venerdì 24 settembre 2021

Space Jam: New Legends

I believe you can pay


LeBron James, campione di pallacanestro, sogna un futuro da sportivi per i figli, ma Dominic, il più piccolo, preferisce i videogiochi. Durante un incontro con i capi della Warner Bros, Dom viene rapito dall'intelligenza artificiale che gestisce i server degli studios, Al-G Rhythm, e "caricato" al loro interno. Per liberarlo, LeBron dovrà vincere una partita di pallacanestro contro i Goon Squad, cloni versione videogioco di altre star NBA. Lo aiuteranno i Looney Tunes, ma le sorprese sono dietro l'angolo.

Spesso si critica Hollywood per essere ormai un'industria senz'anima, dove la creatività viene frustrata, le nuove idee cestinate, e si pensa solo a produrre sequel/remake/prequel a getto continuo, sfruttando l'effetto nostalgia e cercando di valorizzare un "marchio" (es: Marvel, DC) piuttosto che il film.
Chi scrive non concorda con questa analisi. Hollywood è una macchina creativa, che sforna a getto continuo prodotti e idee innovativi (o quantomeno che ambiscono ad esserlo), ma ha il difetto, come tutte le macchine, di amare la ripetizione: se un progetto funziona, ne usciranno mille cloni fino a quando smetterà di funzionare (ne hanno ben parlato in questa recensione de I 400 Calci).

Tuttavia, dopo aver visto Space Jam: New Legends è davvero difficile dare torto ai critici: il film infatti è un prodotto talmente commerciale da essere di fatto una pubblicità, totalmente privo di anima, fascino, e voglia di provare qualcosa di nuovo. Il paradosso è che il problema non sta nella sua natura di sequel o, meglio, soft remake: l'idea di rifare Space Jam con LeBron James (il Michael Jordan dei giorni nostri) di per sé funziona, anche perché l'originale, diventato di culto con gli anni, non era certo un capolavoro intoccabile (chi scrive lo ha visto almeno dieci volte, ma diciamoci la verità, suvvia). Allo stesso modo, l'idea di ambientare il tutto in una realtà virtuale anziché nel mondo dei Looney Tunes poteva essere efficace per evitare la sensazione di già visto. Ciò che non funziona è lo spirito autopromozionale che permea tutta l'operazione e finisce per soffocare del tutto la trama e la narrazione.


L'intero film, soprattutto nella prima parte, sembra una lunga pubblicità del catalogo Warner e, di conseguenza, di HBO Max, il nuovo servizio di streaming: la sequenza del reclutamento dei giocatori, potenzialmente una delle parti più interessanti del film (si veda la presentazione dei giocatori nell'originale), è esemplare in tal senso, in quanto finisce per diventare stantia e ripetitiva all'ennesima proprietà Warner esibita a uso e consumo dello spettatore (alcune, peraltro, del tutto insensate in un film che ha comunque come target primario dei bambini, tipo Casablanca). Il pubblico che assiste alla partita, meravigliosamente anonimo eppur caratterizzato nel primo film, diventa qui un'avvilente gara al riconoscimento di film Warner alla "Dov'è Waldo" (e, anche qui, le insensatezze abbondano, dal pagliaccio di IT ai drughi di Arancia Meccanica). Il confronto con la grazia con cui altri film "citazionisti" (come Chi ha incastrato Roger Rabbit? e Ready Player One) avevano gestito la stessa situazione è quasi imbarazzante: laddove lì le citazioni erano parte integrante della trama, con i personaggi "famosi" che venivano sfruttati per le loro caratteristiche, qui li si riduce a comparse che rimangono sullo sfondo, figuranti anonimi che compaiono per puro sfoggio di proprietà intellettuale.

Quanto non pubblicizza la Warner, il film diventa un enorme veicolo autopromozionale per il protagonista: fin qui nulla di male, dato che anche Space Jam promuoveva  Michael Jordan come "miglior giocatore di sempre". Tuttavia, qui si cerca di promuovere il personaggio LeBron, e non il giocatore di basket: LeBron come padre, come mentore, come leader, imperfetto eppure eccezionale proprio per la capacità di accettare questa imperfezione. Il risultato è che nel film il basket è quasi del tutto assente, un convitato di pietra che viene relegato sullo sfondo persino durante il momento clou della partita. 

Nel primo film la partita era una partita "vera" che, pur intervallata dalle follie cartoonesche dei Looney Tunes, riusciva a mantenere le caratteristiche dello sport originale: i canestri erano per lo più "normali", il punteggio persino troppo basso (finiva 78-77). Gli elementi da cartone animato rendevano il tutto parodico, ma senza perdere di vista il reale, rendendo quindi quelle sequenze una gioia per gli occhi degli appassionati.
Qui il modello di riferimento non è il basket reale, ma un videogioco di basket come NBA Jam, fatto di gesti atletici irreali, power-up e mosse speciali. Il problema è che a queste azioni irreali si aggiunge qui l'esasperazione "da cartone" che il prodotto richiede, facendo quindi diventare il tutto un continuo "momento spettacolare" che del basket non ha più nulla. 

E questa è una delle azioni più "normali"

Come se non bastasse, la partita passa in secondo piano rispetto a quello che, nelle intenzioni degli autori, dovrebbe essere il centro emotivo del film, ovvero il rapporto di LeBron con suo figlio. Peccato che questo elemento non sia di alcun interesse per lo spettatore: sia perché è uno dei temi più abusati del cinema (la sottotrama tra Al-G Rhythm e Dom è identica, in tutto e per tutto, a quella tra Capitan Uncino e Jack in Hook); sia perché il figlio di LeBron non è, ovviamente, il figlio di LeBron; sia perché non è questo che interessa allo spettatore di Space Jam. Tutto questo sarebbe forse comunque accettabile se al centro ci fossero i Looney Tunes, personaggi con caratteristiche e capacità comiche ben specifiche che tutti abbiamo imparato ad amare. Invece anche loro sono sacrificati, relegati in secondo piano: e fa davvero tristezza vedere delle vere e proprie macchine per risate ridotte ad anonime comparse.

Il film risulta quindi completamente scentrato, diviso tra due anime - quella arida e commerciale e una emotiva e sentimentale - che sono ambedue fuori posto rispetto a quello che dovrebbe essere l'obiettivo del film: divertire. Ed è un vero peccato, perché il potenziale per fare qualcosa di originale e divertente c'era: le poche gag azzeccate, come LeBron versione animata, sono davvero azzeccare; l'Al-G Rhythm di Don Cheadle è un villain interessante e accattivante; e LeBron attore ha ottimi tempi comici, migliori di quelli di Jordan, come già dimostrato nelle sue comparsate in altri film. 

Purtroppo finisce tutto sacrificato sull'altare delle esigenze del marchio, anzi, dei marchi di produttori e protagonista. Il risultato è un film senz'anima, che non resterà nei cuori di un'intera generazione come il suo predecessore grazie ai numerosissimi momenti memorabili (qui il preferito di chi scrive) ma verrà dimenticato in fretta, molto in fretta: altro che "nuove leggende."

* 1/2

Pier

mercoledì 15 settembre 2021

Figli del Sole (In pillole #19)

Un tesoro nascosto


Dei ragazzi di strada in Iran tirano a campare con piccoli furti e lavoretti. Vengono ingaggiati da un piccolo malvivente locale per recuperare un tesoro, nascosto nelle viscere di una scuola. Per raggiungere il loro obiettivo, dovranno andare tra i banchi. 

Uscito in sala oltre un anno dopo la sua presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia (le vie della distribuzione italiana sono misteriose...), Figli del sole è uno di quei film all'apparenza semplici, ma che entrano nella testa e nel cuore e scavano, scavano, scavano, rivelando una stratificazione e una complessità tematica che sfuggono a un primo superficiale sguardo. Quella che è a tutti gli effetti una caccia al tesoro in stile Goonies si rivela così non solo uno splendido percorso di maturazione (come lo stesso Goonies), ma anche una riflessione sull'importanza dell'educazione e di trovare qualcuno che creda nel tuo potenziale. 

Il cuore pulsante del film è un cast di attori non professionisti - capitanati da Rouhollah Zamani, meritato vincitore del Premio Mastroianni a Venezia 2020 - tutti dotati di un'espressività, di una vitalità e di un'energia irresistibili. Grazie a loro e a una sceneggiatura ben congegnata, il film non sfocia mai nella banalità o nella retorica, e alterna alla perfezione avventura, risate, e commozione, fino allo splendido crescendo del finale.

****

Pier

sabato 11 settembre 2021

Venezia 2021 - Il Totoleone

Anche quest'anno siamo giunti al termine della Mostra del Cinema: una Mostra ancora anomala, che però si è riavvicinata alla normalità dopo l'edizione 2020 segnata dall'epidemia di Covid-19, sia in termini di film che di presenza di pubblico e accreditati. L'organizzazione è stata ancora certosina in termini di sicurezza, mentre qualche problema (probabilmente inevitabile, viste le presenze tornate quasi a livelli pre-Covid ma le sale ancora dimezzate) si è avuto con il sistema di prenotazione. Il programma è stato ricchissimo, e ancora una volta non si possono che fare i complimenti ad Alberto Barbera.

È stata una Mostra ancora "al femminile" come quella dello scorso anno, con molti film dedicati alla maternità (Madres Parallelas, The Lost Daughter, L'événement). Molti film hanno affrontato il tema della memoria e del ricordo (È stata la mano di Dio; Captain Volkonogov Escaped; Il collezionista di carte) e molti altri hanno guardato al passato per parlare dell'attualità (Reflections; Illusioni perdute; Il buco). Da segnalare la presenza record di film di genere fantastico in concorso, con Freaks Out e Mona Lisa and the Blood Moon: due film che, pur con esiti diversi, hanno in comune il fatto di non aver usato il genere come pretesto per parlare di altro (o addirittura per parodizzarlo), ma ne hanno abbracciato in pieno stilemi e canoni espressivi, rielaborandoli.

Di seguito i pronostici, quasi sicuramente sbagliati, per il Leone d'Oro e gli altri premi, corredati come sempre dalle mie preferenze personali.


Premio Mastroianni per il miglior attore emergente
Molti protagonisti "giovani" nei film in Mostra, ma a spiccare sono due italiani: Filippo Scotti per È stata la mano di Dio e Aurora Giovinazzo per Freaks out. Sul primo ricade il mio pronostico, ma la mia preferenza personale va alla seconda, semplicemente perfetta nella parte di Matilde.
Pronostico: Filippo Scotti, È stata la mano di Dio
Scelta personale: Aurora Giovinazzo, Freaks Out

Coppa Volpi maschile
Un'edizione molto competitiva, con tante prove degne di nota, tra cui segnalo quelle di Oscar Isaac (Il collezionista di carte), Toni Servillo (Qui rido io). La mia scelta personale va su Vincent Lindon, splendido manager tormentato in Another world, ma il mio pronostico ricade sulla coppia Banderas-Martinez, splendidi attori litigiosi e capricciosi in Competencia Oficial. 
PronosticoAntonio Banderas e Oscar Martìnez, Competencia Oficial
Scelta personale: Vincent Lindon, Another World

Coppa Volpi femminile 
Sfida poco agguerrita in un premio che storicamente tende a non essere conferito ad attrici già affermate, ma a consacrare attrici "in crescita". Da escludere, quindi, Olivia Colman (già vincitrice del premio con La favorita) e Penelope Cruz. Restano Kristen Stewart per Spencer e Anamaria Vartolomei per L'événement. Puntiamo su quest'ultima, mentre sulla Colman, dolente e capricciosa donna di mezza età, ricade la mia scelta personale.
Pronostico: Anamaria Vartolomei, L'événement
Scelta personale: Olivia Colman, The Lost Daughter

Gran Premio della Giuria 
Il favorito per il secondo premio più importante sembra Power of the Dog di Jane Campion, sia per la bellezza delle immagini, sia per la tematica, una provocatoria indagine della mascolinità e delle sue fragilità usando un genere che incarna i tipici stereotipi del "maschile" - il western. La mia scelta ricade invece sulla splendida, esilarante, dolente madeleine di Sorrentino. 
PronosticoPower of the Dog
Scelta personaleÈ Stata la Mano di Dio

Leone d'Argento (Miglior Regia) 
Il film più "autoriale" della mostra è probabilmente quello di Paul Schrader: Il collezionista di carte riflette in pieno la poetica dello sceneggiatore-regista, la sua indagine sui lati oscuri e nascosti della società statunitense. Il mio pronostico ricade su di lui, mentre la mia scelta personale va alla visionarietà di Gabriele Mainetti, che con Freaks out realizza un film ambizioso e che fa sognare.
Pronostico: Paul Schrader, Il Collezionista di Carte
Scelta personale: Gabriele Mainetti, Freaks Out

Leone d'Oro 
Sfida davvero accesa e incerta: come l'anno scorso, manca un chiaro favorito, e ci sono almeno sei film che potrebbero aggiudicarsi il premio. Il film che sembra aver messo d'accordo tutti è È stata la mano di Dio, su cui quindi ricade il mio pronostico. A Captain Volkonogov escaped, splendida e dolente fuga dai peccati del passato, va invece la mia preferenza personale.
Pronostico: È stata la mano di Dio
Scelta personale: Captain Volkonogov Escaped

È tutto anche per quest'anno, ci risentiamo per l'edizione 2022, speriamo in condizioni sanitarie finalmente normali.

Pier

Il Collezionista di Carte

Carte e torture


William Tell ha un passato tormentato che lo ha portato in prigione. Ora sbarca il lunario giocando a poker e blackjack. Grazie alla sua abilità nel contare le carte riesce a vincere quanto basta per campare senza attirare l’attenzione dei casinò. La sua vita controllata e sotto traccia cambia quando incontra Cirk, un giovane che conosce il suo passato e che medita vendetta contro una loro comune conoscenza. 

Schrader torna regia dopo First Reformed, e lo fa con un altro film che parla di colpa ed espiazione – sia personale che di un’intera nazione. Il protagonista, William, sembra uscito da un film di Clint Eastwood: è taciturno, ha un forte senso etico – in reazione al suo turbolento passato – e preferisce non attirare l’attenzione. La sua psiche, le sue emozioni sono trattenute, nascoste, controllate: questo gli ha permesso di avere successo nel suo precedente lavoro, questo gli permette di avere successo al tavolo verde. 

Le emozioni, tuttavia, non scompaiono: sono pronte a riemergere con violenza quando occorre, come un fiume carsico che trova brevemente la strada della superficie. Scavare nel passato di William è scavare nella sua psiche, nei ricordi di un male indicibile che ha macchiato la sua anima e quella di tutti gli Stati Uniti. Schrader racconta infatti la storia di William per raccontare la necessità di espiazione – anziché di rimozione della storia recente degli USA, facendo del suo protagonista il nuovo Travis Bickle, incarnazione delle storture di società che però, a differenza della società, è cosciente dei suoi errori e della necessità di fare ammenda. 
Come Bickle, William intravede una possibilità in un giovane, Cirk, cui cerca di evitare la vita di sofferenza e vendetta cui sembra volersi dedicare. Restituire una speranza a Cirk diventa l’obiettivo di William, ciò che lo spinge a uscire dall’anonimato e a puntare in alto, sul tavolo verde e nella vita. 

Schrader dirige il film con piglio quasi documentaristico, con immagini secche e asciutte in cui però ogni tanto fanno capolino scene evocative e quasi oniriche, simbolo di una bellezza effimera capace di spuntare anche nel marciume del mondo. La sceneggiatura è a tratti ondivaga ma solida, e si avvale della splendida interpretazione di Oscar Isaac, semplicemente perfetto nella parte e capace di restituire sia l’empatia, sia il lato oscuro del suo personaggio, ambedue nascosti sotto una patina di apparente ieraticità. 

Il collezionista di carte (assurda traduzione del titolo inglese The Card Counter) è un film difficile da inquadrare, che cambia continuamente direzione, (in)seguendo la tormentata psiche del protagonista. Il risultato è a volte straniante e imperfetto, ma di grande impatto, e impone allo spettatore riflessioni sulle responsabilità individuali e collettive. 

*** 1/2

Pier

venerdì 10 settembre 2021

Telegrammi da Venezia 2021 - #6

Sesto e ultimo telegramma da Venezia 2021: l'ultimo film in concorso, il film di Ridley Scott sull'ultimo duello di Dio, qualche bella sorpresa nelle sezioni collaterali, e tanto altro.


Mama, Ya Doma (Orizzonti), voto 6.5. Un racconto sul lutto e sulla sua (non) accettazione, con una madre che rifiuta di credere alla morte del figlio: complotto o pazzia? L'idea è interessante e, pur non riuscendo mai a decollare veramente, offre un'efficace riflessione sul potere, grazie anche all'ottima prova dell'attrice protagonista.

Un Autre Monde (Concorso), voto 7.5. Un film sul lavoro e sullo sfruttamento dei lavoratori visto dal punto di vista di un manager che finisce per essere dilaniato dalle richieste del quartier generale e le preoccupazioni dei lavoratori. Qui la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

Rhino (Orizzonti), voto 5. Un film erratico, che dopo una scena d'apertura di grande impatto visivo e narrativo si perde in un turbinio di violenza, spesso gratuita, senza riuscire né a trasmettere emozioni, né a stimolare riflessioni. 

The Last Duel (Fuori Concorso), voto 7.5. Il racconto dell'ultimo "duello di Dio" legittimato dalla legge nella Francia del XIV secolo. Il tema non potrebbe essere più attuale - una denuncia per stupro - e viene raccontato alla Rashomon, mostrandoci gli eventi dal punto di vista dei tre protagonisti: l'accusato, il marito della vittima, e soprattutto la vittima, trattata come un oggetto e costretta a continue umiliazioni per sostenere la veridicità delle sue accuse. La regia di Ridley Scott è poco originale ma solida, la sceneggiatura asciutta ed efficace: sarebbe bello dire che le cose sono cambiate, ma la cronaca di dice, purtroppo, che non è così. Ottima prova di tutti i protagonisti, tra cui spiccano un Ben Affleck stranamente (ma efficacemente) gigione e Jodie Comer, perfetta nella parte della protagonista.

Al Garib (Giornate degli Autori), voto 7.5. Un medico mancato trascina la sua esistenza in un frutteto che il padre non vuole nemmeno lasciargli in eredità. Un incontro a sorpresa con un guerrigliero ferito cambierà le sue prospettive. Un film che racconta la solitudine, il desiderio e l'incapacità di riscatto, l'attaccamento alle proprie radici: una storia di emozioni, rapporti umani, paesaggi splendidi e decadenti, che raccontano il dramma di una terra, la Siria, dove anche la speranza sembra ormai impossibile.

La Macchina delle Immagini di Alfredo C. (Orizzonti), voto 7. Curioso documentario narrato su una storia poco conosciuta, quella degli italiani bloccati in Albania dopo la cacciata dei fascisti e l'instaurazione di un governo comunista. Protagonista un cameraman del fascismo, che si ritrova a svolgere lo stesso lavoro per il neonato governo albanese. Il documentario mette in luce i meccanismi universali della propaganda, e la centralità dell'immagine filmata nell'alimentare il culto della personalità e del partito.

Per ora è tutto, appuntamento a più tardi per il Totoleone.

Pier e Simone

giovedì 9 settembre 2021

Telegrammi da Venezia 2021 - #5

Quinto telegramma da Venezia: belle sorprese da Finlandia e Filippine, delusioni italiane, e peculiari film d'animazione giapponesi.


The Blind Man Who Did Not Want to See Titanic (Orizzonti), voto 8. Un film finlandese che parla di disabilità senza pietismo, ma anzi con grande ironia e lanciandosi anche su toni thriller. Fotografia splendida, sceneggiatura asciutta ed efficace, e splendida prova del protagonista.

White Building (Orizzonti), voto 5.5. Una famiglia riceve un'offerta per lasciare l'appartamento dove ha sempre vissuto, cadente ma molto centrale. La loro negoziazione procede in parallelo ai sogni di gloria del figlio, che aspira a diventare un celebre ballerino. Senza infamia e senza lode, il film non ha mai un guizzo, un momento ispirato che lo renda più che un discreto compitino.

America Latina (Concorso), voto 4. Dopo il successo alla Berlinale con Favolacce, i fratelli D'Innocenzo provano la strada del thriller psicologico. Il tentativo è ambizioso ma il risultato è un film inconcludente, con un colpo di scena poco sensato, mal giustificato e che arriva troppo tardi. Bella la fotografia, fastidiosa l'interpretazione del solitamente bravo Elio Germano, qui troppo sopra le righe.

Inu-Oh (Orizzonti), voto 6. Unico film d'animazione in concorso alla Mostra, racconta la storia di un grande innovatore del teatro Noh e delle leggende che ha contribuito a tramandare. Bella la scelta di rappresentare gli esponenti delle innovazioni Noh come veri e propri divi rock, sia musicalmente che visivamente, con coreografie che ricordano i concerti e i video di varie band, i Queen su tutti. L'animazione, inoltre, è di altissimo livello artistico. Il film, tuttavia, risulta un po' troppo ostico a chi non conosce a menadito la storia e le leggende del Giappone: peccato.

On the Job - The Missing 8 (Concorso), voto 7.5. Un film camaleontico, che ibrida vari generi - dall'indagine giornalistica al film d'azione, dal prison movie al noir - con grande creatività e inventiva e una colonna sonora strepitosa. Peccato per la durata eccessiva, ma merita la visione.

Life of Crime 1984-2020 (Fuori Concorso), voto 7.5. Un documentario che è un inno alla perseveranza, portato avanti per 36 anni seguendo tre amici tossicodipendenti nel loro continuo oscillare tra autodistruzione e tentativi di sopravvivenza e redenzione. Un film di forte impatto, che sottolinea l'importanza dei rapporti umani, con la droga che diventa quasi una persona in carne e ossa.

Simone

mercoledì 8 settembre 2021

Telegrammi da Venezia 2021 - #4

Quarto telegramma da Venezia: due dei film migliori del concorso (uno italiano), belle sorprese nelle sezioni collaterali, e qualche piccola delusione.
























Mother Lode (Settimana della Critica), voto 5. Il racconto di un minatore che promette misticismo (il diavolo nelle gallerie che promette una vena aurifera più ricca in cambio di sacrifici) ma offre solo un ritratto di miseria e condizioni lavorative degradanti. Sia la trama che il bianco e nero sanno di già visto, e offrono pochissimi spunti di interesse.

Mon Pére, le Diable (Biennale College), voto 8. Un esordio maturo, di impatto, che si incentra su temi complessi come vendetta e perdono e li elabora in maniera originale, personale, portando lo spettatore a interrogarsi sui demoni che ognuno si porta dentro.

La Caja (Concorso), voto 7. Un ragazzo attraversa il Messico per recuperare i resti del padre scomparso. Un incontro, però, lo convincerà che quei resti non sono quelli del genitore. Un curioso ed efficace mix tra un thriller e un film sullo sfruttamento dei lavoratori alla Ken Loach, girato con taglio documentaristico da Vigas, già Leone d'Oro nel 2015.

Django & Django (Fuori Concorso), voto 7.5. Peculiare ma stimolante documentario su Sergio Corbucci, narrato da un Quentin Tarantino enciclopedico e con gli interessanti contributi di Franco Nero e Ruggero Deodato, storico aiutoregista di Corbucci.

Captain Volkogonov Escaped (Concorso), voto 9. La fuga di un capitano dalle purghe staliniane diventa un percorso di pentimento dalle forti tinte dostoevskijane, sia per tematica sia per la presenza di elementi metafisici. Un racconto teso, ricco, con una fotografia sontuosa, che riesce a trattare temi complessi senza annoiare mai, alternando la tensione di un thriller a momenti di sublime lirismo.

Freaks Out (Concorso), voto 8.5. Un’esplosione di creatività visiva e narrativa, che unisce neoralismo, Fellini, e X Men per realizzare un film che emoziona e conquista, una gioia per gli occhi e per il cuore. Qui la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

Pier

martedì 7 settembre 2021

Telegrammi da Venezia 2021 - #3

Terzo telegramma da Venezia: questa settimana ci spostiamo dagli USA per abbracciare il cinema mondiale. Brasile, Italia, Messico, Francia, Ucraina: Venezia conferma la sua vocazione di festival multiculturale. 
























Sundown (Concorso), voto Non Giudicabile. Dopo il Gran Premio della Giuria ottenuto con Nuevo Orden, Michel Franco torna a Venezia con un film spiazzante, fuori da ogni canone narrativo e tematico, che segue le vicende di un uomo che decide di non ripartire con la famiglia dopo una vacanza in Messico. Una riflessione sull'egoismo? Sulla vita e la morte? Ai posteri l'ardua sentenza.

Mona Lisa and the Blood Moon (Concorso), voto 6. Un racconto gore in cui i rapporti di potere sono ribaltati: i "diversi" hanno il controllo, i "normali" sono in soggezione e cercano di fermarli, inibirli, catturarli, riprendendo quel controllo che sentono loro di diritto. Il film non brilla per originalità, ma intrattiene in modo efficace e infila un paio di trovate ben riuscite.

L'événement (Concorso), voto 7.5. Il racconto dell'impossibilità di un aborto, e della tenacia con cui una giovane donna nella Francia degli anni Sessanta (quando l'aborto era ancora illegale) vuole affermare la sua libertà di scegliere - scegliere di non avere un figlio, scegliere di non dover sacrificare se stessa, i suoi sogni, le sue speranze. La sua storia è raccontata con una regia cruda ma anche creativa, che mette al centro il corpo e ne segue sofferenze e mutazioni.

La Scuola Cattolica (Fuori Concorso), voto 4. Una trasposizione del romanzo di Albinati che, anziché raccontare il sostrato culturale e sociale dei delitti del Circeo, sceglie di fare pornografia del dolore. Qui la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

7 Prisoners (Orizzonti), voto 7.5. La lenta discesa agli inferi di un ragazzo brasiliano che, giunto in città con la promessa di un buon lavoro, si ritrova schiavizzato in un deposito di rottami. Dilaniato tra il desiderio di riscatto per sé e la famiglia e quello di lealtà ai suoi compagni di prigionia si troverà a dover compiere scelte dolorose. Un film secco, teso, girato con efficace semplicità e splendidamente interpretato, con un finale che non può lasciare indifferenti.

Vidblysk - Reflection (Concorso), voto 6.5. Un medico ucraino viene sequestrato dai separatisti filorussi. Rilasciato dopo aver assistito a eventi traumatici, ritroverà la pace nel rapporto con la figlia. Il film con la fotografia forse più bella della Mostra: uno sguardo documentaristico, con tanti quadri a camera fissa e gli altri girati in piano sequenza, con la frequente presenza di finestre sullo sfondo oltre le quali vediamo altri eventi, altri personaggi, separati eppure collegati. Peccato però per l'eccessiva lentezza narrativa, che finisce per azzoppare la potenza delle immagini.

Pier

 

sabato 4 settembre 2021

Telegrammi da Venezia 2021 - #2

Secondo telegramma da Venezia, con una grande infornata di divi, molti dei titoli più attesi, e la prima bocciatura del concorso principale.
























The Lost Daughter (Concorso), voto 7. Una donna in vacanza rimane turbata dall'incontro con una giovane madre: riaffiorano ricordi, si riaprono ferite mai sopite. Dal romanzo di Elena Ferrante, un ottimo esordio alla regia per Maggie Gyllenhaal, che pecca di qualche ingenuità ma dirige con maestria i suoi attori, capitanati da quella garanzia che è Olivia Colman.

The Cathedral (Biennale College), voto 5.5. Interessante racconto di formazione di un ragazzo della provincia statunitense, che cresce sballottato dal divorzio dei genitori e le continue liti tra vari membri della famiglia. Un discreto esordio, con belle intuizioni visive (il continuo ritorno delle porte socchiuse), che pecca però di scarsa originalità e capacità di emozionare.

Spencer (Concorso), voto 6.5. Larrain racconta un weekend importante nella vita di Lady Diana, scegliendo un approccio dichiaratamente fiabesco e favolistico, sospeso tra realtà e fantasia. Diana è intrappolata a Sandrigham come una principessa nel castello, sogna momenti catartici di ribellione, vede fantasmi e sciocca la servitù. Nonostante alcune scene di impatto e l'ottima prova di Kristen Stewart, il film sa però troppo di già visto, forse anche per il fatto che racconta un personaggio che è già stato vivisezionato allo sfinimento e per la scelta di mettere comunque in scena cose ormai stranote, come ad esempio la bulimia. Peccato, il potenziale c'era.

Il Buco (Concorso), voto 3. Un film che avrebbe senso come documentario, ma non ha né capo né coda come film di finzione. Bellissime immagini, ma il cinema è un'altra cosa.

Last Night in Soho (Fuori Concorso), voto 8. Due donne, due storie parallele: sogno o realtà? Edgar Wright realizza un film conturbante, trascinante nella sua capacità di cambiare faccia, genere, direzione narrativa. Ottime le prove di Thomasin McKenzie e, soprattutto, Anya Taylor-Joy. Splendida la colonna sonora.
 
Competencia Oficial (Concorso), voto 7. Divertente satira sul significato di celebrità e sulla vanità  - degli artisti, ma non solo - con un cast in gran forma formato da Banderas, Cruz, e Martinez. L'ironia si unisce a un irresistibile cinismo, creando una commedia brillante che, a poco a poco, si tinge di note più nere e oscure.

Pier

 

Dune - Parte 1

Creare un mondo impossibile


In un futuro prossimo venturo, l'universo è controllato da un impero che si regge su un sistema feudale. Le casate sono in lotta tra loro, e una preda ambita è il pianeta Arrakis, un deserto che però ospita la preziosissima Spezia, fondamentale per il viaggio interspaziale dopo che la jihad di Butler ha portato alla distruzione di ogni intelligenza artificiale, e capace di conferire a chi la assume poteri profetici e capacità cognitive degne di un computer. L'imperatore decide di assegnare il pianeta alla casata Atreides, sottraendolo alla casata rivale degli Harkonnen. Paul, erede della casata, si trova quindi costretto a trasferirsi sul pianeta, abitato dai Fremen, che da sempre combattono contro la colonizzazione della propria terra. Paul è tormentato da sogni misteriosi, e da un destino che sua madre, Lady Jessica, membra della misteriosa sorellanza Bene Gesserit, sembra aver architettato per lui.

Il romanzo Dune, pubblicato da Frank Herbert nel 1965, è stato a lungo considerato infilmabile: il mondo creato da Herbert era troppo complesso, troppo denso di riferimenti storici, politici, ambientali e mistici per essere efficacemente trasposto su schermo. Jodorowsky ha provato per anni a realizzarlo, senza riuscirci; e David Lynch ne realizzò una versione che, pur essendo nel frattempo diventato un piccolo cult, riuscì a scontentare sia il regista che il produttore, ma soprattutto il pubblico, che lo trovò troppo complesso. Il paradosso di queste disavventure è che Dune ha profondamente influenzato, sia direttamente, sia indirettamente attraverso i materiali sviluppati per il tentativo di Jodorowsky, tutta la fantascienza cinematografica e televisiva: da Star Wars (il più evidente) a Star Trek, passando per Nausicaa nella valle del vento, Terminator e Alien, sono pochissimi i cult fantascientifici che non gli sono debitori a livello narrativo o di immaginario visivo.


Denis Villeneuve si trovava dunque di fronte a una sfida titanica, persino più del sequel di Blade Runner: da una parte doveva soddisfare le schiere di fan del libro, che da anni attendono un adattamento degno; dall'altro doveva riuscire ad attirare il grande pubblico, trasferendo su schermo la complessità e la densità tematica del romanzo senza annoiare con continui momenti espositivi e lunghissime spiegazioni.
Possiamo dire che Villeneuve ha stravinto la sfida, dimostrandosi ancora una volta uno dei registi migliori degli ultimi anni, uno dei pochissimi in grado di coniugare autorialità e intrattenimento. Il suo Dune è un trionfo registico, in cui tutte le parti si integrano e si amalgamano alla perfezione: se alcuni elementi, presi singolarmente, possono legittimamente non convincere, è impossibile non riconoscere come questi si incastrino tra loro alla perfezione. 

Il risultato è un film magniloquente e mistico, che trasuda epica e mito a ogni inquadratura, capace di stimolare la fantasia e, al tempo stesso, imporre una riflessione sulla realtà. Lo spettatore è letteralmente trasportato a Caladan, a Giedi Prime, ad Arrakis: Dune fa per la saga (che per ora prevede solo un secondo film, che concluderà gli eventi narrati nel primo libro) quello che La compagnia dell'anello fece per Il signore degli anelli: creare i riferimenti visivi e tematici di un nuovo universo, riuscendo a trasmetterne appieno la ricchezza e la profondità - il suo sistema politico, la sua mitologia, le sue tradizioni; e, al tempo stesso, narrare la storia dei suoi protagonisti.


World building: farlo bene

Il principale trionfo di Villeneuve è forse la sceneggiatura: paradossale, forse, per un regista conosciuto soprattutto per le sue doti visive; ma si tratta di un mezzo miracolo. Villeneuve riesce a limitare al minimo le spiegazioni, immergendo lo spettatore nei vari mondi di Dune e cercando di usare il più possibile immagini e azioni per spiegare le complesse regole dell'universo creato da Herbert. I (pochi) tagli operati rispetto all'opera originale sono certosini e funzionali allo scorrere della trama e alla sua comprensione anche agli spettatori non iniziati ai lavori di Herbert. Villeneuve punta tutto sulla macrotrama - sia politica che spirituale - facendo muovere i suoi personaggi in un mondo più grande di loro. Lo stupore di Paul, di Leto, di Lady Jessica è anche quello dello spettatore, ma ci si rende sempre conto di essere di fronte alle ruote della Storia e ai tentativi dei protagonisti di non finirne schiacciati. Volendo proprio trovare un difetto, i sogni di Paul sono forse troppo frequenti, ma risultano comunque funzionali alla creazione di quell'aura di misticismo e predestinazione profetica che è centrale nel fascino di libro e film. 

La magniloquenza narrativa trova un efficace corrispettivo nella fotografia, nei costumi e nella scenografia. Greig Fraiser alterna sapientemente luci e ombre, giocando con naturale ed artificiale e puntando su immagini panoramiche e statiche, che abbracciano le grandi scene di guerra così come le azioni dei personaggi, permettendo allo spettatore di assaporarle appieno. Ogni pianeta vive di luce propria, con i colori caldi di Arrakis che contrastano con quelli freddi, da incubo di Giedi Prime e la placida calma verde-blu di Caladan. 
Il design di set, astronavi e costumi è semplicemente una gioia per gli occhi per creatività e varietà, e la ricchezza dei dettagli è tale che molti sfuggiranno all'occhio cosciente dello spettatore. Hans Zimmer accompagna il tutto con una colonna sonora magniloquente, non particolarmente originale (gli echi dei suoi lavori con Christopher Nolan sono evidenti) ma perfetta per raccontare quello che è a tutti gli effetti un racconto mitologico/fondativo.


Ombre e luci

In questo contesto, non era facile per gli attori riuscire a creare personaggi convincenti e a tutto tondo, che fossero persone prima che categorie, individui prima che pedine nel gioco di scacchi della politica e della Storia. Il casting, tuttavia, si rivela semplicemente perfetto, e gli attori offrono tutte prove eccellenti: Chalamet è un Paul Atreides da manuale, e offre quel mix di energia e tormento giovanile e di aura mistica che sono fondamentali per il personaggio; Rebecca Ferguson è una Lady Jessica fiera e sovrannaturale, Oscar Isaac un Duca Leto empatico e carismatico; e Stellan Skarsgård interpreta il sadico Vladimir Harkonnen con il terrificante piglio nichilista del Kurz di Marlon Brando in Apocalypse Now. Intorno a loro, spiccano Josh Brolin, Jason Momoa, Javier Bardem e Zendaya, che portano in vita i co-protagonisti più amati del romanzo.

The horror, the horror


Dune è un film creativo, originale, che mostra una forte visione registica e autoriale e riesce al tempo stesso a intrattenere e creare un universo che lo spettatore può esplorare, e dove può far volare la fantasia. È tutto quello che dovrebbe essere un blockbuster: non un film fatto con lo stampino e scritto da un algoritmo per non scontentare nessuno, ma un film ambizioso, che ha il coraggio delle sue idee e le persegue anche a costo di alienarsi qualche spettatore. Questa prima parte conquista, avvince, e seduce: non vediamo l'ora di tornare su Arrakis per la seconda.

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Pier

giovedì 2 settembre 2021

Telegrammi da Venezia 2021 - #1

Come ogni anno, Film Ora è a Venezia, e vi accompagnerà per tutta la Mostra del Cinema con i suoi telegrammi, recensioni brevi dei film visti nelle varie sezioni. Una Mostra che cerca di tornare alla normalità, nonostante la pandemia ancora in corso, con un programma di altissimo livello, tra grandi autori e titoli attesissimi.
























Ecco i film visti nel primo giorno e mezzo di Mostra:

Madres Paralelas (Concorso), voto 7.5. Almodovar racconta l'importanza della memoria, dell'accettare il proprio passato e la verità per poter avere un futuro. Lo fa attraverso la storia di due neomadri, che si intreccia con quella della Spagna, tra il tentativo di rimozione collettiva del passato franchista e chi lotta per non dimenticare. Il risultato è un film non sempre coeso, ma emozionante, vibrante, vivo.

Piedra Noche (Giornate degli Autori), voto 7.5. Due genitori che hanno perso il figlio si apprestano a vendere la casa al mare dove questi è annegato. Quando i locali cominciano a parlare di un misterioso mostro marino, tuttavia, il padre sente di dover saperne di più. Piedra Noche racconta il lutto in forma metaforica con un'efficacia che solo Babadook aveva saputo raggiungere. A differenza del film di Jennifer Kent, tuttavia, qui il riferimento non è l'horror ma il cinema di Spielberg: il risultato è dolce, malinconico, onirico, commovente. 

Shen Kong (Giornate degli Autori), voto 4. Un'idea interessante - due giovani che vagano per una città deserta in Cina, durante il lockdown, e imparano a conoscersi e amarsi - si trasforma in un film disunito, ripetitivo, raramente coinvolgente.

Power of the Dog (Concorso), voto 7. Un western sui generis, costruito quasi come un thriller, in cui vittime e carnefici si confondono, inseguendosi in una lunga lotta tra gatto e topo. Jane Campion gioca abilmente con le aspettative dello spettatore, disorientandolo e cambiando continuamente prospettive e angolazioni. Non tutti gli elementi si integrano alla perfezione, e il messaggio è forse un po' confuso: ma il film funziona a livello viscerale, e ci trascina in un universo bucolico e brutale, in cui nessuno è quello che sembra e persino le colline si trasformano in cani rabbiosi.

È Stata la Mano di Dio (Concorso), voto 9. Che bella sorpresa questo film di Sorrentino: un racconto personale, autentico, che si spoglia di ogni orpello visivo per mettere in scena la vita, in tutte le sue sfaccettature - divertente, drammatica, nostalgica, grottesca - creando una galleria di personaggi indimenticabili. Un racconto di formazione, dai tratti fortemente autobiografici che, pur dilungandosi un po' troppo nella seconda parte,  colpisce dritto al cuore in ogni sua scena, senza mancare di far riflettere. Ottimo il giovane protagonista, Filippo Scotti.
 
Il Collezionista di Carte (Concorso), voto 7.5. Un film su colpa e espiazione, con eco di Taxi Driver, Qui la recensione completa scritta per Nonsolocinema.

Pier