martedì 25 aprile 2023

Super Mario Bros. - Il film (In pillole #25)

Un'overdose di zucchero


Super Mario Bros. - Il film è una conferma dell'adagio popolare "il troppo stroppia". Di per sé gli ingredienti sono quelli giusti: la grafica è perfetta, i doppiatori azzeccati (cosa che diviene un difetto in italiano, in cui alcuni personaggi perdono tantissimo in quanto chiaramente caratterizzati sulla base del doppiatore originale). L'ambientazione è fedelissima a quella del videogioco, e i momenti di fan service abbondano. Tuttavia, il ritmo e la narrativa sono quelli di un ottovolante, non quelli di un film: gli eventi si susseguono senza sosta, senza dare il tempo di conoscere i personaggi, che vengono scaraventati di fronte allo spettatore in un'orgia di colori, suoni e inseguimenti. 

I registi sembrano in preda all'ansia di dover mostrare più cose e scenari possibili, come se non ci fosse la possibilità di un sequel (già garantito, visto l'enorme successo commerciale) e si dovessero mettere in vetrina tutti i gioielli di famiglia nello spazio di novanta minuti.

La natura videoludica del prodotto è fin troppo evidente, con l'elemento "ludico" che soverchia quello "video": il target sono chiaramente bambini in età scolare, da stordire di zucchero per renderli dipendenti e iperattivi e fare loro urlare: "Un altro giro!"

Non stupisce, dunque, il successo commerciale: resta però il rammarico per aver raccontato in modo così superficiale una storia che aveva decisamente il potenziale per poter avere un diverso spessore emotivo. Per dirla con due film della stessa casa di produzione (Illumination), poteva essere un Cattivissimo me, ma si è scelto di farne un Minions. Peccato.

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Pier

lunedì 24 aprile 2023

I Tre Moschettieri - D'Artagnan

Stoccate che vanno a segno


D'Artagnan, giovane Guascone, vuole diventare un moschettiere del re Luigi XIII, e per questo si reca a Parigi, deciso a mettersi al servizio del capitano de Tréville. Durante il viaggio assiste a un rapimento, e al suo arrivo nella capitale litiga con ben tre moschettieri del re, che lo sfidano a duello. Questi eventi saranno solo l'inizio di una serie di rocambolesche avventure che lo porteranno a confrontarsi con intrighi di palazzo, guerre di religione, e relazioni sentimentali pericolose.

I tre moschettieri è uno dei romanzi d'avventura più celebri, ed è quindi stato oggetto di innumerevoli tentativi di adattamento, quasi tutti a opera di Hollywood (l'ultimo adattamento francese risaliva al 1953). La storia si presta facilmente alla trasposizione filmica grazie a personaggi ben caratterizzati e al tourbillon di avventure, rivelazioni, e amori proibiti. 

La scrittura di Dumas è, in sintesi, incredibilmente adatta al gusto dell'entertainment contemporaneo. Ciononostante, i precedenti adattamenti più recenti avevano fallito miseramente il tentativo di rendere appieno la gioiosa palpitazione trasmessa dalle pagine, oscillando tra due estremi opposti: da una parte la spettacolarizzazione a tutti i costi, che finiva per svilire le caratterizzazioni dei personaggi e sacrificare gli elaborati intrighi concepiti da Dumas sull'altare della semplificazione; dall'altra una scarsa attenzione alle scene di combattimento, realizzate con standard vecchi e stantii che sfiguravano di fronte all'evoluzione del genere di anni recenti.

I Tre Moschettieri - D'Artagnan supera d'un balzo tutti questi difetti, presentando scene d'azione spettacolari e personaggi memorabili e caratterizzati con grande fedeltà. I pochi cambiamenti presenti vengono incontro al gusto contemporaneo, ma sono sorprendentemente coerenti sia con lo spirito del romanzo originale, sia con la personalità dei personaggi che vanno a toccare. I combattimenti e gli inseguimenti sono girati con grande fluidità, utilizzando virtuosi piani sequenza che immergono lo spettatore nel duello, facendogli percepire il pericolo, le stoccate, il fango e il sangue. Il regista Martin Bourboulon dimostra di aver imparato la lezione dei migliori action movie degli ultimi anni, e gira l'azione con una chiarezza e una nitidezza che aumentano lo spettacolo. Anche l'attenzione alle scenografie è eccellente, e si sposa alla perfezione con una fotografia crepuscolare (numerose le scene notturne o a lume di candela) che però non sacrifica mai la nitidezza dell'immagine. 

Azzeccatissimo anche il cast, dai volti noti come Garrel, Cassel (un Athos da antologia il suo, dolente e fiero come dovrebbe essere) e Eva Green (difficile immaginare una Milady migliore) ai meno conosciuti Francois Civil (un d'Artagnan semplicemente perfetto, guascone al punto giusto), Romain Duris (un Aramis donnaiolo e intrigante come Dio comanda) e Pio Marmaï (un Porthos meno imponente che in altri adattamenti, ma viveur e scoppiante di energia come nelle descrizioni di Dumas). Si distinguono, e non è poco, considerando alcune esperienze precedenti, anche le due protagoniste femminili: una Vicky Krieps sempre perfetta nei film in costume (la ricorderete ne Il filo nascosto) che dona grande spessore alla sua regina Anna, e una Lyna Khoudri che riesce a dare personalità e vitalità all'altrimenti piatto personaggio di Constance. 

Qualcuno potrebbe lamentare la natura di "puro intrattenimento" del film, e non avrebbe torto: non ci sono certo grandi tematiche o riflessioni filosofiche, se non molto in superficie. Tuttavia, sarebbe un rimprovero ingiusto, perché tale è la natura del romanzo di partenza, un feilluetton in piena regola, che fa dell'avventura e dell'intrattenimento la sua cifra. I Tre Moschettieri - D'Artagnan ha, dunque, un solo difetto, quello di finire un po' troppo in medias res (ma non è il primo adattamento di Dumas a farlo): una scelta comprensibile vista la mole di materiale, ma che potrebbe lasciare spiazzato chi non conoscesse già la vicenda narrata. 

La qualità del primo capitolo, tuttavia, dovrebbe far sì che rimanga l'acquolina in bocca per vedere il secondo, previsto per il Natale di quest'anno. Rimane una scommessa rischiosa da parte della produzione: ma, come ci insegnano i moschettieri, che cos'è la vita senza un po' di rischio? Auspichiamo che paghi i dividendi sperati, e porti all'adattamento anche di Vent'anni dopo e, soprattutto, de Il Visconte di Bragelonne, forse il più bel capitolo della saga e quello fin qui più bistrattato dalla settima arte.

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Pier

domenica 23 aprile 2023

Dungeons & Dragons - L'Onore dei Ladri

La forza della semplicità


Nel mondo di Faerûn, Edgin, un bardo, e Holga, una barbara, si trovano in una prigione nelle lande innevate della Valle dal vento gelido. Sono finiti in galera a seguito di un colpo andato male, cui Edgin aveva accettato di partecipare per recuperare un artefatto che avrebbe potuto riportare in vita la moglie morta. Condannati ad anni di reclusione, Edgin e Holga sono però decisi a evadere per ricongiungersi alla figlia di Edgin, che hanno lasciato in custodia a un loro vecchio alleato, l'astuto truffatore Forge. La loro missione si rivelerà più complessa del previsto.

Diciamolo subito: L'onore dei ladri non brilla per originalità in termini di ambientazione e tematiche, al punto che il regno fantastico in cui si svolge potrebbe essere descritto come "generico reame fantasy." Tuttavia, questa mancanza di originalità non è un difetto, ma una scelta ben precisa: creando un mondo facilmente riconoscibile e decodificabile da chiunque, il film può dedicare più tempo a ciò che più gli interessa, ovvero i personaggi e le loro relazioni. E qui Jonathan Goldstein e John Francis Daley fanno un ottimo lavoro, sfruttando gli archetipi già presenti nel gioco di ruolo come scheletro e arricchendoli con background ben tratteggiati e personalità interessanti e divertenti. 

Ciò che funziona sono soprattutto i rapporti tra i personaggi, le loro motivazioni per collaborare, e soprattutto il processo di costruzione del gruppo. Come ne I Guardiani della Galassia o, guardando più indietro, Quella sporca dozzina, il film si focalizza su come un'accozzaglia di semisconosciuti diventi una compagnia coesa e compatta - una famiglia sui generis in grado di affrontare nemici sempre più potenti e di valorizzare i talenti individuali dei propri membri: in sintesi, esattamente ciò che accade (o dovrebbe accadere) in un bel gioco di ruolo.

La sceneggiatura è aiutata da una computer grafica di livello (di questi tempi non è sempre scontato, nonostante l'alto budget a disposizione) e soprattutto da un cast molto azzeccato: Chris Pine è perfetto nel ruolo di leader fuori posto, Michelle Rodriguez ha sia il fisico che l'autoironia necessari per interpretare la barbara, e Sophia Lillis ha il giusto mix di simpatia e aspetto oltremondano per essere credibile come tiefling druida. Hugh Grant è uno splendido cialtrone inaffidabile, e Regé-Jean Page, reso celebre da Bridgerton, dà vita a un paladino talmente virtuoso da diventare ottuso, che dà vita ad alcuni dei momenti più esilaranti del film: quasi dispiace si unisca alla compagnia solo per parte del viaggio. A brillare, tuttavia, è soprattutto il giovane stregone imbranato di Justice Smith, vero cuore emotivo della trama, sia nelle note comiche che in quelle più introspettive.

Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri è un ottimo primo capitolo, che farà contenti gli appassionati del gioco (le citazioni sono innumerevoli ma fatte con eleganza) e farà appassionare chi non lo conosce ma ha un debole per il fantasy. Attraverso una trama semplice ma coinvolgente, riesce nell'impresa di far affezionare gli spettatori ai suoi protagonisti, di lasciarli con la curiosità di vedere più avventure di questa adorabile armata Brancaleone in salsa fantasy, e soprattutto di scoprire di più di un mondo magico che sembra contenere la promessa di migliaia di altre avventure.

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Pier

giovedì 6 aprile 2023

John Wick 4

Once more, with feeling


Dopo aver rischiato la morte nell'ultimo capitolo, John Wick si è rimesso in forze, protetto dal Re della Bowery, ed è pronto a vendicarsi della Gran Tavola. Sulla sua strada, il Marchese de Gramont, incaricato dalla Tavola di sbarazzarsi di John una volta per tutte. Tra New York, Osaka, Berlino, e Parigi, John dovrà combattere nemici vecchi e nuovi, e persino un vecchio amico, l'assassino cieco Caine.

Prima di scrivere la recensione di questo quarto capitolo della saga di John Wick, ho riletto la recensione che avevo scritto per il terzo capitolo, e per un attimo ho avuto la sensazione di scrivere semplicemente: "rileggete quella, dice già tutto." E, in parte, è così. 

Alcuni elementi che decretano il successo del quarto film sono gli stessi del terzo, e dell'intera saga: un world building eseguito alla perfezione, con società segrete mosse da regole chiare e comprensibili, personaggi ben costruiti e con motivazioni chiare anche se compaiono in scena per pochi minuti, set e ambientazioni ricche, suggestive, evocative. Non è un caso che John Wick sia, insieme alla saga di Avatar (ma con un decimo del budget) l'unico franchise del tutto originale (cioè non basato su opere pre-esistenti) e di successo di questi vent'anni fatti di adattamenti, reboot, sequel, e prequel.

Un altro merito della saga è quello di aver dato spazio a grandissimi attori/artisti marziali quasi del tutto sconosciuti al grande pubblico: questa volta abbiamo due leggende come Donnie Yen (ci torniamo) e Hiroyuki Sanada, oltre a Scott Adkins (meraviglioso e irriconoscibile) e Marko Zaror, ma nei capitoli precedenti hanno fatto capolino tantissimi nomi noti solo agli appassionati del genere.

In cosa, dunque, questo capitolo si distingue dai precedenti? Sicuramente nel budget, che permette scene d'azione ancora più spettacolari, tra hotel futuristici e combattimenti a Parigi in mezzo al traffico o sulle scale che portano al Sacro Cuore. Ciò che spicca, tuttavia, è il cuore: John Wick 4 è un film che punta sulle relazioni. Certo, le botte da orbi la fanno da padrone (e per fortuna), ma al centro di tutto ci sono i rapporti umani: quello tra John e la moglie defunta, ovviamente, ma anche quello di Winston con il suo concierge ("Un amico"); quello di Caine (Donnie Yen) con la figlia, ma anche quello di Shimazu, il gestore del Continental di Osaka, con la sua, Akira, e quello di Tracker (un ottimo Shamier Anderson) con il suo cane; e, infine, i rapporti di amicizia tra tutti gli assassini, rapporti decennali, fatti di debiti di gratitudine che devono essere saldati.

Non è un caso che, accanto ai vari generi da sempre ibridati dalla saga, in questo capitolo faccia capolino il western, il duello d'onore che permea tutta la seconda parte del film e prende controllo dello splendido, intensissimo finale. Questi rapporti sono il cuore della Società degli Assassini per chi ne fa parte, e sono l'antitesi della visione del mondo del villain di turno, il Marchese de Gramont affidato a un Bill Skarsgard che gli conferisce l'adeguato mix di crudeltà e immaturità - un bambino geniale in un mondo di adulti legati a un codice d'onore che non può e non vuole comprendere.

Chad Stahelski realizza un capitolo ricco di cuore, in cui i personaggi e le loro motivazioni non vengono sacrificati sull'altare dello spettacolo. E che spettacolo, signori! Ogni singola scena di combattimento è un piccolo gioiello, e Stahelski si permette persino una citazione de I guerrieri della notte da brividi per quanto è azzeccata e centrata in quel contesto: non male per quello che fino a qualche anno fa era "solo" un coordinatore degli stunt.

Nulla di tutto questo, ovviamente, sarebbe stato possibile senza Keanu Reeves: il suo impegno nel ruolo è encomiabile, e il fatto che non sia un artista marziale finisce per diventare parte integrante della sua dolente performance. La sua fatica, la sua pesantezza nei movimenti e la sua sofferenza sono visibili, reali, e rendono credibile ogni ferita e ogni livido. Il suo John è la versione "assassino" dello Straniero Senza Nome di Clint Eastwood: di poche parole, acciaccato, stravolto, ma inarrestabile nel suo cammino. Accanto a lui giganteggia Donnie Yen, che si muove con una leggerezza sconosciuta ai comuni mortali e interpreta il suo Caine, assassino cieco dal cuore d'oro, con un'ironia e una padronanza dell'uso del corpo che sono una conferma per chi già ne conosceva il talento attoriale, e una rivelazione per chi lo scoprirà qui.

John Wick 4 rimane un film non per tutti: se non vi piacciono i film d'azione, resterà un boccone indigesto, perché l'azione è ancora padrona assoluta della scena. Tuttavia, rispetto ai precedenti, aggiunge un tocco di intimismo che non solo non stona, ma alza efficacemente la posta in gioco, conferendo significato e senso narrativo ai pestaggi che costellano la quasi totalità del film. Nel farlo, dona al film uno spessore che i suoi predecessori (salvo forse il primo capitolo) non avevano, rendendolo decisamente più appetibile per palati che non fremono per il cinema di genere. Chahelski, insomma, riesce a emozionarci, facendoci tifare per più personaggi allo stesso tempo, soffrendo e gioendo con loro dei vari colpi di scena: per una saga iniziata con una premessa da film di serie C, poteva decisamente andare peggio.

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Pier