domenica 27 dicembre 2020

Soul

La scintilla della vita


Joe Gardner è un uomo di mezza età con il sogno di diventare un grande pianista jazz. Quando finalmente arriva quella che potrebbe essere la grande occasione, Joe cade in un tombino scoperchiato e la sua anima si ritrova nell'anticamera dell'Aldilà. Determinato a non morire proprio ora che il suo sogno è a portata di mano, Joe fugge e finisce nell'Ante Mondo, dove stringe un patto con una giovane anima, 22, che invece non ha la minima intenzione di andare sulla Terra. 

Perché siamo qui? Qual è il senso della vita? Due domande che attanagliano i filosofi da secoli, e che il cinema ha affrontato raramente, e quasi sempre in forma satirica (Amore e guerra di Woody Allen, Il senso della vita dei Monty Python) vista la loro natura immateriale, intangibile, antifilmica. Due domande che, dunque, sembrerebbero l'ultimo dei temi da scegliere per un film d'animazione destinato al grande pubblico: ma alla Pixar (e in particolare a Pete Docter, già regista di Monsters & Co, Up, e Inside Out) le sfide piacciono da sempre.

Soul parla di noi, di ciò che siamo, di ciò che ci spinge ad andare avanti. È un film che ha un tema, nessuno, e centomila, che si spinge in mille direzioni diverse e inaspettate, per poi tornare al punto di partenza e partire di nuovo in un territorio inesplorato. Soul inizia sulla terra, per poi portarci in un mondo fantastico, con eco di quello della "mente" di Inside Out (un tema familiare) per poi riportarci sulla Terra, nei mille quartieri di una città poliedrica come New York, e poi di nuovo in quel mondo, ma anche ai confini tra l'uno e l'altro (un tema sconosciuto), in spazi indefiniti ma non per questo privi di vita, di colore, di insegnamenti. 


È un film in cui i ruoli dei personaggi cambiano di continuo, in cui si fatica a riconoscere il vero protagonista, chi è l'insegnante e chi lo studente. È, insomma, una sceneggiatura a tempo di jazz, all'apparenza improvvisata ma in realtà dotata di una coerenza interna che non si può descrivere razionalmente, ma viene colta a livello intuitivo, emotivo. Forse questo è dovuto al fatto che l'anima di Soul (perdonate il pessimo gioco di parole), quel quid che pervade tutto il film e ne é bussola e Stella Polare, non è una tesi, ma una domanda - una domanda aperta a numerose interpretazioni e visioni perché, in fondo, non ha una risposta univoca.

Docter realizza un film che funziona come un dialogo platonico, spingendo lo spettatore a interrogarsi sulla domanda posta fin dai primi minuti, presentando numerosi punti di vista in continua evoluzione, per poi arrivare a un finale dove una risposta, forse, arriva, ma nel farlo apre la porta a un migliaio di altre domande. Questo non significa, tuttavia, che il film sia noioso o eccessivamente filosofico: Soul diverte, intrattiene e fa riflettere, offrendo, come quasi sempre nell'opus pixariano, molteplici livello di lettura e interpretazione, che a volte si notano solo a una seconda visione, in una continua scoperta che genera gioia e stupore.


L'animazione è una gioia per gli occhi, un perfetto mix tra lo stile Pixar e animazione tradizionale, in quello che è senza alcun dubbio il film Pixar più sperimentale da almeno dieci anni. Docter aveva già sperimentato l'unione delle due tecniche in Inside Out, nella sequenza del pensiero astratto, ma qui si spinge oltre, pescando a piene mani dalle suggestioni sia di passati lavori della Pixar (il corto Quando il giorno incontra la notte), sia dell'animazione europea (La Linea di Osvaldo Cavandoli) e giapponese (è evidente l'influenza della filosofia filmica di Miyazaki e dello Studio Ghibli), sia della storia dell'arte: i vari Jerry (e Terry) sono chiaramente debitrici di tutte queste tradizioni, e le rielaborano in modo creativo e originale, arricchendo il linguaggio espressivo del film e donandogli quella "diversità" necessaria per rappresentare concetti astratti e oltremondani. Docter cerca di rappresentare l'infinito, il sublime, e ci riesce grazie a un lavoro di sottrazione e semplificazione, che libera lo schermo di inutili fronzoli e lascia lo spettatore colmo di meraviglia di fronte alla perfetta semplicità delle immagini.

La musica, per la prima volta in un film Pixar, è elemento centrale del film, ne influenza la struttura, la trama, il ritmo, lo definisce e lo arricchisce, senza diventare un'ossessione militare come in Whiplash, ma accompagnando dolcemente le vicende, come l'eco di un sogno che non vuole spegnersi e continua a vivere in noi e intorno a noi.

Soul è un film maturo, innovativo, ambizioso; è un film che celebra la forza vitale della creatività e la forza creativa della vita, che ha il coraggio di spingersi in territori inesplorati dal punto di vista sia strutturale che visivo, e ne riemerge con una sicurezza e una certezza nuova, una ricchezza espressiva che rispecchia quella dei suoi protagonisti e la rilancia verso lo spettatore, spingendolo a interrogarsi, stupirsi, e a continuare a cercare. Non perdetelo.

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Pier

martedì 15 dicembre 2020

Mank

Algido esercizio di stile


California, 1940. Il giovane talento del teatro Orson Welles commissiona a Herman J. Mankiewicz, grande sceneggiatore limitato dal vizio dell'alcool, la sceneggiatura per il suo primo film da regista. Mank, a causa di un incidente, è bloccato a letto, e si isola nel deserto del Mojave per scrivere la storia. Finirà per ispirarsi a quello che, una volta, era stato il suo mecenate: William Randolph Hearst, magnate dell'editoria. La sceneggiatura di Mank e il film di Welles passeranno alla storia del cinema: si tratta, infatti, di Quarto Potere.

David Fincher ha dimostrato un talento particolare nel raccontare storie personali che diventano anche spaccati generazionali e sociologici. Da The Social Network a Zodiac, i suoi film nel campo non sono mai banali, spesso profondi, a volte addirittura profetici. Non sorprende, quindi, che Fincher abbia deciso di confrontarsi con il film biografico più famoso della storia del cinema, raccontando le vicende di uno dei suoi creatori, Herman Mankiewicz. Quarto Potere è infatti la quintessenza della storia personale che si fa storia del paese e addirittura storia universale, una parabola sul lato oscuro del sogno americano e sulla condizione esistenziale umana di rara forza e potenza evocativa. Un film che parla di potere, di etica, di orgoglio, di ambizione, ma anche di comunicazione e del potere dei mass media: tutti temi che non potevano che attirare Fincher, inducendolo a realizzare l'ambiziosa sceneggiatura scritta da suo padre.

Quarto Potere è un film che ancora oggi, a quasi 80 anni dalla sua uscita, stordisce per la sua portata rivoluzionaria a livello narrativo e visivo, con alcune soluzioni che rimangono punto di riferimento imprescindibile, imitate ma mai superate o rielaborate. Si può dire che pochissimi film (forse nessuno) abbiano cambiato il linguaggio cinematografico quanto Quarto Potere, ed è paradossale che Fincher decida di raccontare la genesi delle sue innovazioni narrative decidendo di non parlare di quelle stilistiche al tempo stesso di riprodurle pedissequamente, con citazioni che sono al limite del plagio di cui sfugge completamente il punto. Se l'intento era di dimostrare la replicabilità delle innovazioni di Welles, l'esercizio risulta pedante e inutile, dato che rifare qualcosa nel 2020 non dimostra che fosse poco innovativo nel 1941. Se l'intento era invece omaggiarlo, risulta di difficile comprensione la scelta di sminuire il contributo e la figura di Welles durante tutto il film, abbracciando in modo subdolo la tesi revisionista di Pauline Kael già ampiamente smentita dalle ricerche condotte da critici e storici del cinema (per chi fosse interessato, qui si può trovare un ottimo riassunto).

La sceneggiatura ha dialoghi brillanti e ben ritmati, ma risulta molto superficiale nello sviluppo dei personaggi ed eccessivamente didascalica nella struttura: i cambi scena scanditi dalle battute della macchina da scrivere, come accade nelle sceneggiature, sono un trucco vecchio e trito che uccide il ritmo del racconto e rende i flashback un artificio retorico stanco e frusto anziché un modo di vivacizzare la narrazione e moltiplicarne i punti di vista. La sceneggiatura, insomma, è l'esatto opposto di quella di Mankiewicz (e Welles), caratterizzata da una scrittura vitale, mai noiosa né didascalica, innovativa anche per la capacità di usare i flashback senza bisogno di "segnarli" temporalmente con didascalie o simili. Anche i temi trattati con maggiore efficacia, come quello dell'influenza dei mass media e delle notizie false (già attuale negli anni Quaranta, a riprova che la Storia non è altro che un eterno ritorno dell'uguale), sanno comunque di "già visto", e non aggiungono nulla a quanto già detto da Mankiewicz e Welles e dallo stesso Fincher in The Social Network.

Se non ci si annoia è merito di una regia come sempre sopraffina, ma soprattutto delle grandissime prove degli attori: Gary Oldman giganteggia nella parte di un uomo che è il suo peggior nemico, segnato dalla vita e incapace di fuggire da se stesso, ma accanto a lui offrono ottime prove anche Amanda Seyfried e Charles Dance, semplicemente perfetto nella parte di quel William Randolph Hearst che fu l'ispirazione per Charles Foster Kane.

Fincher realizza una riflessione sul cinema di grande interesse storico e biografico e fattura eccellente, ma di scarso interesse cinematografico. La sensazione è che, nell'ansia di portare avanti una tesi preconfezionata, Fincher sia rimasto in parte prigioniero di forma e contenuto e abbia dimenticato l'anima del film, sia dal punto di vista creativo che narrativo. Mank rimane un'opera realizzata in modo mirabile, ma senza dubbio un passo indietro per un regista che, anche nelle sue opere apparentemente meno autoriali, ci aveva abituati a un'innovazione radicale e mai fine a se stessa.

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Pier

sabato 12 dicembre 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Christmas Special

Torna Nuovo Cinema Paravirus, la rubrica nata durante questa pandemia che sembra non voler andare più via (speriamo che, come per le feste, ci pensi l'Epifania), con uno speciale dedicato al cinema natalizio.


I tre film segnalati (un grande classico, un film da riscoprire, e un film per ragazzi) di oggi sono:

1) Love Actually (Netflix, Prime Video, Now TV, Sky). Un classico moderno, che ha fatto breccia nel cuore degli spettatori grazie al perfetto mix di commedia e dramma, risate e commozione. Cast e personaggi memorabili, tra cui spiccano il primo ministro di Hugh Grant, il marito fedifrago di Alan Rickman, e soprattutto il vecchio rocker di Bill Nighy alle prese con un'esilarante cover natalizia.

2) Una promessa è una promessa (disponibile a noleggio su vari servizi). Meno conosciuto di altri film di Schwarzenegger, questo film è in realtà una piccola perla natalizia, un film d'azione per ragazzi che racconta l'odissea di un padre per regalare al figlio il regalo che desidera e non perderne l'affetto. Da rivedere.

3) Mamma ho perso l'aereo (Disney+). Un classico immortale, che ha segnato l'infanzia di un'intera generazione e funziona benissimo ancora oggi, grazie a una sceneggiatura perfetta, a un'irresistibile coppia di ladri, e alla straordinaria naturalezza di Macaulay Culkin. 

Al prossimo Speciale di Nuovo Cinema Paravirus! Nel frattempo, continuate a seguire Film Ora per articoli e recensioni.

Pier


giovedì 10 dicembre 2020

Tesori Nascosti - #7: Edizione Natale

Torna "Tesori nascosti", la rubrica che segnala film meritevoli di recupero passati inosservati o quasi in Italia. Vista la vicinanza con il Natale, la puntata di oggi è dedicata ai film ambientati nel periodo delle feste di Natale.

Ogni film è corredato di voto, informazioni su dove reperire il film, e di un breve commento o un link alla nostra recensione.


1. Le 5 leggende, voto 7.5
Generefantasy
Anno: 2012
Regista
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: Netflix, Infinity
Commento: Babbo Natale, la Fatina dei Denti, il Coniglio di Pasqua e Sandman non sono solo leggende: sono i Guardiani che proteggono li sogni dei bambini di tutto il mondo. Quando Pitch Black, l'Uomo Nero, decide di scacciarli e farli precipitare nell'oblio, i Guardiani hanno bisogno d'aiuto. Uno splendido film di Natale, una delle vette dell'animazione Dreamworks, in grado di far sognare bambini e adulti. Qui la recensione completa.

2. Klaus - I segreti del Natale, voto 9.
Genere: fantasy
Anno: 2018
RegistaDavid Lowery
DVD: no
Streaming: Netflix
Commento: Un postino assegnato a una località sperduta nel Nord Europa ravviva l'attività epistolare della zona grazie all'aiuto di Klaus, burbero creatore di bellissimi giocattoli artigianali. Una splendida favola, una storia di amicizia, ma soprattutto un film che sperimenta nuove, magnifiche tecniche di animazione, aprendo nuove possibilità per il futuro di un mezzo in continua evoluzione.

3. Kiss Kiss Bang Bang, voto 8.
Genere: azione, commedia
Anno: 2005
Regista: Shane Black
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: Infinity
Commento: Un ladruncolo e un investigatore privato senza lavoro sono costretti a collaborare e a indagare sulle misteriose morti di due ragazzi. Buddy cop movie abbastanza sui generis, ambientato a Natale (come spesso accade con Shane Black): geniale, stralunato, vivace, un film d'azione che ammicca al noir e che diverte e tiene con il fiato sospeso. Robert Downey Jr. e Val Kilmer semplicemente perfetti.

4. SOS Fantasmi, voto 7.
Genere: commedia drammatica
Anno: 1988
Regista: Richard Donner
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: NowTV, Sky
Commento: Rivisitazione in chiave moderna de Il canto di Natale, con un Bill Murray in gran forma nella parte del direttore di network televisivo che deve produrre un musical proprio ispirato all'opera di Dickens. Racconto e meta-racconto si intersecano, dando vita a una storia surreale che permette a Bill Murray di esibire tutte le sue doti di mattatore.

5. Ogni Maledetto Natale, voto 7.
Genere: commedia, satira
Anno: 2016
Regista: Giacomo Ciarrapico , Luca Vendruscolo , Mattia Torre
DVDsì, edizione italiana
Streaming: Netflix
CommentoDagli autori di Boris, una satira sociale in salsa natalizia, in cui due ragazzi di diversa estrazione sociale si trovano a trascorrere il Natale con le famiglie dell'altro. Il film, pur peccando a tratti di retorica, diverte e intrattiene senza aver paura del politicamente scorretto (il personaggio di Corrado Guzzanti), con la satira resa più efficace dallo stratagemma di avere gli stessi attori che interpretano ambedue le famiglie, a sottolineare come l'una non sia altro che lo specchio deformato dell'altra.

6. Elf - Un elfo di nome buddy, voto 7.
Genere: commedia fantastica
Anno: 2003
Regista: Jon Favreau
DVDsì, edizione italiana
Streaming: Sky, Infinity
Commento: Per un caso del destino, un bambino viene cresciuto da Babbo Natale e dagli elfi. Quando diventa troppo grande per restare con loro, sarà costretto ad andare in cerca dei suoi veri genitori. Un Will Ferrell in formissima è protagonista di un film che unisce alla perfezione i toni da commedia per famiglie con quelli più demenziali e satirici del suo cinema.

Pier


lunedì 7 dicembre 2020

The gentlemen

La spettacolarità del già visto


Fletcher, un investigatore privato, si intrufola nella casa di Raymond Smith, un gangster e sua vecchia conoscenza, per raccontargli una storia che vede coinvolto il suo capo, il trafficante di droga Mickey Pearson. Raymond sta al gioco, dando il via a una serie di rivelazioni ed eventi che coinvolgono strambi gangster di quartiere, spie, politici, e una serie di doppi giochi.

Dopo anni di lontananza e qualche passo falso, Guy Ritchie torna al genere che lo ha reso famoso, quel mix di gangster movie, commedia e azione che costituiscono il suo marchio di fabbrica. Lo fa con una storia scoppiettante e ritmata, interpretata da attori divertiti e divertenti, che giocano e si mettono in gioco, aiutando Ritchie a creare un gioco di specchi che tiene alta la suspense fino al finale.

Ritchie sembra ispirarsi a Rashomon per la struttura narrativa, con una serie di narratori inattendibili che offrono la loro prospettiva sugli eventi, riempiendo i buchi lasciati dagli altri e ribaltando intere situazioni. L'alternanza tra passato e presente funziona e fa sì che il film non cali mai di ritmo, sorretto ora dalla brillantezza dei dialoghi, ora dalle scene d'azione, ora dalle rivelazioni inaspettate. Ritchie costruisce un gioco di scatole cinesi ben architettato, in cui ogni pezzo cade al suo posto con precisione, lasciando sempre lo spettatore mezzo passo indietro, abbastanza vicino da incuriosirlo e interessarlo a risolvere l'enigma, ma non abbastanza da rivelargli la soluzione.

Il cast è superlativo e perfetto per i personaggi disegnati da Ritchie, la solita galleria umana di soggetti improbabili, eccentrici, sopra le righe.Tra tutti, spiccano uno Hugh Grant in un ruolo inedito che però sembra scritto apposta per lui, e un Colin Farrell stralunato gangster guidato da rigidi principi pedagogici. 

Nonostante il film funzioni, tuttavia, resta una sensazione di già visto, come se The Gentlemen fosse semplicemente una rivisitazione di temi, situazioni, e tecniche già utilizzate in passato da Ritchie. Manca un tentativo di fare qualcosa di diverso, come se Ritchie, dopo essersi avventurato "lontano da casa" con progetti come Aladdin, volesse tornare in fretta in un porto sicuro e conosciuto.

Il risultato è un film che intrattiene, ma solo in modo superficiale, senza risultare memorabile come The Snatch o Lock & Stock. Forse è anche ingiusto chiedere di più a Ritchie, un regista che ha sempre fatto dell'intrattenimento il suo principale obiettivo. Tuttavia, nel suo intento "commerciale", Ritchie aveva anche creato un suo linguaggio espressivo che, nonostante gli evidenti debiti tarantiniani, era riuscito a ritagliarsi una sua identità distintiva. In The Gentlemen ritroviamo quel linguaggio, e scopriamo che, nonostante non sia cambiato in nulla, funziona ancora egregiamente. E, forse, alla fine va bene così.

*** 1/2

Pier

Nota: The Gentlemen, a lungo posticipato per via della pandemia, è uscito in streaming su Amazon Prime Video.