domenica 30 settembre 2012

Ribelle - The Brave

Magia senza magia
 

Merida è una giovane principessa scozzese, cui il dovere imporrebbe di sposare il figlio di un altro capoclan per garantire la pace nel regno. La ragazza però non ama la vita da principessa, e preferisce cavalcare e tirare con l'arco, provocando le ire di sua madre. Un giorno, nel tentativo di cambiare il suo destino, chiede a una strega un po' bislacca una pozione per convincere sua madre a lasciarle più libertà. Il percorso per trovarla, tuttavia, si rivelerà molto complesso.

Il tredicesimo lungometraggio targato Pixar sembra più il cinquantaduesimo classico Disney. Ci sono una principessa, un mondo incantato, una strega, animali parlanti: insomma, tutti gli ingredienti delle fiabe che hanno fatto grande la Disney. Il film finisce così per essere un ibrido, cui mancano sia la capacità di osare e di sognare che ha fatto grande la Pixar, sia il delicato tocco della Disney. Il risultato è un film che è comunque divertente e godibile, con esplicite citazioni di grandi classici della casa di Topolino (Robin Hood su tutti, ma anche La spada nella roccia), che resta però superficiale, senza riuscire nè a colpire al cuore lo spettatore, nè a stupirlo.

La trama è abbastanza risicata, e si salva grazie a personaggi secondari molto azzeccati (menzione particolare per i tre pestiferi gemelli), che creano numeroso momenti comici che donano sostanza e ritmo a un film di per sè non particolarmente esaltante. L'evoluzione del rapporto tra Merida e la madre è trattata con delicatezza, dolcezza e profondità, ma risulta comunque deja-vu mancante di originalità. Rimane quindi la sensazione che la Pixar abbia fatto questo film quasi esclusivamente per mettere a tacere i critici che la accusavano di eccessivo maschilismo, dato che riesce difficile pensare a un film più lontano dalle corde di Lasseter e soci che questa fiaba medioevale quasi esclusivamente al femminile.  

Ribelle è un film comunque divertente, che non manca di profondità all'interno di una trama non particolarmente originale.Potrebbe essere apprezzabile se non fosse di gran lunga inferiore alla media dei precedenti film Pixar, la casa di produzione che, in questi anni, ci aveva fatto riscoprire il significato della parola magia.

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Pier

domenica 16 settembre 2012

Pietà

Quando la pietas è terribile



Un uomo solo al mondo riscuote i crediti per conto di un usuraio. I suoi metodi sono feroci e brutali: chi non può pagare viene azzoppato o storpiato al fine di incassare i soldi dell'assicurazione.
Un giorno sulla sua strada trova una donna, che asserisce di essere sua madre, e gli chiede perdono per averlo abbandonato quando era piccolo, trasformandolo così in un mostro senza cuore. L'incontro, apparentemente casuale, sconvolgerà le vite di entrambi.

Kim Ki-duk prosegue la sua esplorazione dei più profondi abissi dell'animo umano andando a esplorare e sviscerare uno dei sentimenti più nobili, l'affetto tra genitore e figlio. In una società senza valori, sconvolta e ferita nel profondo dalla crisi economica, la vita del protagonista sembra ritrovare la luce grazie all'amore di sua madre, un amore che si dimostrerà però essere dolce ma terribile.
Il film è cupo, violento, un pugno allo stomaco che ci mostra con spietata precisione un mondo in cui la speranza è scomparsa, e anche le parti del corpo umano sono oggetti di scambio, appendici inutili che valgono solo il denaro che sono in grado di comperare o di procurare.

La fotografia esalta il grigiume della metropoli moderna, in cui gli ingranaggi delle fabbriche e della vita continuano a muoversi, incuranti delle persone, dei legami, dei sentimenti, di cui i vari personaggi esprimono le diverse sfaccettature. Il protagonista offre una prova eccellente, ma fin dalla sua prima apparizione la scena è dominata dalla madre, magistralmente interpretata da Jo Min-Su, che regala un ritratto di donna forte e allo stesso tempo sottomessa, dolce ma anche spietata e terribile.

Il regista coreano realizza un film di forte impatto visivo ed emotivo, forse appena sotto ai suoi capolavori, ma comunque meritevole del Leone d'oro assegnatogli dalla giuria veneziana per la sua capacità di affrontare la crisi dei valori della società moderna, in cui denaro e violenza sono diventati i cardini attorno a cui gravita la maggior parte dei rapporti. Pieta è un film duro, ma è anche un film che rappresenta la realtà senza timore di distogliere lo sguardo, senza mostrare pudore per i sentimenti nè repulsione per la violenza. Seguendo la tradizione del moderno cinema coreano, amore e vendetta divengono due facce della stessa medaglia, due forze contrapposte e complementari che muovono le nostre esistenze.

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Pier

martedì 11 settembre 2012

Le sterili polemiche e il declino del cinema italiano


La Mostra del Cinema di Venezia è finita ormai da qualche giorno, ma non si placano le polemiche sull'assegnazione dei premi. I protagonisti? Ovviamente noi italiani.


Il tutto è iniziato con una voce arrivata dalle stanze dei bottoni veneziane, secondo la quale Michael Mann avrebbe detto che i film italiani sono "difficilmente esportabili". Apriti cielo! A questa voce ha subito creduto e risposto Marco Bellocchio (potete trovare qui le sue parole), accusando Mann e gli Stati Uniti tutti di non saper guardare al di là del proprio giardino e di non avere sensibilità per le pellicole straniere.
A Bellocchio si è subito unito Paolo Mereghetti, il critico del Corriere della Sera, che in un editoriale a commento della notizia si è scagliato contro la logica del mercato a tutti i costi e ha ricordato a Mann che, senza il cinema europeo, anche il cinema americano non sarebbe quello che è oggi. Infine, con una caduta di stile che non ci aspettavamo da lui, ha anche rinfacciato a Mann il fatto che il film della figlia, Texas Killing Fields, non sia stato un successo di box office, insinuando quindi che il povero Michael predica bene ma razzola male.
Tutto bene, benissimo, se non fosse per qualche piccolo dettaglio:

1) La dichiarazione di Michael Mann non è ufficiale, ma è solo una voce riportata da non precisate fonti anonime. Sollevare un polverone di questo genere per una voce, rispondendo pure dalle pagine di uno dei principali quotidiani nazionali, appare quantomeno fuori luogo: è come se l'Italia dichiarasse guerra alla Germania perchè il cugino del portinaio di casa Merkel ha riferito a un giornalista italiano che Angela avrebbe detto che Monti puzza di brioche muffita.

2) A meno che non ci sia stato un cambiamento nel dizionario della lingua italiana, "esportabilità" e "successo commerciale" non sono sinonimi, soprattutto per un prodotto culturale. Non ci risulta che Mediterraneo o Io sono l'amore siano stati successi commerciali all'estero, eppure hanno ricevuto numerosi premi e riconoscimenti dalla critica. Un film è "esportabile" se parla un linguaggio universale, se è in grado cioè di affrontare temi globali raccontando una storia locale. I soliti ignoti di Monicelli è un ritratto perfetto dell'Italia, ma gode di numerosi ammiratori anche presso i malvagi e miopi americani. La vita è bella, per quanto non sia uno dei miei film preferiti, ha saputo senza dubbio raccontare una storia locale che parlava però a tante culture e nazioni diverse.

3) Accusare Mann e la giuria da lui presieduta di insularismo è quantomeno curioso, dato che tra i film premiati figurano un coreano (Leone d'oro), un tedesco (Premio della giuria), un francese (Sceneggiatura) e, guarda un po', persino un italiano (Fotografia). Evidentemente per Bellocchio, Mereghetti e i loro sodali questi paesi sono delle colonie americane.

4) Queste polemiche si verificano sempre e solo in Italia. A Cannes negli ultimi 22 anni (dal 1990 a oggi) hanno vinto due soli film in lingua francese (La Classe, nel 2008 e Amour, lo scorso anno, peraltro girato da un Austriaco), e non si sentono mai le polemiche che si sentono qui, con relativa caccia all'uomo al giurato italiano di turno. Quest'anno è toccato al povero Garrone, il quale ha peraltro rilasciato la dichiarazione più corretta sul tema: il fatto stesso di fare polemica per la mancata vittoria di un film italiano a un festival italiano denota un certo provincialismo.

Ammettiamo ora per un attimo che la dichiarazione di Mann sia vera: possiamo dargli torto? Non è forse evidente che l'esportabilità del cinema italiano è clamorosamente crollata nel corso degli anni?
Tra il 1943 e il 1962 l'Italia ha ottenuto nove nomination all'Oscar per il miglior film straniero, ottenendo tre Oscar onorari e due Oscar.
Tra il 1963 e il 1982 otteniamo quattordici nomination, vincendo in cinque occasioni.
Tra il 1983 e il 2002 otteniamo appena sei nomination, ma vinciamo in tre occasioni.
Dal 2003 a oggi abbiamo ottenuto appena una nomination, senza portare a casa alcun premio.

 Se questo non è un crollo verticale della qualità del nostro cinema e della sua capacità di parlare al mondo, ditemi voi che cos'è. L'Oscar per il miglior film straniero non è certamente l'unico modo per misurare l'esportabilità di un film, ovviamente, ma il declino è evidente e lapalissiano.

Bellocchio, Mereghetti, e chi ancora pensa che siano gli altri a doversi sforzare per capire il nostro cinema, quando una volta lo facevano senza alcuno sforzo, dovrebbero cominciare a fare autocritica, e a capire che, se il nostro cinema ha perso valore nel mondo, la colpa è quasi interamente nostra, non di Michael Mann e delle sue presunte dichiarazioni.

Pier

sabato 8 settembre 2012

Telegrammi da Venezia 2012 - #5

Ecco l'ultimo telegramma dalla Mostra. Stasera alle 19 i vincitori!

Nel frattempo, Eat, Sleep, Die vince la Settimana della Critica.


La bella addormentata (Concorso), voto 5. Qui la recensione.

Thy Womb (Concorso), voto 7.5. Brillante Mendoza racconta con tocco lieve e delicato la commovente storia di una nutrice che, non riuscendo ad avere figli, si impegna a trovare un'altra moglie al marito, finendo per pagare un caro prezzo. Il film, pur mancando di ritmo e avendo un taglio eccessivamente documentaristico, coinvolge e commuove, regalandoci un ritratto vero e vitale di una donna e di una comunità.

The Company you keep (Fuori concorso), voto 7.5. Redford realizza un film politico forte e teso, che colpisce per il rigore della sceneggiatura e lo spirito rivoluzionario. Ottima prova di tutto il cast, tra cui spiccano Nick Nolte e un'intensa Susan Sarandon.

Passion (Concorso), voto 5. De Palma realizza uno sconclusionato thriller che manca di tensione e abbonda di citazioni hitchcockiane. La regia e la fotografia hanno alcuni momenti eccellenti, ma questo non basta per salvare un film caratterizzato da una trama banale, una recitazione mediocre e alcune trovate ai limiti del ridicolo.

Un giorno speciale (Concorso), voto 4.5. Francesca Comencini riesce nell'impresa di rovinare negli ultimi venti minuti un film fin lì modesto ma tutto sommato divertente, caratterizzato dalle buone prove dei due giovani attori protagonisti. Nel finale invece trionfano il moralismo e un pietismo di maniera che vuole far passare per vittima chi vittima invece non è. Sceneggiatura banale e a tratti mal scritta, che riesce quasi a rovinare la splendida spontaneità di Filippo Scicchitano.

Keep smiling (Giornate degli Autori), voto 7. Il film colpisce per la leggerezza e la naturalezza con cui racconta un concorso di bellezza per mamme in Georgia, rivelando tutte le miserie materiali e morali delle protagoniste senza tuttavia perdere il sorriso. Il pietismo qui non è di casa, con donne forti che si prendono la responsabilità delle proprie scelte.

Pier

venerdì 7 settembre 2012

Telegrammi da Venezia 2012 - #4 - Il Totoleone

Ecco i pronostici e i miei premi personali. Come sempre i pronostici in un festival sono difficili da azzeccare: troppe le variabili in gioco, troppi i giochi "politici" all'interno della giuria. Spero almeno di azzeccare i film che riceveranno dei premi.

Domani le ultime recensioni!

Pronostici


Leone d'oro: The Master, di Paul Thomas Anderson.

Regia:
Jessica Woodworth e Peter Brosens, per La Cinquieme Saison

Coppa Volpi maschile:
Kad Merad, per Superstar


Coppa Volpi femminile:
Jo Min-Su, per Pieta


Sceneggiatura:
Apres Mai, di Olivier Assayas
 
Fotografia: To the wonder, di Terrence Malick
 
Premio della giuria: Marco Bellocchio, per La bella addormentata

Premi personali

Leone d'oro: Pieta, di Kim Ki-duk

Regia:
Harmony Korine per Spring Breakers

Coppa Volpi maschile:
Philip Seymour Hoffman, per The Master


Coppa Volpi femminile:
Jo Min-Su, per Pieta


Sceneggiatura:
The Master, di Paul Thomas Anderson.
 
Fotografia: To the wonder, di Terrence Malick
 
Premio della giuria: E' stato il figlio, di Daniele Ciprì

Pier


giovedì 6 settembre 2012

La bella addormentata

Etica e confusione



Febbraio 2009. Eluana Englaro è in coma vegetativo da 17 anni, e sta per essere trasferita nell'ospedale di Udine, dove, per volontà della famiglia, verrà interrotta l'alimentazione forzata che la tiene in vita. Intorno al caso gravitano politici, manifestanti delle opposte fazioni, celebrità, medici e semplici cittadini, direttamente e indirettamente coinvolti in una questione etica e morale che tocca nel vivo la coscienza individuale e collettiva.

Marco Bellocchio decide di affrontare il tema della scelta individuale di fronte alla morte, e per farlo si ricollega al caso di Eluana, una vicenda che aveva scosso l'Italia. Il regista decide però di non mettere in scena una ricostruzione della vicenda, ma di raccontare quattro storie private che a quella vicenda sono in qualche modo legate. La scelta è indubbiamente vincente e interessante, in quanto riesce a parlare di un tema così delicato senza scivolare in facili pietismi. Il meccanismo, tuttavia, funziona a singhiozzo, in quanto lo spazio lasciato alle diverse storie è molto diverso ed erratico, con personaggi che rimangono in scena solo per qualche secondo per poi scomparire per larghissimi tratti.

Questo fa sì che il film manchi di continuità e di una solida linea narrativa, rendendo anche il messaggio più confuso. Suscita inoltre qualche dubbio la presenza dell'episodio della tossicodipendente interpretata da Maya Sansa, che risulta solo marginalmente legato al tema principale del film e finisce per essere del tutto slegato dagli altri tre. L'episodio senza dubbio più riuscito è quello che ha come protagonista Toni Servillo, parlamentare del Pdl che deve scegliere tra coscienza e linea del partito, e che dimostrerà una rettezza morale e una coerenza sconosciute ai suoi colleghi. Funziona anche l'episodio con Isabelle Huppert, grande attrice ritiratasi dalle scene per accudire a tempo pieno la figlia in coma vegetativo, nella speranza che questa si risvegli.

Proprio a questo episodio è affidato il messaggio del film, "nessuno può scegliere per gli altri", che sembra lasciare spazio alla libertà di scelta di ognuno, senza schierarsi nè pro nè contro l'accanimento terapeutico. Il problema è che questo messaggio viene annacquato, disperso, quasi distorto dalla struttura narrativa, che segue le inutili e improbabili vicende amorose di Alba Rohrwacher e Riondino o la vicenda della Sansa invece di concentrarsi sul cuore pulsante della storia. Il risultato è che il film impiega due ore per non dire nulla di più di quanto detto dall'appena defunto Cardinal Martini o da Umberto Veronesi nel giro di una sola frase, girando intorno al tema e affondando il colpo solo in pochi, riuscitissimi momenti.

Tra gli attori, come detto, brillano Servillo e la Huppert, con delle buone prove anche di Riondino e Tognazzi. Alba Rohrwacher, vera e propria miracolata del cinema italiano, è invece talmente inutile da risultare dannosa, e si distingue solo per una voce irritante, una dizione carente e la capacità di avere gli occhi lucidi in qualunque situazione, triste, neutra o gioiosa che sia.

La bella addormentata è un film coraggioso e intelligente, che perde però gran parte della propria efficacia a causa di una struttura narrativa mal congegnata e dalla mancanza di quel coraggio che ha invece avuto Clint Eastwood in Million Dollar Baby. Resta comunque un lavoro dal forte contenuto civile ed etico, con il personaggio di Servillo che ci dà una lezione di dignità, umana ancor prima che professionale, difficile da dimenticare.

** 1/2

Pier

mercoledì 5 settembre 2012

Telegrammi da Venezia 2012 - #3

Continuiamo con i telegrammi veneziani.


L'intervallo (Orizzonti), voto 7.5. Il film racconta la giornata particolare di due ragazzini di Napoli, in cui uno di loro si ritrova carceriere gentile dell'altra, sequestrata dal boss camorrista del quartiere per ragioni oscure. In quelle ore interminabili, all'interno di una villa abbandonata che diventa un mondo a parte e da esplorare, i due si confideranno sogni, segreti e speranze per un futuro migliore, salvo poi tornare bruscamente alla realtà. Il regista Di Costanzo confeziona un piccolo gioiello, coadiuvato da una fotografia ai limiti della perfezione e da due giovani attori che colpiscono per naturalezza e spontaneità.

Pieta (Concorso), voto 9. Il film di Kim Ki-duk colpisce dritto allo stomaco, con un film che alterna magistralmente scene di cieca crudeltà alla dolcezza di un amore materno redimente, salvifico e terribile. Finale da applausi, protagonista strepitosa.

Eat Sleep Die (Settimana della Critica), voto 7.5. Il film racconta le vicissitudini di una svedese di origini serbe che, licenziata dalla fabbrica in cui lavora, si ritrova discriminata a causa del suo nome e della sua religione. Riceverà solidarietà dagli ex colleghi e da altri disoccupati. Il film ricorda alcuni film di Ken Loach, con una classe operaia che non va in Paradiso ma si aiuta vicendevolmente, gettando luce e allegria in vite altrimenti destinate alla desolazione.

O Gebo e a Sombra (Fuori concorso), voto 7. Il nuovo film di de Oliveira,magnifico maestro di 103 anni, parla della vita, della povertà e dell'amore, con un tocco teatrale ma efficace. Pur peccando di eccessiva verbosità, il film arriva dritto al cuore grazie anche alle stupende prove dei protagonisti, tra cui figurano due grandi attrici come Claudia Cardinale e Jeanne Moreau.

Spring Breakers (Concorso), voto 9. Quello che sembra un college movie sulle vacanze a base di sesso, alcool e droga dei collegiali americani si rivela ben presto essere una lucida e spietata analisi del lato più oscuro del sogno americano, quello che promette soldi facili e che difende il conformismo a tutti i costi, da cui ci si può liberare solo durante settimane di puro delirio collettivo in cui, seppur per poco tempo, tutti credono di essere liberi di essere quello che vogliono. Il film di Harmony Korine è profondo, tagliente e allucinato, con una fotografia e un montaggio che ben rappresentano lo stordimento morale ed emotivo di un'America che sembra aver definitivamente perso se stessa. La bella prova di James Franco aggiunge valore a un film con la F maiuscola, fin qui la sorpresa più positiva del festival.

Pier

martedì 4 settembre 2012

Telegrammi da Venezia 2012 - #2

Seconda parte dei telegrammi che inizia con una panoramica dei film italiani visti fin qui alla mostra.



Gli equilibristi (Orizzonti), voto 6. Il film racconta con efficacia il dramma del divorzio per un padre di ceto medio-basso ("Il divorzio è per i ricchi", recita una battuta del film), cui i soldi non bastano mai e che finisce per fare una vita da barbone nonostante un onesto impiego in comune. Il messaggio passa, ma il film ha dei grossi difetti di sceneggiatura, cui rimedia in parte grazie alle ottime prove di Mastandrea e della giovane attrice che interpreta la figlia. Regia di buon livello.

E' stato il figlio (Concorso), voto 8. Ciprì racconta con efficacia e una punta di grottesco il sogno della ricchezza facile di una famiglia di Palermo che rappresenta l'Italia. Il film mette a nudo l'avidità e la meschinità di un paese di eterni scontenti, in cui sopravvivere diventa più importante di vivere.

Low Tide (Orizzonti), voto 8. Roberto Minervini è un regista italiano, ma vive e lavora negli Stati Uniti. Il suo Low Tide è un capolavoro di naturalezza che racconta con tocco delicato la vita senza affetto di un bambino della provincia texana, costretto a tirare avanti in un ambiente ostile e senza prospettive. Finale da applausi per semplicità e capacità di generare emozioni.

To the wonder (Concorso), voto 5. Malick riprende il meccanismo di The Tree of Life , in cui il microcosmo di una famiglia diventava un'efficace e commovente metafora del macrocosmo dell'universo e della Vita. Qui però il meccanismo si inceppa clamorosamente, e il parallelismo tra amore tra persone e amore divino finisce per diventare un vuoto enunciato, affidato a un monologo finale di Bardem ai limiti della pubblicità dell'8 per mille. Fotografia e sensibilità come sempre eccezionali, ma la sensazione è che ci fosse ben poco di nuovo rispetto al film precedente, e che quel poco fosse di qualità inferiore. Buona prova della Kurilenko, che risulta a volte irritante ma per colpe non sue.

Outrage - Beyond (Concorso), voto 6.5. Kitano ritorna ai film sulla yakuza, in un complesso intreccio di delitti, tradimenti e colpi di scena. La trama sa di già visto, ma il film va e alcune scene, finale compreso, sono dei capolavori di tecnica cinematografica.

Pier

domenica 2 settembre 2012

Telegrammi da Venezia 2012 - #1

Anche quest'anno Filmora è a Venezia, e anche quest'anno vi proporremo dei brevi telegrammi sui film presentati alla Mostra del Cinema. Pronti? Via!


Superstar (Concorso), voto 7. Interessante analisi del paradosso della celebrità, in cui un uomo qualunque diventa famoso senza volerlo e senza sapere il perchè. Dalla polvere andrà sull'altare, per poi tornare nella polvere, in un percorso che analizza efficacemente i meccanismi dei media e della fama senza però brillare per originalità.

The Iceman (Fuori concorso), voto 7. Film di genere che esplora le gesta e la mente di un serial killer insospettabile, autore di efferati omicidi ma per anni amorevole padre di famiglia. Grande prova di Michael Shannon, film ben girato ma non certo un capolavoro.

The Reluctant Fundamentalist (Fuori concorso), voto 7. Mira Nair cambia totalmente genere e racconta la storia di un pakistano emigrato negli Stati Uniti che, nonostante la sua brillante carriera, vede la sua vita crollare dopo l'11 Settembre a causa della xenofobia crescente. Un bel film, narrativamente solido e filmicamente interessante (buon uso del flashback), che eccede però in durata e moralismo.

At any price (Concorso), voto 5. Film che ha l'ambizione di raccontare l'epica dissoluzione del sogno americano, ma che finisce per affondare in una sceneggiatura un po' deficitaria e in un cast non proprio convincente. Il rimando a film come Il Gigante o La valle dell'Eden è evidente, ma finisce per restare soltanto su carta. Peccato, aveva buone premesse.

Fill the void (Concorso), voto 6. Il dilemma interiore di una ragazza israeliana, costretta a scegliere tra sentimento e bene familiare, non convince del tutto, penalizzato anche da un finale incoerente e da un ritmo non eccezionale.

The Master (Concorso), voto 8.5. A livello tecnico non è all'altezza del Petroliere, ma il nuovo film di Anderson colpisce per la forza e l'ampiezza del messaggio. Un film non facile, che però entra sottopelle e fa riflettere, usando la storia di una setta sinistramente simile a Scientology come pretesto e strumento per indagare il rapporto umano con la libertà e il potere, il bisogno di essere unici e la necessità di essere accettati e, in un certo senso, comandati. Sorretto da un cast semplicemente strepitoso il film convince e prenota almeno un premio di rilievo, forse non solo qui alla Mostra.

Questo è tutto per ora. Nel prossimo capitolo i film italiani, finora una delle migliori sorprese della Mostra.

Pier