una star in Francia, e ha già offerto un'altra ottima interpretazione in quel piccolo gioiello che è Il Concerto.

Il terzo, Michael Fassbender, ha interpretato il giovane Magneto in X-Men, stregato la giuria di Venezia con la sua intensa interpretazione in Shame, e ha convinto quanto Viggo Mortensen nell'ultimo film di Cronenberg.

Se a questi aggiungiamo la scoperta di Uma Thurman e il rilancio della carriera di Travolta, capiamo come Tarantino, oltre che un cineasta d'eccezione, sia anche uno straordinario scopritore di talenti, una dote questa forse anche più importante delle sue capacità registiche.

In conclusione, se siete dei giovani attori e volete fare carriera in fretta fate uno squillo a Quintino. Mal che vada farete la fine di Eli Roth, che proprio schifo schifo non fa.

Pier

sabato 8 ottobre 2011

Drive

Piacere assoluto



Questa sarà una recensione un po' particolare. Perchè Drive non si recensisce: si guarda. Perchè raccontando la trama (uno stuntman dalla doppia vita di notte si trasforma in guidatore per criminali in fuga) non si può rendere tutto ciò che la trama non dice.

La sceneggiatura di Drive è essenziale, originale sotto alcuni punti di vista ma deludente in altri: il protagonista è un personaggio originale e che conquista, ma i dialoghi sono scarni, rari e poco significativi. Quello che davvero conquista è la regia: perfetta, e giustamente premiata a Cannes. Un uso della musica sapiente, che fa diventare la colonna sonora parte del linguaggio del film, del suo modo di esprimersi, della sua poetica. Una fotografia che definire eccezionale è riduttivo, con un'attenzione per luce e atmosfera al limite del maniacale. Un montaggio che si esalta nelle scene di inseguimento, ma che rispetta le pause di riflessione che il film ogni tanto si prende, esaltando le sensazioni e le reazioni dei personaggi.

Ma quello che conquista in particolare è la straordinaria abilità di mischiare e accostare dolcezza e violenza, scene pulp e momenti introspettivi, dialoghi intimistici e scene d'azione di altissimo livello. Drive è un film che procede su due binari paralleli, e lo fa senza perdere di vista nemmeno per un attimo il senso della storia, arricchendola di sguardi, sensazioni, emozioni forte e profondamente diverse.

A questa regia si unisce la straordinaria prova di Ryan Gosling, attore sempre più maturo e per il quale spendo fin d'ora il mio personale endorsement per l'Oscar: se non lo vince quest'anno tra Drive e Le idi di marzo non lo vince più. La sua prova conquista e convince, e ci regala un personaggio complesso e semplice al tempo stesso, con mille sfaccettature ma un codice di comportamento chiaro e univoco, un personaggio che dovresti odiare ma non puoi non amare fin dal primo secondo. Un personaggio che diventerà senza dubbio un cult.

Drive è un film da guardare, contemplare, un film in cui immergersi, da cui farsi abbracciare al primo minuto per uscirne solo all'ultimo, sempre sulle note di una musica anni 80 e accompagnati da titoli rosa shocking.

*****

Pier

mercoledì 28 settembre 2011

Carnage

La perfezione nell'incompletezza



New York: due adolescenti litigano, e uno dei due spacca i denti all'altro. Le famiglie si incontrano in un appartamento di Brooklyn per decidere il da farsi, cercando una soluzione civile e pacifica. Le buone intenzioni vengono però presto messi da parte, e le due coppie di genitori iniziano una lotta verbale senza confini e senza quartiere che non risparmierà niente e nessuno.

Fare cinema partendo da un'opera teatrale è un'impresa ardua. Diversi i linguaggi, i tempi, le strutture. Polanski ci riesce, e va oltre, realizzando un piccolo capolavoro, 78 minuti di pura intensità, vivacità, dirompente forza filmica in azione. La regia è essenziale, perfetta, a orologeria, senza un tempo morto, un calo, un esitazione.
L'interazione tra le due famiglie è analizzata e vivisezionata con pungente ironia e con un'attenzione che rasenta la perfidia. Si ride a crepapelle dal primo all'ultimo minuto, nel vano tentativo di capire se l'ordine e le regole del vivere comune riusciranno a essere ristabilite. L'unica regola è però che non ci sono regole, e così il tessuto sociale si lede, si strappa, fino a stravolgersi completamente, in una guerra in cui le parole sono armi di distruzione di massa che colpiscono a turno l'uno o l'altro protagonista.

Polanski si avvale di quattro attori strepitosi, che offrono prove di rara bravura, completandosi alla perfezione l'un l'altro. Kate Winslet è una madre in carriera nevrotica, inizialmente accomodante, ma poi totalmente disinibita dall'alcool e dal precipitare degli eventi. John C. Reilly è un marito tranquillo, un po' succube della moglie-maniaca del controllo Jodie Foster, che troverà la forza di ribellarsi e far sentire la sua voce. Infine, Christoph Waltz, il migliore dei quattro: freddo, insensibile, distaccato ma sempre pronto a piazzare la frecciata giusta al momento giusto, il suo personaggio è uno di quelli che restano impressi.

Il finale, sospeso e brusco, è voluto e cercato, e lascia aperti numerosi interrogativi sui protagonisti, su di noi, e sulla vita.
Carnage è uno di quei rari film in grado di accontentare critica e pubblico, coniugando il divertimento con un utilizzo magistrale del mezzo filmico e con una perfetta direzione degli attori.

Non perdetelo.

*****

Pier

Pasticcio all'italiana


Quando, poco tempo fa, Terraferma vinse il premio della giuria a Venezia, già qualcuno parlò di favoritismi per gli italiani.
Vero o non vero, lo stesso fatto che ci fossero forti dubbi sulla qualità del film di Crialese (basta rileggersi le critiche) doveva decretare la sua non candidatura agli Oscar.

E invece eccoci qua, a commentare l'ennesima scelta scellerata, in un anno in cui il meraviglioso Papa di Moretti avrebbe forse potuto riportarci nella cinquina, e magari anche a qualcosa di più.
Intendiamoci: il film di Crialese non è brutto, anzi. Manca però di quell'innovatività, di quella profondità, di quell'universalità che dovrebbero caratterizzare i film candidati all'Oscar.

Se andiamo a vedere i vincitori degli ultimi cinque anni si tratta sempre di opere fortemente introspettive, in grado di esprimere valori universali attraverso le storie individuali. Il film di Crialese manca di queste caratteristiche, perchè affronta un dramma collettivo rimanendo solo in superficie, con scarso approfondimento. Tutto l'opposto di Habemus Papam, un film che ha messo d'accordo pubblico e critica, che sta avendo ottime recensioni anche all'estero, e in cui si riscontrano un'umanità e una profondità rari per il nostro cinema.

Non è la prima scelta sbagliata degli ultimi anni: evidentemente i fallimenti di Baaria, Gomorra e Nuovomondo (film di ben più alta caratura ma comunque incentrati su una realtà locale) non hanno insegnato nulla.

sabato 10 settembre 2011

Telegrammi da Venezia 2011 - #4 - Il Totoleone

Gli ultimi film, poi i miei premi personali.

Killer Joe, voto 9. Sceneggiatura magistrale, con momenti indimenticabili per forza visiva ed espressiva, degni di Pulp Fiction, e una scena destinata a diventare un cult. Ottimi anche fotografia e attori.

Life without principles
, voto 7.5 . Johnny To torna con un thriller finanziario molto lontano dalle sue corde, che però affronta con grande spirito critico e con un film a incastro molto ben fatto.

L'ultimo terrestre
, voto 6.5 . Film semplice con sprazzi di genio, che racconta l'arrivo degli alieni nel modo più quotidiano mai visto finora al cinema. Da un fumettista era forse lecito aspettarsi qualcosa di più sul piano visivo, ma il film è comunque piacevole.

Faust,
voto 6. Fotografia eccezionale, introspezione e scavo psicologico notevoli, ma del film alla fine resta ben poco se non un forte senso di oppressione. Piace molto ai critici, facile ottenga qualche premio.


I miei premi



Leone d'oro: Carnage, di Roman Polanski (appena dietro, Clooney e A simple life)

Regia:
Steve McQueen per Shame.

Coppa Volpi maschile:
Ryan Gosling, protagonista di Le idi di Marzo.

Coppa Volpi femminile:
Deanie Ip, protagonista di A simple life.

Sceneggiatura:
Killer Joe.

Fotografia: Cime tempestose oppure Faust

Premio della giuria: Killer Joe


giovedì 8 settembre 2011

Telegrammi da Venezia 2011 - #3

La mostra prosegue, e il livello, pur leggermente in calo rispetto ai primi giorni, resta comunque alto.

Shame, voto 8. Provocatorio, oltraggioso, di forte impatto, con una regia magistrale e una colonna sonora eccellente. Peccato per alcune lungaggini e per qualche eccesso di troppo. Ottimo Fassbender, insopportabile come sempre Carey Mulligan.

A simple life,
voto 9. Delicato, dolce, un film che ti entra dentro senza che ce ne si accorga e che rimane nel cuore. Semplice, senza fronzoli, commovente, un grande film sugli affetti, familiari e non.

Dark Horse,
voto 7.5. Meno provocatorio di altri film di Solondz, ma non per questo meno profondo. Il film ha un chiaro debito con il libro Una banda di idioti, e quella che sembra solo la storia di un bamboccione incapace di crescere diventa la storia di un paese intero.

Tinker, Taylor, Soldier, Spy,
voto 8. Una spy story eccezionale, con ottimi attori e una regia attenta e molto curata per il genere. Se si perde anche un solo minuto si fa fatica a riprendere il filo della trama, ma il finale è un momento di alto cinema.

Exchanges,
voto 6.5. Dal regista de La Banda, una commedia dell'assurdo che decolla solo dopo la prima mezz'ora. Quando lo fa è esilarante, ma l'inizio è decisamente troppo lento.

4.44 Last day on Earth,
voto 4.5. Un Melancholia mal girato, infarcito di immagini di repertorio e scene ripetute, che finiscono per soffocare un paio di momenti di alto livello.

Pier

domenica 4 settembre 2011

Telegrammi da Venezia 2011 - #2

Un piccolo speciale su quanto visto finora del cinema italiano:

Scialla, voto 8.5: divertente e non banale, la vera sorpresa (fin qui) della mostra. Un rapporto adulto-adolescente coinvolgente ed esilarante, con un Bentivoglio superlativo, e un ottimo protagonista esordiente.

L'arrivo di Wang, voto 5: il voto è alzato perchè apprezzo il coraggio di fare un film di fantascienza in Italia, ma il risultato è quantomeno rivedibile (eufemismo). Velo pietoso sulla protagonista, partecipazione (non) straordinaria di Ennio Fantastichini.

Cose dell'altro mondo, voto 7: il film diverte e fa riflettere, parafrasando discorsi di Prosperini e offrendoci un Mastandrea superlativo nei panni del poliziotto. Sceneggiatura con qualche buco, ma ci si può passar sopra.

Ruggine, voto 6.5. Un Mystic River all'italiana, che affronta con coraggio il tema della pedofilia su due piani temporali differenti. Se gli attori bambini risultano i migliori, però, c'è qualcosa che non va.

Terraferma, voto 7: un film forte ed evocativo, ma troppo di maniera nello stile. I temi sono tanti e tutti interessanti, ma poco approfonditi. Crialese ci aveva fatto sperare in qualcosa di meglio.

Cavalli, voto 6: una bella idea di partenza, un rapporto con la natura e gli animali che richiama Cormac McCarthy (citato apertamente), un ottimo Vinicio Marchioni (il Freddo della serie di Romanzo Criminale). Peccato per la scelta di fare il film in costume, che rende la storia più finta e distante, e per alcune pecche di regia, anche se sono perdonabili dato che è un'opera prima.

Pier

Telegrammi da Venezia 2011 - #1

Bentornati a Venezia!
Anche quest'anno brevi telegrammi sui film in concorso. Pronti? Andiamo a incominciare!
Mostra finora di altissimo livello, con qualche debole calo negli ultimi giorni.

Le Idi di Marzo, voto 9. Thriller politico di altissimo livello, con dialoghi memorabili, in stile The West Wing, e personaggi ben costruiti e interpretati. Ottimo Ryan Gosling.

Carnage, voto 9.5. Divertente, esilarante, con quattro attori magnifici e un ritmo incredibile. Un film sulle coppie, ma sulla vita in generale, trattato con perfida e meravigliosa ironia.

A dangerous method, voto 8.5. Cronenberg torna a esplorare i meandri della psiche, e lo fa analizzando quella dei padri della psicanalisi. Profondo, introspettivo, recitato in modo eccellente, con un ottimo Fassbender che viene però eclissato nelle scene con Viggo Mortensen.

Alpis, voto 4. Da un'idea meravigliosa, un film pessimo, che regge solo i primi 10 minuti per poi naufragare miseramente.

Mildred Pierce, voto 8. Miniserie dell'HBO presentata in toto fuori concorso, offre un bellissimo spaccato degli Anni '30, portandoci lentamente a passeggio nei lati chiari ed oscuri del sogno americano.

Pier

martedì 23 agosto 2011

Conan il barbaro

Aspettative disattese


Conan, giovane cimberio, assiste da bambino alla morte del valoroso padre per mano di un folle condottiero, determinato a ricomporre una maschera demoniaca dagli immensi poteri per riportare in vita la moglie strega. Una volta cresciuto, Conan avrà occasione di vendicarsi, ma per farlo dovrà salvare una giovane sacerdotessa, il cui sangue è fondamentale per riattivare i poteri della maschera. 

Difficile aspettarsi molto da un remake di Conan il barbaro, film diventato di culto negli anni 80 per la spontaneità e l'originalità di una trama che oggi sembrerebbe vista e rivista. Il nuovo film, privo di attori di rilievo, prometteva qualcosa sotto il punto di vista delle scene di azione, del trucco e degli effetti speciali, settori in cui si sono fatti passi da gigante dal 1982, anno di uscita del primo film. 

Invece, forse per le basse aspettative, la trama risulta meno scontata del previsto, per quanto rimanga ovviamente ancorata ai clichè che il genere eroistico e fumettaro impone. Ci sono persino citazioni dotte (palese ed evidente quella di Fitzcarraldo), e la recitazione si attesta su un livello superiore rispetto all'originale. Jason Momoa, già ottimo interprete della serie-evento della stagione, Game of Thrones, offre infatti una performance convincente e non monoespressiva come quella dell'ormai ex governatore della California. 

Il film affonda però inaspettatamente e fragorosamente laddove sembrava avere i suoi punti di forza: i trucchi sono grezzi e artigianali, gli effetti speciali indegni di un film degli anni '90, figuriamoci del 2011. Si salva qualche scena di azione, anche se in generale sono molto confuse e mancanti di pathos

Una baracconata senza i pregi delle baracconate, quindi, che lascia lo spettatore con molti dubbi e la sensazione che avrebbe potuto spendere meglio serata e soldi. 

* 1/2 
 
Pier

venerdì 22 luglio 2011

101 Frasi - #6

"E' inutile essere un artista se devi vivere come un impiegato"


Film: La stangata
Attore/attrice: Paul Newman

Livello di memorabilità: ****

Perchè è memorabile: perchè esprime tutto il desiderio di vivere fuori dagli schemi degli spiriti liberi di questo mondo. E chi non vorrebbe essere uno spirito libero?

Frase segnalata da: Fiero63

sabato 16 luglio 2011

Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 2

Esecuzione senza interpretazione



Harry Potter è quasi giunto alla resa dei conti: Voldemort è sempre più forte, e lo scontro finale è vicino. Prima però dovrà individuare e distruggere gli ultimi Horcrux, oltre che chiarire alcuni misteri sul suo passato, quello di Silente e di Voldemort stesso.

L'ultimo capitolo della saga riparte con gli stessi toni del penultimo: atmosfere cupe, colori quasi assenti, fotografia che esalta ed esaspera i toni di grigio. La speranza non sembra essere di casa, ma è anche l'ultima a morire. Il percorso di trasformazione di Harry da apprendista a mago, da ragazzo a uomo, sta per compiersi, e i temi sono quelli delle grandi tragedie: tradimenti, intrighi, scelte sofferte, sacrifici per il bene comune.
La trama si svolge esattamente come nel libro, con una fedeltà quasi assoluta a quanto scritto dalla Rowling. Anche i punti deboli del film, concentrati in particolare in due scene del finale, derivano per intero dal testo, e non si può certo farne una colpa al regista David Yates, che confeziona un blockbuster di buona fattura, che lascia il giusto spazio all'intrattenimento e all'azione.

Quello che gli si può invece rimproverare, a lui ma soprattutto alla produzione, è la totale incapacità di osare, di staccarsi dal modello originale non nei contenuti ma nelle atmosfere, creando un Harry Potter fedele ma allo stesso tempo nuovo e vitale.
Ci era riuscito alla perfezione Cuaròn nel terzo film, Il prigioniero di Azkaban, in questo senso il migliore della saga, ma lo avevano fatto in modo efficace anche Chris Columbus, il vero inventore dell'universo visivo del maghetto, e Mike Newell, che aveva conferito al quarto capitolo un tono da commedia brillante che lo aveva arricchito di una dimensione fino a quel momento pressoché inesplorata.

Yates invece si limita ad eseguire e, pur facendolo con un'ottima tecnica, non aggiunge nulla al testo originale, rinunciando a un'operazione fondamentale per qualunque regista che si approcci a un testo letterario per farne un film. Questa mancanza di interpretazione e questa rinuncia nel trovare nuove chiavi di lettura diventano particolarmente evidenti nell'ultimo capitolo, quello del gran finale, quello in cui vengono tirate le somme di una saga che ha segnato gli ultimi dieci anni. E il risultato è piatto, scarno, monodimensionale, in cui bene e male restano sempre distinti e contrapposti, e in cui le atmosfere e le opportunità offerte dal mondo magico della Rowling non vengono esplorate ma appena sfiorate in superficie.

Il film è avvincente e soddisfa i fan, ma resta il rammarico nel pensare cosa sarebbe potuto essere di questo ultimo capitolo se si fosse affidata la materia prima della Rowling a un artista anzichè a un onesto artigiano.

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Pier

martedì 28 giugno 2011

Cars 2

Quando il motore brucia l'anima



Saetta McQueen, dopo aver vinto l'ennesima Piston Cup, decide di concedersi un periodo di riposo con i suoi amici di Radiator Springs. Cambia però idea quando un ex magnate del petrolio decide di creare un campionato automobilistico in tre gare, cui parteciperanno le auto più veloci del mondo, al fine di sponsorizzare il suo nuovo carburante ecologico. Saetta decide di portare per la prima volta con sè Cricchetto, che rimane però coinvolto suo malgrado in un intrigo spionistico internazionale.

Le ragioni per realizzare un sequel di uno dei film di minor successo mai prodotti dalla Pixar si possono riassumere in una parola: merchandising. Cars ha incassato qualcosa come 2 miliardi di dollari tra gadget vari ed eventuali, e la Disney premeva fortemente per un secondo capitolo.
Lasseter è tornato così alla regia, realizzando un film divertente e movimentato, che si ispira ai classici dello spionaggio senza però imitarli, ma affrontando il genere in modo nuovo e innovativo. I gadget sono ben congegnati, gli agenti segreti azzeccati, il complotto dei malvagi è credibile e ricco di colpi di scena.

I punti di forza del film sono indubbiamente ritmo e personaggi, sia vecchi che nuovi, in grado di dare un'iniezione di simpatia a qualunque situazione. Le scene di azione sono di eccellente fattura e creano suspence e tensione.
Quello che però manca sono la profondità e la magia che solitamente caratterizzano i film Pixar. Il film è divertente ma freddo, senza poesia, senza quell'approfondimento dei personaggi e dei temi universali che hanno fatto grandi i precedenti film della casa californiana.

Il film è ben confenzionato, ma mancano sequenze memorabili, spunti di riflessione, differenti piani di lettura. Siamo di fronte a un film di intrattenimento "qualunque", con una trama disordinata tenuta insieme da una serie di gag e di invenzioni più o meno riuscite.

Ci si diverte, certo. Ma la Pixar ci aveva abituato a ben altre emozioni.

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Pier

lunedì 27 giugno 2011

I guardiani del destino

Mancanza di profondità



David Norris, un politico rampante candidato a senatore per lo stato di New York, incontra per caso una giovane ballerina, Elise. I due si innamorano, ma la loro storia non è prevista dal Piano elaborato dal Presidente, misteriosa entità superiore che guida il destino di tutti gli umani. David dovrà quindi combattere contro i Guardiani alle dipendenze del Presidente per rivendicare il suo libero arbitrio e il suo diritto ad amare.

Ennesimo film tratto da un racconto di Philip K. Dick, I guardiani del destino offre molti dei classici spunti dello scrittore americano. La scelta, il destino, la presenza di uno o più deus ex machina che controllano le nostre vite. L'incontro di David e Elise è veramente casuale? Se sì significa che il Piano ha fallito. Se no, perchè il Piano vuole allora dividerli?

Il film procede veloce tra inseguimenti, ripensamenti e incontri, fino a giungere al gran finale, al rendez vouz con il proprio destino e con le conseguenze delle proprie scelte. Proprio gli incontri sono il motore del film, a cominciare da quelli tra Emile e David, veri e propri snodi della vicenda, imprevisti e proprio per questo dotati di una forza irresistibile. Ma importanti sono anche gli incontri tra i Guardiani, di grado sempre più elevato, e sempre più vicini alle stanze del potere, a quel Presidente che sembra regolare le vite di tutti, comprese le loro.

Il film fa del libero arbitrio la sua cifra e la sua forza. Sono le scelte a muovere i personaggi e a guidare gli sviluppi della trama, aiutandola a svilupparsi in modo non conforme al Piano. Proprio la non conformità però è una delle debolezze del film, in quanto il Piano viene disatteso tante, troppe volte, mettendone in dubbio la credibilità e l'infallibilità.
Gli attori offrono buone prove, in particolare i due protagonisti, che con il loro disperato desiderio di amare contro le regole ricordano da vicini quelli di grandi classici del genere come 1984. La storia d'amore ha però un taglio eccessivamente romantico per il tipo di trama, e se da un lato questo arricchisce il film di un altro piano di lettura, dall'altro riduce quella sensazione di oppressione totalizzante che solitamente trasmettono i film tratti da Dick.

I guardiani del destino è indubbiamente un buon film che offre degli spunti interessanti, anche se paga una trama troppo semplicistica e alcuni buchi di sceneggiatura che fanno perdere parzialmente di efficacia il messaggio di fondo.

**1/2

Pier

sabato 25 giugno 2011

Le donne del 6° piano

Un sesto piano di sorprese


Dopo 25 anni di servizio, la vecchia domestica della famiglia Joubert decide di lasciare casa. Sono gli anni '50, e a Parigi nasce una strana moda tra la borghesia locale: assumere domestiche spagnole, spesso in fuga dal loro paese a causa della guerra civile. Anche i Joubert si convincono ad assumerne una, Maria, che entra subito nelle loro grazie per la pulizia e la precisione nei dettagli. Il più frastornato è il capo famiglia che presto scopre la vita povera ma gioiosa del 6° piano, l'attico dove ai tempi le domestiche vivevano ad un passo dalle case padronali. La vita è diversa lì, il grigio della quotidianità si trasforma in un arcobaleno di sentimenti, di passioni e storie di vita vera e vissuta che sconvolgono Joubert e lo convincono a mollare tutto per seguire le sue vere passioni, fino in campo al mondo.

Il film diPhilippe Le Guay è stato presentato fuori concorso a Berlino. Conosco poco il regista, di cui ricordo solo Il costo della vita, ma devo dire che Le donne del 6° piano è una commedia piacevole e popolare, mai volgare e senza retorica. Ho letto molte critiche del film e credo che spesso si sia voluto dare una dimensione e uno spessore al film francamente esagerato. Tematiche quali l'immigrazione, le divisioni sociali, le distanze e le relazioni difficili del tempo sono tutte trattate dal film di Le Guay ma credo che la vera bellezza di questa commedia stia proprio nella semplicità della sua trama: una cenerentola moderna dai tratti comici, e una bontà dei personaggi che rende a mio avviso fuori luogo ogni lettura in chiave sociale.

Philippe Le Guay sceglie un cast perfetto, a partire dal protagonista Fabrice Luchini dallo sguardo perso nella gioiosità delle donne del 6° piano, Sandrine Kimberlain, moglie dalle ambizioni improbabile, spoglia dentro ma vestita con strani cappotti ed abiti, per terminare con tutte le spagnole, da Carmen Maura a Lola Duenas.

Le donne del 6° piano è una commedia piacevole e intelligente, dai sentimenti non banalizzati da retoriche sociali e con il solo gusto di regalare allo spettatore due ore di piacere e divertimento.

Alessandro

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venerdì 24 giugno 2011

The Conspirator

Diritto contro necessità



Nel 1865, in piena guerra civile americana, Abraham Lincoln viene assassinato. I diretti responsabili vengono subito catturati e uccisi, ad eccezione di John Surratt. I complici sopravvissuti vengono rimessi al giudizio di un tribunale militare, fatto di fedelissimi del ministro della guerra, che preme per una condanna rapida e certa. Tra i processati figura anche Mary Surratt, madre di John, accusata di aver congiurato contro il presidente solo per il fatto di essere la proprietaria della pensione dove gli attentatori erano soliti riunirsi. A difenderla, dopo qualche esitazione iniziale, penserà Frederick Aicken, ufficiale dell'esercito nordista e avvocato, che dovrà lottare contro il muro di bugie costruito per far sì che la sua assistita sia condannata.

Robert Redford realizza quello che gli americani chiamano court movie, un dramma da aula di tribunale, e lo fa richiamandosi espressamente ai grandi classici del genere, su tutti La parola ai giurati, il capolavoro di Sidney Lumet. La scelta di affrontare un fatto di cronaca degli albori della storia statunitense non è casuale: la storia di Mary Surratt e degli altri complici, giudicati da un tribunale militare senza avere alcuna possibilità di difesa, ricorda da vicino quella degli attentatori terroristici. Questa storia, così come la contemporaneità, mette a confronto due diverse visioni del diritto in tempo di guerra, due visioni che si scontrano ancora oggi.

Da una parte il ministro della guerra sostiene che la giustizia per i nemici deve essere rapida, spesso anche a costo di calpestare i diritti su cui si fonda una nazione, allo scopo di proteggere e rassicurare la nazione stessa.
Dall'altra Frederick Aicken sostiene il diritto a un giusto processo per qualunque cittadino, indipendentemente dal crimine di cui questo si sia macchiato.

Il film di Redford è teso e pervaso da un forte spirito etico, anche se non perde mai di vista la linearità e l'efficacia della trama. L'ambientazione d'epoca è di buon livello, grazie sia ai costumi che all'ottima fotografia.
Il vero valore aggiunto del film sono però i personaggi, a partire dal protagonista James McAvoy, che assume su di sè il carico di coscienza collettiva di una nazione, di uomo dubbioso e proprio per questo deciso a far sì che la verità possa venire a galla e non essere sepolta sotto le menzogne. La sua tensione e la dignità morale che conferisce al personaggio gli valgono un posto tra i grandi interpreti del genere. Attorno a lui un cast eccezionale, con Kevin Kline nella parte del suo oppositore e Tom Wilkinson in quella del suo mentore. Una menzione a parte la meritano i due membri femminili della famiglia Surratt, Robin Wright e Evan Rachel Wood, misurate ma intense, perfette per i loro ruoli.

The Conspirator è un film che risveglia le coscienze, imponendoci una profonda riflessione sulla gestione che i vincitori fanno dei processi contro i vinti, e sul diritto in generale. Il ministro della guerra sostiene che sarebbe pronto a calpestare qualunque diritto, pur di salvare la propria nazione. Ma senza diritto, quale nazione resterebbe da salvare?

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Pier

sabato 18 giugno 2011

Venere Nera

Nel segno dei Freaks



Parigi, inizio '800. All'Accademia Reale delle Scienze un illustre professore sta sostenendo la somiglianza anatomica tra ottentotti e scimmie basandosi sui resti di Sarah Baartman. Partendo da questo episodio il film ripercorre la vita della giovane donna, esibita in fiere, spettacoli e salotti dell'alta società nel ruolo della selvaggia conosciuta come "Venere ottentotta".

Tratto da una storia vera, la Venere Nera è un film sullo spettacolo e sulla spettacolarizzazione della persona, inizialmente volontaria, poi via via sempre più forzata, costretta, fino ad arrivare sull'orlo della violenza. Quello che sembrerebbe un film lontano da quelli di un maestro del realismo come Kechiche si ricollega invece alla poetica del regista tunisino grazie al modo con cui il tema viene affrontato. Protagoniste divengono quindi le espressioni, i corpi, le emozioni, sia della "Venere Nera" che dei suoi spettatori, accomunati dal desiderio quasi morboso di vedere il "diverso", un "diverso" temuto quanto ammirato.

Kechiche si ricollega alla grande tradizione dei freaks cinematografici, dall'omonimo film a Elephant Man, ma non si concentra solo sulla vittima ma anche sui suoi sfruttatori, mostrando come anche quelli mossi da buone intenzioni (il primo padrone di Sarah) non facessero in realtà che umiliare la dignità della donna.
La sceneggiatura supporta una regia molto curata con dialoghi serrati e continui, e l'eccellente fotografia conferisce al film un'atmosfera cupa, morbosa, quasi clandestina, in piena sintonia con il tema trattato. La protagonista, Yahima Torrès, è semplicemente perfetta, ed è sostenuta da una buona prova complessiva di tutto il cast.

Il film però, nonostante i tagli operati rispetto alla prima versione della pellicola, risulta comunque lento in molti tratti, e saltuariamente anche ripetitivo. L'amore per la narrazione di Kechiche lo porta, come sempre, a una scarsa capacità di sintesi, che arricchisce il film di dettagli e atmosfere ma fa perdere in parte di efficacia la trama.
Venere Nera è un film potente e interessante, che riesce ad avere un impatto notevole nonostante alcuni lungaggini probabilmente evitabili.


*** 1/2


Pier

martedì 14 giugno 2011

Il grido - Lo sconsiglio: puntata #14


Il grido

Non fatevi ingannare: chi vi parla di arte si confonde con l'Urlo di Munch. Qua l'unico grido degno di nota è quello di disperazione dello spettatore.

Livello di sconsiglio:

*****

Pier


sabato 11 giugno 2011

X-Men - L'inizio

L'apice della saga



Anni '60. La Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia è in pieno svolgimento. Sebastian Shaw, prima conosciuto come Dottor Schmidt, è un mutante che vuol far scoppiare la terza guerra mondiale per vedere la sua specie trionfare sull'homo sapiens. La CIA, inizialmente scettica sulla minaccia, si convince quando un'agente presenta loro Charles Xavier, telepate laureato in genetica, e Mistica, una mutaforme, che si offrono di aiutarli contro la nuova minaccia. A loro si uniscono alcuni loro simili, tra cui Erik Lehnsherr, un mutante in grado di controllare i campi magnetici, che con Schmidt-Shaw ha un conto in sospeso che risale alla seconda guerra mondiale e ai campi di concentramento.

Il nuovo capitolo della saga degli X-Men, in crisi dopo gli ultimi episodi non esattamente riusciti, viene affidata a un team artistico di primo piano: alla regia Matthew Vaughn, già in grado di stupire positivamente con un fantasy non convenzionale come Stardust e un film già di culto come Kick Ass; il soggetto è di Bryan Singer, già "inventore" della serie al cinema, e di Sheldon Turner, sceneggiatore di Tra le nuvole alla sua prima prova nel mondo dei film-fumetto.
Il risultato è un film eccellente per complessità della trama e profondità dei temi trattati. La storia dei primi X-men si intreccia con quella del mondo andando a toccare uno dei momenti topici della guerra fredda, la crisi missilistica di Cuba.
L'incrocio convince e riesce, restituendo una trama avvincente, dinamica e mai banale, in cui il tema della diversità data dalla mutazione si incrocia con quelli del potenziale distruttivo della tecnologia e degli orrori di cui l'uomo è in grado di macchiarsi.

Gli attori sono ottimi, in particolare i due protagonisti James McAvoy e Michael Fassbender. Il primo getta una nuova luce sul personaggio di Xavier, meno "asettico" e riflessivo rispetto ai film precedenti ma più "umano. Il secondo offre una splendida prova nel ruolo di Magneto, riuscendo a non sfigurare nel confronto con Ian McKellen e aggiungendo anch'egli ulteriori elementi alla psicologia del personaggio. Una menzione a parte merita Kevin Bacon, uno dei villains fumettistici più convincenti mai visti sullo schermo, vero e proprio concentrato di perfidia e genio.
La fotografia non è banale, e regala alcune scene di ottimo livello (il primo colloquio tra Magneto e il Dottor Schmidt-Shaw e il loro ultimo incontro su tutte).
Vaughn si conferma come uno dei migliori registi di blockbuster in circolazione, in grado di coniugare spettacolo e divertimento senza perdere di vista il senso della trama e l'approfondimento dei personaggi.

X-Men - L'inizio è senza dubbio il migliore della saga e, probabilmente, uno dei migliori film tratti da fumetti Marvel. La commistione tra storia e fantasia è riuscita e regala un film divertente ma anche in grado di far riflettere, anche se non raggiunge le vette del Cavaliere Oscuro di Nolan.

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Pier

mercoledì 8 giugno 2011

Zach and Miri... Amore a primo sesso

Quando la storia è migliore del titolo



Zack e Miri sono due amici che vivono in un appartamento fatiscente in periferia di Pittsburgh, sbarcando il lunario con lavoretti vari e impegnandosi solo in relazioni occasionali. Una festa di riunione con dei vecchi compagni di liceo dà a entrambi un'idea per uscire dalla semipovertà: girare e produrre un porno amatoriale destinato a essere distribuito online.

Kevin Smith con il suo nuovo film approfondisce uno dei fenomeni più diffusi degli anni Duemila, il porno 2.0. La storia è ben congegnata e divertente, e la maggior parte delle scene è azzeccata e convincente. Alcune volgarità sono gratuite e avrebbero potuto essere evitate, ma il tono del film è comunque più vicino a una commedia che a un teen-movie americano.
Gli attori protagonisti convincono e sembrano tagliati dal sarto per la parte, e anche il cast di contorno offre una buona prova.

Smith fallisce però nel creare quell'atmosfera di fallimento ed empatia che aleggia sui suoi lavori più riusciti, e che rende i personaggi più coinvolgenti e più veri.
La storia risulta quindi in alcuni punti un po' finta, poco vibrante, e gli eventi si succedono senza veri e propri colpi di scena.
Una nota a parte merita il titolo italiano, come sempre agghiacciante e inutilmente lontano dal significato originale.

Zack and Miri è un film divertente ma con scarso spessore, con uno scarso approfondimento dei temi della storia. Questo lo rende un film più da intrattenimento casalingo che da cinema, e fa rimpiangere il meraviglioso spirito, dissacrante e "verista", degli esordi di Smith.

**

Pier

lunedì 30 maggio 2011

The Tree of Life

L'ansia da capolavoro



The Tree of Life racconta la storia di una famiglia americana degli anni Cinquanta, che diventa metafora della vita e dei suoi misteri. Difficile dire di più di una trama che non si concentra tanto sulla vicenda narrata quanto sui rapporti tra i personaggi, sui loro sentimenti e sul loro rapporto con il mondo che li circonda. Un rapporto fatto di sfide, di scoperte, di una continua tensione tra aggressività e dolcezza, tra senso di esclusione e panteismo. Questa lotta interiore viene rappresentata dal padre e dalla madre, che diventano incarnazione di due diversi modi di vivere e di rapportarsi con il prossimo.

Malick racconta la sua storia attraverso immagini di una bellezza quasi sconcertante, limitando al minimo l'uso della parola senza per questo annoiare lo spettatore. La storia coinvolge, cattura e commuove, ed è certamente uno dei più alti esempi di cinema degli ultimi anni.
L'ambizione, tuttavia, fa brutti scherzi, e porta il regista a voler strafare: i primi venti minuti di film, una sorta di storia del cosmo e della Terra, sono del tutto slegati dal resto della trama, così come gli ultimi cinque. Le immagini, pur bellissime, non raggiungono il cuore dello spettatore e non aggiungono nulla alla quasi perfezione della trama principale. Malick si ispira dichiaratamente al Kubrick di 2001 - Odissea nello spazio ma l'operazione fallisce in modo abbastanza evidente: il tema del film di Kubrick si prestava infatti perfettamente all'introduzione "didascalica" sulla storia del mondo, mentre il film di Malick, che ha la sua forza nei sentimenti e nella poesia di situazioni e immagini, non offre alcun appiglio per le sequenze iniziali, che finiscono per sembrare un esercizio di videoarte.

Ben diversa sorte ha invece la metafora del quasi-finale, sorta di spiaggia delle anime sulla scorta di quella dell' Hereafter di Eastwood, in cui tempo e spazio cessano di esistere e tutto si concentra in un unico momento, in un unico punto dell'universo.
Gli attori protagonisti offrono un'ottima performance, anche se a brillare sono soprattutto i bambini, naturali ed incredibilmente veri.
Sotto il punto di vista tecnico il film è impeccabile: montaggio e fotografia si combinano alla perfezione e regalano momenti di pura estasi visiva, che la bellissima musica trasforma in un'esperienza multisensoriale.

Malick realizza un film eccezionale, che finisce però per rovinare per troppa ambizione ed eccessivo perfezionismo. Tutte le emozioni trasmesse dalla storia vengono quasi annullate dalle sequenze iniziali e finali, puro esercizio di tecnica, senz'anima e senza sentimento. Alcuni momenti restano nel cuore, e la sensazione è che se il film fosse stato girato più "d'istinto" e meno "di testa" avremmo veramente potuto parlare di capolavoro. Peccato, davvero.

***1/2

Pier

sabato 28 maggio 2011

101 Frasi - #5


"Mi spiace. Ma io so' io. E voi nun siete un cazzo."

Film: Il marchese del grillo Attore/attrice: Alberto Sordi 


Livello di memorabilità: *****

Perchè è memorabile: perchè è LA frase da dire quando si vuole darsi importanza. Perchè è arrogante, pecoreccia, terribilmente divertente.

Frase segnalata da: Fiero63

domenica 22 maggio 2011

Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare

Uno Jack Sparrow in ripresa



Jack Sparrow è sulle tracce della fonte della giovinezza, nascosta ai confini estremi del mondo. Purtroppo per lui alla fonte sono interessati anche Barbanera, il più terribile pirata dei sette mari, e sua figlia Angelica, vecchia fiamma abbandonata di Jack, esperta come lui in inganni e menzogne.
A loro si aggiunge Barbosa, divenuto corsaro per la corona britannica e anch'egli ufficialmente sulle tracce della fonte, ma in realtà in cerca di vendetta.

Il nuovo capitolo della saga de I Pirati dei Caraibi riparte con energie nuove: fuori Gore Verbinski, Keira Knightley e (finalmente) Orlando Bloom, dentro Rob Marshall, Penelope Cruz, Barbanera e un ruolo accresciuto per capitan Barbosa.
Il vero protagonista rimane comunque lui, Jack Sparrow, con la sua andatura ciondolante e la sua inesauribile parlantina, pirata pop-rock ispirato a Keith Richards, che offre un altro breve cameo nella parte di suo padre.

L'iniezione di forze nuove sembra rinvigorire Jack/Johnny Depp e restituisce spirito e brio a una saga che, dopo un ottimo esordio, era calata di tono con il secondo e soprattutto con il terribile e imperdonabile terzo capitolo.
Le scene d'azione ci sono ma sono limitate, e viene lasciato ampio spazio alla descrizione dei personaggi, sia vecchi che nuovi. Penelope Cruz convince ma non entusiasma, mentre risulta ottima la prova di Ian McShane, che regala un Barbanera ispirato e convincente, crudele ma anche ironico nei momenti giusti. Su tutti spiccano Johnny Depp ma soprattutto Geoffrey Rush, cui il nuovo capitolo dona maggiore spazio che sfrutta nel modo giusto, risultando il personaggio più interessante del film.

Oltre i confini del mare è forse il miglior film della saga dopo il primo episodio, e recupera quell'ironia e quel gusto per il dialogo e per i personaggi che erano andati persi nei film precedenti. Memore dell'esperienza precedente, tuttavia, non saprei se augurarmi nuovi capitoli, anche se la solita immancabile scena dopo i titoli di coda li lascia presagire.

***

Pier

domenica 15 maggio 2011

Red

Sotto le stelle poco o niente



Frank Moses, un agente della CIA in pensione, viene inspiegabilmente attaccato nella casa dove vive da un commando deciso a uccidero. Scampato all'agguato, mette in salvo la ragazza che ama, finita anche lei nel mirino dei suoi aggressori, e si mette alla ricerca dei suoi vecchi compagni di avventura, nel tentativo di capire chi abbia dato ordine di ucciderlo.

Red combina due diverse tipologia di cinema, la commedia e il film d'azione e spionaggio, seguendo le orme di alcuni film del passato come True Lies. La miscela qui è più riuscita, le scene divertenti non mancano e al protagonista, ben interpretato da Bruce Willis, vengono affiancati alcuni personaggi molto riusciti e indovinati. Il merito va alla sceneggiatura ma soprattutto agli attori, su cui spiccano Helen Mirren, perfetta nel suo ruolo di killer dal sangue freddo, e John Malkovich, strepitoso ed esilarante.
Quello che non convince sono però gli altri elementi del film, a partire dalla trama, troppo intricata e poco chiara. Le scene sono slegate, manca un filo conduttore credibile che dia sostanza a una storia un po' stiracchiata, che diventa quindi solo una cornice per le ottime prove degli attori.

Non convince nemmeno la coprotagonista, interpretata da Mary-Louise Parker, un personaggio fuori dal tempo, che ricorda le compagne di Indiana Jones, imbranate e sempre in pericolo di vita.
Le scene tra lei e Bruce Willis indeboliscono ulteriormente la già malferma struttura del film, rendendolo così solo una successione di quadri divertenti ma spesso privi di spessore.

Red è un discreto film d'intrattenimento, abbastanza divertente e a tratti emozionante, che però non riesce ad andare oltre l'ottimo materiale umano che ha a disposizione e finisce quindi per sprecarlo e privarlo del sostegno di una trama e di una regia in grado di esaltarne le qualità.

**1/2

Pier

sabato 14 maggio 2011

Kreativ Blogger Award


Con colpevole ritardo comunichiamo ai nostri lettori di aver ricevuto un premio, dato che ogni tanto farsi belli in pubblico non guasta.

Walter Fano ci ha infatti giudicato meritevoli di ottenere il Kreativ Blogger Award, un'iniziativa simpatica che permette ai lettori di un blog di scoprire qualcosa di più sugli autori e, perchè no, di trovare altri blog interessanti.

Le regole sono semplici. Una volta ricevuto il premio, occorre:

1) trovare 10 blog meritevoli del premio
2) avvisare i blogger premiati
3) raccontare 10 cose di se stessi

Dato che siamo un po' pigri i blog premiati saranno meno, ma ecco quelli che ci sentiamo di segnalare:

1. Scacciafiga, un must per chi vuole imparare cosa NON fare per conquistare le ragazze.
2. Suspiria nel paese delle meraviglie, un altro ottimo blog di cinema
3. Letizia Ovunque, raccolta di divertenti cartelloni elettorali sulla falsariga di quelli della Moratti.
4. La realtà aumentata, sito un po' per specialisti ma che regala informazioni interessanti anche ai "profani".
5. Movies in frames, un blog che racconta il cinema per immagini.
6. Amici di Giggi, un capolavoro e una droga vera.

E ora 10 cose su di noi!! Dato che siamo in due, alcune valgono doppio!

1. Ci siamo conosciuti all'università, facoltà di Economia.
2. Film preferito Ale: L'ultimo dei Mohicani
3. Film preferito Pier: Big Fish
4. Colore preferito Ale: Blu
5. Colore preferito Pier: Blu
6. Attore preferito Ale: Daniel Day Lewis
7. Attore preferito Pier: Viggo Mortensen, Marlon Brando
8. Regista preferito Ale: Stanley Kubrick
9. Regista preferito Pier: Alfred Hitchcock
10. Ale è milanista, Pier è interista

venerdì 6 maggio 2011

Machete

Quando esce "Machete Kills"?



Machete è un ex agente federale messicano, creduto morto dopo uno scontro con il narcotrafficante Torrez. Miracolosamente sopravvissuto, si rifugia in Texas, dove finirà al centro di uno complotto legato a doppio filo all'immigrazione messicana negli USA e allo stesso boss che lo aveva quasi ucciso.

Ci sono due correnti di pensiero su Machete: quelli che dicono che è solo una furbata, un film di serie B furbetto che spaccia lo splatter per citazionismo. E quelli che lo ritengono un sincero omaggio ai B-movie, un B-movie talmente B che è quasi di serie C, realizzato e girato con amore per il genere da un regista che del genere è cultore e che lo ha portato sulle soglie del capolavoro.

Ammetto di appartenere al secondo gruppo, ma ho delle ottime ragioni. La prima è che Rodriguez è sempre stato un regista "onesto", lontano dalle furbate che hanno contraddistinto persino qualche film di Tarantino. Insomma, di uno che dopo la trilogia del Mariachi si mette a girare dei film per bambini per fare contenti i figli non può che essere degno della mia fiducia.
La seconda è che il film è stato richiesto a viva voce dai fan, innamoratisi della storia e del viso di Danny Trejo dopo averne visto il finto trailer realizzato per Grindhouse (quello sì un prodotto furbetto e di scarso spessore).
La terza, e più importante, è che Machete, in mezzo alle mille trovate geniali, ai mille combattimenti e alle mille citazioni, ha anche un messaggio serio. La denuncia della politica anti-immigrazione messa in atto dagli USA sul confine con il Messico non è accessoria, ma è un elemento fondamentale della trama, con forti ed evidenti richiami alla situazione reale.

Dopo le ragioni, i fatti: Machete è un capolavoro del suo genere.
I personaggi sono geniali, ben costruiti, e ognuno di loro e tratteggiato con precisione e vivacità. La storia, salvo qualche breve pausa qua e là, gira che è una meraviglia, ed ha un ritmo eccellente. Gli attori sono perfetti, da Danny Trejo a Robert De Niro, passando per Jessica Alba e il grande ritorno di Steven Seagal (che oggettivamente non poteva mancare). Convince, perchè no, anche da una Lindsay Lohan in versione suora vendicatrice.
Le citazioni si sprecano, ma i momenti migliori sono quelli ideati dalla mente di Rodriguez, scena iniziale e finale su tutte.

Machete non è certamente un prodotto per palati fini, ma tra inseguimenti, sgozzamenti, complotti e morti risulta uno dei più divertenti film d'azione degli ultimi anni.

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Pier

martedì 3 maggio 2011

Source Code

Tecnologia e (poca) etica



Colter Stevens, pilota di elicottero impegnato nella guerra in Iraq, si risveglia in un treno senza sapere come ci sia finito. In tasca trova i documenti di uno sconosciuto, l'insegnate Sean Fentress, con cui i suoi compagni di viaggio sembrano identificarlo. Mentre cerca di capire cosa sia successo espolode una bomba, che uccide lui e moltissimi alti passeggeri. Al suo risveglio si ritrova in una specie di capsula, dove una donna da uno schermo lo informa che non è morto e che tra poco sarà di nuovo trasferito sul treno: il suo compito è scoprire l'autore dell'attentato per evitare che colpisca ancora. La sua missione è top secret, e il nome in codice è : Source Code, lo stesso della tecnologia che permette al capitano di tornare sul treno 8 minuti prima dell'esplosione.

Dopo lo splendido esordio di Moon, Duncan Jones torna con un altro fantascientifico a basso costo (anche se il budget è certamente maggiore di quello della sua prima prova), ma gli conferisce un taglio decisamente diverso, pur mantenendo dei punti in comune. Se Moon era infatti una riflessione sulla solitudine e l'isolamento dell'uomo nello spazio, avendo come unica compagnia la tecnologia, Source Code vede la tecnologia come un mezzo per salvare persone e modificare la realtà e il corso degli avvenimenti.
La missione del capitano Stevens sfrutta una tecnologia sconosciuta, le cui potenzialità non sono del tutto chiare nemmeno ai suoi stessi creatori. Si può modificare il passato? Questo il dubbio che attanaglia il capitano, e con lui lo spettatore, fino alla risoluzione della vicenda.

Il film ha un ritmo eccellente, e strizza apertamente l'occhio a Matrix e Inception, studiando le potenzialità della mente umana e le opportunità inesplorate che essa ancora offre. Jones sceglie la forma del thriller, creando attesa e suspence senza dover ricorrere a scene di inseguimento mozzafiato, ma semplicemente sfruttando e modulando a suo piacere il tempo. Gli otto minuti offerti al colonnello Stevens sono un limite ma anche una possibilità, un universo inesplorato e malleabile che il colonnello può rivivere di volta in volta, correggendo gli errori come se si trovasse in un videogioco. La fotografia è molto ben curata e contribuisce a creare quell'atmosfera sempre sospesa tra sogno e realtà che è la caratteristica principale del film.

Jake Gyllenhaal offre il suo volto al capitano Stevens, e offre una prova di sostanza, non memorabile ma comunque efficace per quello che il ruolo richiede. Vera Farmiga è la sua interlocutrice su schermo, così come Gertie era quello di Sam Rockwell in Moon. La sua prova è volutamente sottotono ma di grande spessore, e contribuisce ad accrescere la suspence generata dal film.

Source Code affronta il tema dell'etica della tecnologia, interrogandosi sui limiti che questa non dovrebbe oltrepassare per non diventare disumana. In Moon, tuttavia, questo tema era affrontato con maggiore profondità e introspezione, mentre qui resta solo abbozzato e concentrato in una parte del film, senza pervaderlo per intero come accadeva nell'opera precedente.

Source Code è un thriller di buon livello, con un ritmo eccellente e una sceneggiatura non banale. Manca però di quella profondità che aveva reso Moon una delle rivelazioni della scorsa stagione cinematografica, e penetra solo superficialmente anche nel cuore dello spettatore.

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Pier

sabato 30 aprile 2011

Thor

Si può dare di più

 

Thor, il dio del tuono, viene cacciato da Asgaard, dimora degli dei, a causa della sua arroganza. Il padre Odino lo esilia sulla terra, nel New Mexico, dove verrà tratto in salvo ed educato agli usi e costumi del nuovo mondo da una giovane fisica. Thor tuttavia si troverà costretto a vestire nuovamente i suoi panni di dio per salvare la Terra e Asgaard dalla minaccia dei giganti di ghiaccio e dai tortuosi piani del fratello Loki. 

La scelta di Kenneth Branagh, storico regista shakespeariano, di dirigere un film tratto dal celebre fumetto Marvel è strana solo in apparenza: per una volta le dichiarazioni di facciata sono vere. Thor è infatti il più shakespeariano degli eroi: gli intrighi di palazzo, i tradimenti, i continui voltafaccia sono elementi tipici delle tragedie del Bardo. L'inizio di Thor è quindi epico e lascia ben sperare: i personaggi sono ben delineati, i caratteri definiti, le premesse per il conflitto chiare. C'è persino una traccia di uno dei grandi temi dell'etica classica, quel il concetto di hubris-tracotanza che fu la causa della fine di numerosi eroi ed è anche il motivo dell'esilio del protagonista. 

Dalla caduta sulla Terra in poi, tuttavia, il film perde smalto e spessore, riducendosi al "solito" film Marvel, senza però acquistare l'irresistibile ironia di un Iron Man o l'adrenalinica vitalità del primo Uomo Ragno. I personaggi terrestri sono infatti piatti e poco significativi: in particolare Natalie Portman si trova a interpretare una ragazza priva di qualsiasi spessore o carica narrativa, per nulla credibile nel suo ruolo di fisica, tanto che sembra più interessata ai pettorali del muscoloso eroe che al fenomeno scientifico-mistico che questo cerca di spiegarle. 

Le parti migliori restano dunque quelle ambientate ad Asgaard, dove Anthony Hopkins è perfetto nel ruolo dell'imperscrutabile Odino e Idris Elba, ritenuto fuori luogo dai fan perchè di colore, è invece ottimo nella parte del guardiano onnisciente Heimdall, che dota anche di una particolare carica di ironia. Non convince invece fino in fondo Tom Hiddleston, che ha il phisique du role ideale per la parte di Loki ma lascia il suo personaggio a uno stadio superficiale, senza studiarne le motivazioni più profonde. 

Branagh coglie appieno gli aspetti "tragici" ed epici di Thor, ma non riesce a trasporre questa efficacia nelle scene ambientate sulla Terra, che finiscono per diventare solo dei momenti di passaggio, poco rilevanti per la vicenda e per lo sviluppo finale. La fotografia è molto riuscita, anche se ricerca troppo spesso l'inquadratura ad effetto, e il montaggio ha un buon ritmo. 
 Thor paga probabilmente lo scarso coraggio della sceneggiatura, che sceglie di dare pari dignità in termini di tempo ai due mondi su cui si svolge la vicenda ma si dimentica di conferire alla Terra la significatività posseduta invece da Asgaard. 

Il risultato è un film che procede a strappi, molto riuscito nella parte iniziale e nel finale ma molto lento e prevedibile in quella centrale, che sembra solo un lungo prologo al futuro (e attesissimo, sia dai produttori che dal pubblico) I vendicatori

Il film è comunque divertente e riuscito nel suo genere, anche se da Branagh era forse lecito aspettarsi qualcosa di più di un semplice film di intrattenimento. 
 
**1/2 

Pier

martedì 26 aprile 2011

Rio

Un trionfo di colori



Blu è un pappagallo tropicale strappato piccolissimo dalle foreste di Rio. Per caso finisce in mano a Linda, una bambina del Minnesota, che lo prende con sè. I due crescono insieme e sono inseparabili, fino a quando non si presenta alla porta della libreria gestita da Linda un ornitologo, Tullio, che le rivela che Blu è l'ultimo esemplare maschio della sua specie. La convince così a seguirlo in Brasile, dove Blu dovrebbe accoppiarsi con Gioiel, unica femmina rimasta. L'operazione non si rivelerà così semplice, e Blu e Linda dovranno affrontare molte peripezie in un mondo completamente diverso dal loro.

La Blue Sky abbandona le atmosfere ghiacciate della saga di Ice Age e si trasferisce in Brasile, per la precisione a Rio, per raccontare il viaggio di un pappagallo che, scoprendo un nuovo paese, finirà anche per scoprire molte cose su se stesso, sulla vita e sull'amore.
Il film ha un buon ritmo ed è disegnato in modo eccellente, con colori sgargianti e una grande attenzione per i dettagli delle diverse specie di uccelli. La storia non è particolarmente originale ma è comunque arricchita da alcune trovate di livello, su tutte il personaggio del pappagallo malvagio Miguel.
La vera forza del film sono però i panorami di Rio, riprodotta in ogni dettaglio, carnevale compreso, in uno sforzo creativo e di verosimiglianza secondo solo a quello intrapreso dalla Pixar per Ratatouille. Un altro elemento azzeccato sono i personaggi secondari, che creano numerosi momenti comici di contorno rispetto alla vicenda principale.

Le canzoni non sono memorabili, fatta eccezione per quella d'apertura, in cui sia la musica sia la coreografia che la supporta sono di ottimo livello.
Il doppiaggio italiano alterna scelte azzeccate (Mario Biondi nella parte del cattivo, una rivelazione) e decisamente fuori luogo (Victoria Cabello, a dir poco pessima), ma in generale si assesta su un buon livello grazie al contributo di De Luigi nel ruolo del protagonista e quello eccellente di Altafini nei panni del bulldog-meccanico.

Rio è un film divertente e colorato, realizzato con cura e perizia grafica. Manca di uno spunto veramente originale, ma è comunque gradevole e offre un'eccellente ritratto della città carioca di cui porta il titolo.

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Pier

giovedì 21 aprile 2011

Habemus Papam

Quanto l'incertezza è anche divina



Alla morte del Papa, il Conclave si riunisce per eleggere il suo successore. Dopo alcune sedute fallimentari, i cardinali fanno convergere i propri voti sul loro collega Melville. Al momento della presentazione ai fedeli, tuttavia, Melville va in crisi e si rifiuta di affacciarsi. Mentre i responsabili della comunicazione si affannano per mantenere il mistero sull'identità del nuovo Papa e sulle ragioni del ritardo, i cardinali si convincono a convocare il miglior psicoanalista di Roma per capire cosa sia successo e far tornare Melville sui suoi passi. Dati gli scarsi risultati, il portavoce della Santa Sede decide di portare il Papa dalla moglie dello psicoanalista, a suo dire la migliore dopo di lui. Questo significa però portare Melville fuori dalle mura vaticane, un atto proibito dal regolamento ecclesiastico, che prevede che nessuno possa uscire dal Vaticano fino alla conclusione del Conclave.

E' indubbio che chi si aspettava da Moretti una sferzante satira della Chiesa rimarrà deluso. Come già aveva fatto in La messa è finita, infatti, il regista-attore concentra la sua attenzione sul lato umano della fede, presentandoci i cardinali e il Papa come persone comuni, soggetti agli stessi dubbi e alle stesse incertezze di tutti.
La sceneggiatura è sorretta da dialoghi e situazioni intense e di ottimo livello, anche se paga la mancanza di organicità. Le scene con Moretti, in particolare, risultano un po' slegate dalla vicenda principale, anche se contribuiscono in maniera decisiva alla costruzione del messaggio e della poetica del film.

Un altro punto di forza sono i personaggi secondari, dai cardinali alle guardie svizzere, che regalano situazioni di pura ilarità, in particolare durante le geniali (seppur sconnesse) sequenze del torneo di pallavolo.
Ottime anche la fotografia, specialmente nelle sequenze iniziali, e la colonna sonora, fatta di pochi pezzi ma molto indovinati.

Michel Piccoli è semplicemente straordinario, e regala una recitazione fatta di sguardi, espressioni, esitazioni, in cui le parole sono centellinate ma hanno un significato profondo e il peso di un macigno, specialmente nel meraviglioso e inaspettato finale. Moretti come sempre gigioneggia ed appare quasi indifferente rispetto agli avvenimenti, ma è proprio il contrasto tra il suo personaggio tipico e l'ambiente cardinalizio a offrire alcuni dei momenti più divertenti e sinceramente umani del film.
I cardinali sono impersonati da attori eccellenti, che non interpretano prelati ma uomini, con le loro passioni, le loro fissazioni, le loro incertezze. Particolarmente indovinata risulta la performance di Camillo Milli, indimenticato Duca Conte Barambani nella saga di Fantozzi (quello di "Cari poveracci", per intenderci), che ci regala un cardinale ipercompetitivo ed esilarante.

Habemus Papam affronta uno dei temi tipici della filmografia morettiana, quello dell'inadeguatezza, e lo fa calandolo in un contesto in cui questo sentimento sembrerebbe assente. Questa operazione fa sì che il film restituisca un'immagine della Chiesa molto umana e vicina alla gente, con un Papa tormentato dagli stessi dubbi che assalgono i comuni mortali, per il quale l'investitura divina non è fonte di sicurezza ma di un'umanissima, tormentata incertezza. Un film che diverte e fa riflettere, e che si fa perdonare alcuni difetti strutturali con alcune scene eccellenti e un finale indimenticabile per intensità e significatività.

***1/2

Pier