martedì 31 marzo 2009

Luigi Zampa - I dimenticati: puntata 2


Luigi Zampa (1905 - 1991) è uno dei tanti, ottimi registi italiani attivi negli anni '50 e 60' di cui non viene riconosciuto il valore, solo per il fatto di aver lavorato nello stesso periodo di miti del nostro cinema come Visconti, De Sica e Rossellini.

E' evidente che Zampa non è al livello di questi mostri sacri, ma è altrettanto evidente che, se lavorasse ai giorni nostri, la sua capacità di realizzare film sinceri e profondi lo renderebbe uno dei migliori registi contemporanei.

Zampa ha alternato per tutta la sua carriera film di aperta denuncia e forte impegno sociale con commedie apparentemente spensierate, ma in realtà dotate della stessa carica critica di film considerati più "seri".

Uno dei suoi capolavori è Anni Difficili, amara satira sul comportamento della popolazione italiana durante il ventennio fascista. Attraverso la storia di un padre di famiglia, costretto a prendere la tessera del partito per non perdere il lavoro, Zampa racconta le ipocrisie e le contraddizioni di coloro che, pur non essendo apertamente fascisti, contribuirono con il loro silenzio al consolidamento della dittatura.


Il tema del silenzio-assenso della popolazione ritorna anche in quello che personalmente considero il film migliore di Zampa, Processo alla città. 
Partendo da un soggetto di Francesco Rosi, Zampa racconta il primo processo per camorra avvenuto a Napoli, evidenziando come le ramificazioni dell'associazione mafiosa si estendessero a ogni livello della popolazione; la forza e la violenza della denuncia sono eccezionali, e si sono dovuti attendere 52 anni perchè un film, nella fattispecie Gomorra, riuscisse ad eguagliarle.


Zampa ha anche realizzato tre film che hanno consacrato uno dei più grandi attori della commedia italiana: Alberto Sordi. Le pellicole in questione sono Il vigile, Il medico della mutua e Bello, onesto, immigrato Australia... , satire impietose del malcostume italiano e punto di partenza per uno dei capolavori di questo genere, Un borghese piccolo piccolo di Monicelli.



Questi titoli sono celebri, ma molti non ne conoscono il regista. Soprattutto, molti non riconoscono il grande lavoro autoriale di Zampa, in grado di realizzare film di ampio respiro politico e sociale, agendo nel solco della commedia all'italiana ma arrivando alle proprie originali conclusioni.

Pier

lunedì 30 marzo 2009

Two lovers

Quando Truffaut incontra Dostoevskij


Two lovers è una storia d'amore come tante altre: lui, appena lasciato dalla ragazza e tornato a vivere con i genitori, incontra lei, amante di un uomo sposato. In mezzo a loro, la figlia di un amico dei genitori del ragazzo, dolce e sensibile, e ovviamente gradita alla famiglia.


Ciò che distingue Two lovers da un qualunque film sentimentale sono le atmosfere, che richiamano alla mente i romanzi di Dostoevskij, Notti bianche e Povera gente su tutti.

Due solitudini che si incontrano, un amore che nasce, fatto di dialoghi più che di sesso, ma contrastato dal nemico più feroce di tutti, la realtà.

Il film è caratterizzato da atmosfere notturne, delicate, ovattate, ad evocare quasi un mondo a parte, dove tutto è possibile e niente è proibito.


La regia è molto truffautiana, con cinepresa a mano e lunghi piani-sequenza a descrivere una realtà non reale, sorta di limbo in cui, seppur per poco, cercano di rifugiarsi i protagonisti.

Joaquin Phoenix offre una prova eccellente e intensa, ben supportato da Gwyneth Paltrow e da Vinessa Shaw, amante dolce e comprensiva, e porto sicuro al quale fare ritorno in caso di disgrazia.


Two lovers è un film che merita di essere visto per la sua onestà e capacità di raccontare senza inutili fronzoli il sentimento più semplice e complesso che ci sia: l'amore.


***1/2


Pier

sabato 28 marzo 2009

Gran Torino

Il saluto di un grande



Pare che questo sarà l'ultimo film di Clint Eastwood come attore. Ed è un peccato.
E' un peccato perchè Clint non è solo un regista eccezionale, capace di girare in un anno due film come Changeling e Gran Torino.
Ma è anche, e prima di tutto, un ottimo attore, in cui la monoespressività del viso è ampiamente compensata dalle capacità recitative e dall'uso degli occhi.

In questo film, gli occhi e l'obiettivo di Clint si uniscono, per l'ultima volta, per raccontarci la storia di Walt, reduce della guerra in Corea ed ex operaio della Ford, in pessimi rapporti con i figli e appena rimasto vedovo. Come ciliegina sulla torta, è rimasto l'unico americano in un quartiere abitato interamente da asiatici.

Sembrerebbe il prologo di un film drammatico, ma Eastwood lo trasforma quasi in una commedia, una commedia amara, certo, ma ricca anche di humour e momenti allegri.
Da antologia in questo senso i dialoghi con il prete del paese, che riecheggiano quelli di Million Dollar Baby.

Il rude Walt finisce per prendere sotto la sua protezione un ragazzino cinese, Tao, e grazie a lui riscopre quei valori della famiglia che sembrava avere perduto. E qui sta la grandezza di Eastwood, perchè proprio quando lo spettatore si è ormai rilassato e abituato al nuovo clima di armonia, il dramma torna ad affacciarsi prepotentemente: una banda rapisce e sevizia la sorella di Tao.
La vendetta di Walt non si farà attendere, con un finale dal sapore western.

Eastwood chiude la sua carriera da attore con un personaggio che è impossibile non vedere come un omaggio a quelli che lo hanno reso famoso: Walt è rude e sgarbato all'apparenza, come lo erano Callaghan e il pistolero dei film di Leone. E, come loro, è in fondo una brava persona, per cui la solitudine non è una scelta, ma uno stile di vita.

Il film torna ad analizzare il rapporto tra bene e male, tanto caro all'Eastwood regista, e lo porta alle sue estreme conseguenze, fino ad arrivare al gran finale, di una bellezza quasi stordente.

Dunque addio, Biondo. E anche se i tuoi occhi non compariranno più sullo schermo, sappiamo che continueranno a catturare la realtà e a tradurla in film indimenticabili.

*****

Pier

mercoledì 25 marzo 2009

Budd Boetticher - I dimenticati: puntata 1


Budd Boetticher (1916 – 2001) è stato uno dei più grandi registi western della storia. 
Il suo talento, tuttavia, è stato riconosciuto solo molti anni dopo, e in Europa si è dovuta addirittura attendere la sua morte per giungere a una sua rivalutazione, culminata con la retrospettiva dedicatagli dalla Mostra del Cinema di Venezia nel 2007.  

I western di Boetticher sono stati a lungo considerati b-movies, dato che erano girati con budget ridottissimi.  Le sue scarse fortune durarono fino all'esplosione dello spaghetti-western, quando i puristi del genere, sopraffatti dall'overdose di sparatorie, sangue e violenza delle nuove pellicole, si accorsero del valore artistico delle opere del regista di Chicago, dando inizio al processo di rivalutazione


I western di Boetticher presentano alcune caratteristiche comuni: le trame sono spesso molto simili e gli attori interpretano gli stessi ruoli (il villain, l'eroe solitario, la donzella in pericolo) anche per più film.  
Il John Wayne di Boetticher è stato Randolph Scott, perfetto interprete di quel personaggio solitario che vaga attraverso paesaggi di brutale bellezza in cerca di vendetta.  Boetticher sfrutta il paesaggio come fosse un personaggio della trama, pronto ad aiutare o ad ostacolare il protagonista a seconda delle situazioni. La maestosità e la superiorità della natura emergono prepotentemente da ogni inquadratura, come nel più classico dei western di John Ford.  

Tra i suoi film, vi segnalo The Tall T, Comanche Station e Ride Lonesome, con quest'ultimo particolarmente meritevole per recitazione e regia.


Prossimo appuntamento: mercoledì 1 Aprile con Luigi Zampa.

Pier

lunedì 23 marzo 2009

Nuova rubrica

I dimenticati


Ogni mercoledì, dedicheremo un articolo a un personaggio del mondo del cinema sottovalutato o spesso dimenticato dal pubblico e/o dalla critica.

Questa rubrica si propone di raccontare la storia del cinema in modo nuovo e particolare, facendovi conoscere personaggi che, seppur marginalmente, sono stati importanti per lo sviluppo della settima arte.

Si comincia mercoledì 25 con Budd Boetticher, maestro dimenticato del cinema western.

domenica 22 marzo 2009

Giulia non esce la sera

Un valido film italiano


Guido è uno scrittore di successo canditato ad un premio prestigioso. Giulia è un'istruttrice di nuoto in libertà vigilata. Cosa hanno in comune?Apparentemente niente. Dopo essersi conosciuti nella piscina dove Giulia lavora, i due protagonisti iniziano una storia d'amore fugace e strana, così come strane sono le vite che i due protagonisti stanno vivendo. Guido è uno scrittore di libri che nessuno finisce, un autore non convenzionale, che non legge, non conosce niente, non ha vissuto storie o situazioni particolari. Ha una figlia molto introversa con un fidanzatino, Filippo, che legge Kafka e ascola Richard Anthony. Giulia ha perso tutto, libertà e maternità e cerca in Guido un appiglio per non affondare, anche se non sarà abbastanza.

Il film è complesso, psicologico. Racconta la storia di due personaggi, ben definiti nelle personalità,  distaccati da una realtà che non gli appartiene più, come per Giulia, o che non li riconosce, specialmente Guido continuamente immerso nelle storie che scrive. In tutto questo la piscina è un punto di equilibrio dove i loro mondi surreali possono trovare un punto di contatto. Non è casuale la scelta del nuoto e della vasca, dove il distacco con il mondo esterno è massimo e dove la solitudine e il far di conto con i propri pensieri è imprenscindibile. 

Al di là dei motivi sottostanti che definiscono queste contorte e drammatiche storie, ben curate e narrativamente valide, il film si sviluppa ellitticamente intorno al punto focale del ambiente "piscina". Quello che sta fuori è reale e in quanto tale impossibile e inaffrontabile come la figlia di Giulia, la moglie, l'editrice e i premi di Guido, il carcere, un libro non finito da nessuno; tutto ciò  fa da cornice ad un punto di transizione rappresentato dalla piscina, dove si è sospesi da terra, dove si è soli, immersi in una realtà artificiciale e fantasiosa. Il regista, Piccioni, questo lo evidenzia magistralmente, utilizzando una fotografia che inquadra i due attori lontani, quando in acqua, e vicini quando fuori.

Il film è lento, struggente e i due attori, Golino e Mastandrea che ammetto non piacermi più di tanto, rappresentano i personaggi con espressioni fredde, drammatiche e a volte anche comiche in modo efficace creando empatia nello spettatore e coinvolgendolo nel dramma che caratterizza la loro storia d'amore impossibile.

***
Alessandro

sabato 14 marzo 2009

Live! Ascolti record al primo colpo

Critica alla società americana, ma il gioco non sta in piedi

 Eva Mendes è Katy Courbet produttrice televisiva ossessionata dagli ascolti televisivi e dalla competizione con gli altri network. La sua ambizione e presunzione la porteranno a organizzare lo show del secolo "La roulette russa" nella quale sei concorrenti si sfideranno a colpi di rivoltella. Per cinque di loro ci sarà la gloria e soldi, per uno la morte in diretta.

La storia del film è pressochè questa, semplice e lineare con poco altro.  Il regista, Bill Guttentag, premio oscar nel 2003 per un cortometraggio sulle Twin Towers e creatore della serie Crime & Punishments, successo negli USA, utilizza il mondo televisivo per riflettere sulla drammaticità sociale che stanno vivendo gli Stati Uniti. Come sottolineato da Eva Mendes nel film, il bigottismo americano che si scandalizza alla vista di un capezzolo in TV, ma che non esita a trasmettere morti ammazzati classificandoli sotto la categoria "informazione", è al centro di questa eccessiva quanto assurda pellicola.

Ben distante dal capolavoro sulle stesse tematiche (che consiglio di vedere) di Sidney Lumet Quinto Potere,  il film di Guttentag cerca di sconvolgere nell'assoluta normalità con cui il tutto viene organizzato (l'approvazione giuridica, l'approvazione della censura, l'approvazione politica e del management). Tuttavia le riflessioni sul mezzo televisivo, quale strumento dalla capacità di tirare fuori il peggio dalla società, sono moraliste e superficiali, senza alcun approfondimento psicologico o con spessore sociologico. Il film finisce per essere lo show organizzato dalla Courbet, niente di più e niente di meno, che potrebbe interessare un quindicenne in cerca di adrenalina anche se poi, per la dinamica dello show, la morte del personaggio è annunciata.

**
Alessandro

giovedì 5 marzo 2009

The Wrestler

Quando un film arriva dritto al cuore


Può la storia, già vista e stravista, di un lottatore a fine carriera che cerca disperatamente di sparare gli ultimi colpi, diventare un film capace di emozionare e appassionare il pubblico? Può un attore, con una sua performance, arrivare diritto al cuore dello spettatore, senza passare dal via?

La risposta è sì. The Wrestler è questo, ma anche di più: perchè dietro alla storia di Randy “The Ram” Robinson ci sono tante piccole, grandi cose: c'è una splendida regia di Darren Arronofsky, che dopo il disastro di The Fountain torna sui suoi livelli con un film apparentemente non nelle sue corde; c'è una storia di diseredati dell'America d'oggi, raccontata in sordina, sommessamente, ma presente e ben viva, grazie anche al personaggio e all'interpretazione di Marisa Tomei; c'è una colonna sonora azzeccata, formata prevalentemente da pezzi dei Guns n' Roses e impreziosita da una splendida canzone di Bruce Springsteen, composta apposta per il film.

Ma soprattutto c'è la performance toccante e indimenticabile di Mickey Rourke: penso sia impossibile raccontare le sfumature e i cambi di tono che Rourke regala al suo personaggio.

Avete solo un modo per capire di cosa parlo: andare al cinema a vedere The Wresler.

Non ve ne pentirete.

***** (*****)

Pier