sabato 7 agosto 2021

The Suicide Squad - Missione suicida

Geniale anarchia


Il primo capitolo dedicato alla Suicide Squad - il team di villain dell'universo DC arruolato dal governo per missioni suicide - era stato un disastro, complice una storia produttiva da manuale su come non si realizza un film; lo spin-off dedicato ad Harley Quinn era andato un po' meglio, ma comunque non aveva scaldato i cuori. Il compito di James Gunn nell'affrontare questo secondo capitolo era quindi al tempo stesso semplice e complesso: semplice, perché doveva gestire delle aspettative tutto sommato abbastanza basse; complesso perché proprio per questo era facile accontentarsi e limitarsi al compitino, regalando un clone de I guardiani della galassia con i cattivi come protagonisti.

Gunn, invece, decide di tornare alle origini - le sue - e di realizzare un film indipendente come quelli che realizzava con la Troma Entertainment e grazie a cui si è fatto un nome, ma avendo a disposizione un budget da blockbuster hollywoodiano. 
Gunn riesce a replicare gli elementi che avevano reso la saga dei Guardiani della Galassia un grande successo a sorpresa, al punto da spingere la Marvel a cercare di replicarne la formula anche in molti altri suoi film: personaggi emarginati, degli outsider ben caratterizzati che si trovano costretti a collaborare e, a poco a poco, diventano una sgangheratissima famiglia; un'identità visiva molto forte, con colori brillanti e un gusto per i combattimenti ripresi in modo nitido e chiaro, anziché con la "camera ballerina" che spesso caratterizza i film di supereroi. A questi elementi Gunn aggiunge il suo gusto per lo splatter e il turpiloquio, con ettolitri di sangue, morti improvvise, e una messa in scena fumettistica e, a tratti, cartoonesca. 

It's raining villains

Il risultato è un film unico e idiosincratico, probabilmente irripetibile nel suo mix di anarchia e visione, delirio e lucidità registica, un ottovolante emotivo che cattura subito lo spettatore e non lo abbandona più fino al traguardo, immergendolo nella caotica realtà dei protagonisti. 
Fin dal primo minuto, la Task Force X è in balia degli eventi, sballottata da un punto all'altro di Corto Maltese senza avere bene idea di cosa stia succedendo. Come Amanda Waller (e, anzi, più di lei), Gunn ha invece perfettamente il controllo della situazione, e dirige i suoi antieroi con assoluta maestria. Il loro stupore è il nostro stupore, le loro scoperte le nostre scoperte. Non sanno cosa stanno facendo, non sanno come lavorare insieme, e devono scoprirlo davanti ai nostri occhi, tra errori (tanti, alcuni decisamente esilaranti) e momenti più intimi, che Gunn riesce miracolosamente a inserire nell'uragano di scene d'azione senza farli risultare posticci. Il pericolo, questa volta, è reale, nessun personaggio è al sicuro: insomma, la Suicide Squad fa finalmente onore al suo nome, superando il classico senso di invincibilità di tutti i film di supereroi.

Tutti i personaggi sono memorabili: la Harley Quinn di Margot Robbie passa da essere l'unico elemento positivo del primo film a essere l'elemento più virtuoso e talentuoso di una squadra ben assortita, dando vita ad alcuni dei momenti più riusciti del film; il Bloodsport di Idris Elba è il perfetto epigono fumettistico dei grandi eroi riluttanti del cinema d'azione hollywoodiano; il Peacemaker di John Cena è il lato oscuro di Capitan America (esattamente come l'Homelander di The Boys è il lato oscuro di Superman); e il King Shark doppiato da Sylvester Stallone è una versione più comica ma anche più feroce del Groot dei Guardiani della Galassia. A brillare, tuttavia, sono i personaggi minori, e in particolare il Polka-Dot Man di David Dastmalchian e la Ratcatcher interpretata dalla semiesordiente Daniela Melchior: impossibile non affascinarsi alle loro storie, accuratamente costruite da Gunn, che le rivela a poco a poco nel corso del film.


Le scene d'azione e gli effetti speciali sono semplicemente magnifiche. Gunn vuole che, come lui, gli spettatori si godano ogni momento di ciò che succede, e dunque opta per un uso parco e poco frenetico del montaggio, facendo invece largo uso di piani sequenza, grandangoli e panoramiche. L'attenzione per costumi e scenografie è maniacale, con citazioni divertite ma sottili(il vestito rosso di Harley Quinn è un geniale omaggio a quello iconico di Pretty Woman, l'armatura di Bloodsport ricorda quelle di Tron) e si accompagna alla creazione di creature computerizzate perfette nel loro equilibrio tra realismo e "fumettoso."

The Suicide Squad è quello che succede quando un film "di genere" - e di un genere ormai abusato e ai limiti della saturazione come quello supereroistico - viene affidato a un autore con una visione forte e chiara e gli si permette di portarla fino in fondo, senza interferire. Chiariamoci, Gunn non è il primo a cercare di dare un taglio "tarantiniano" (è ironico usare qui questo aggettivo, visto quanto Tarantino stesso è stato ispirato dalle opere della Troma) ai prodotti di supereroi: dei tentativi erano già stati fatti, e pure con buon successo (Kick Ass e Deadpool al cinema, The Boys come serie televisiva). Tuttavia, l'assoluta mancanza di freni inibitori e, al tempo stesso, l'estremo amore per il materiale di Gunn è palese, ed è l'ingrediente segreto che rende il film un amalgama irresistibile e originale ai limiti della follia, che trascina lo spettatore in un frullatore emotivo che non lascia un attimo di tregua.

**** 1/2

Pier


venerdì 6 agosto 2021

Fast & Furious 9

Il salto dello squalo


Dom Toretto e Letty Ortiz si sono ritirati in campagna insieme al figlio di Dom. Cercano di godersi una vita tranquilla, ma non riescono a star lontani dall'azione, quindi entro breve tornano in missione per sventare l'ennesimo piano del megalomane di turno per dominare il mondo. Quella che sembra una "classica" missione si rivelerà però un viaggio nella storia di Dom e della Famiglia, che saranno costretti ad affrontare il proprio passato.

Il 20 Settembre 1977 sulle tv statunitensi andò in onda un episodio di Happy Days in cui Fonzie pratica sci nautico indossando la sua iconica giacca di pelle e cimentandosi nel salto di uno squalo tigre. Da allora, l'espressione jumping the shark viene usata per indicare il momento in cui una serie televisiva o un franchise cinematografico è andato "oltre", superando uno scoglio di verosimiglianza e facendo esclamare ai fan "così però è troppo."

La sensazione di fronte a Fast & Furious 9 è quella di essere di fronte allo squalo della serie. Qualcuno potrebbe obiettare che non si guarda Fast and Furious per la verosimiglianza, ma per i personaggi (la Famiglia) e per le scene d'azione spettacolari: ed è vero. Ma è proprio su questi due elementi, storicamente i pezzi forti della saga, che il nono capitolo mostra ampiamente la corda.

I personaggi storici sembrano stanchi, senza più nulla da dire, e le new entry sono o inutili, villain in testa, o mal costruite - in testa a tutti, il personaggio di John Cena, integrato efficacemente nella trama ma insignificante a livello emotivo e di sviluppo dei personaggi. La trama, già storicamente non il pezzo forte della casa, qui raggiunge dei momenti degni di una telenovela, con colpi di scena che persino gli sceneggiatori di Beautiful avrebbero trovato un po' sopra le righe. 

Anche l'azione latita, tra scene già viste e altre (soprattutto quella finale) che superano abbondantemente la soglia della sospensione dell'incredulità senza però raggiungere quell'epicità un po' tamarra vista in alcuni dei capitoli precedenti, talmente folle ed esagerata da mettere a tacere il cervello e ordinargli di godersi lo spettacolo senza farsi troppe domande. Justin Lin, di ritorno alla regia dopo aver saltato gli ultimi due capitoli, sembra aver poco da dire, e si abbandona ad alcune scelte poco da lui, con riprese confuse e un uso eccessivo del montaggio che anziché aumentare il ritmo lo rende solo inutilmente frenetico, rendendo impossibile godersi appieno l'azione. Detto questo, a tratti ci si diverte comunque, grazie sia allo humor e al carisma di alcuni dei personaggi secondari (Charlize Theron ed Helen Mirren su tutti), sia ad alcune sequenze invece molto riuscite, inseguimento in auto nella giungla in testa.

La sensazione è che la saga abbia nuovamente raggiunto un punto in cui deve reinventarsi completamente per non diventare insignificante o morire: un'impresa che sarebbe proibitiva per altri franchise, ma non quello che più si è saputo reinventare nel corso degli anni, passando da una storia "minore" di poliziotti infiltrati a uno spy action degno di Mission: Impossible. Occorrerà però un profondo ripensamento dei capisaldi della saga, la creazione di villain più credibili e motivati, e magari il recupero di alcuni personaggi non presenti in questo capitolo (soprattutto quello che fa capolino nella scena post titoli). Non sarà facile, ma la Famiglia di missioni impossibili ne ha già affrontate parecchie.


** 1/2

Pier

lunedì 2 agosto 2021

Jungle Cruise

Il ritorno del cinema d'avventura


Londra, 1916: la botanica Lily Hougton, accompagnata dal fratello MacGregor, parte per una rocambolesca avventura nella foresta amazzonica alla ricerca di un fiore di cui parlano le leggende, dalle mitiche proprietà curative. Per navigare il Rio delle Amazzoni ingaggia i servigi di Frank, proprietario di una imbarcazione sgangherata ma profondo conoscitore delle mille biforcazioni del fiume. L'avventura si rivelerà più complessa del previsto quando sulle loro tracce si metterà il principe tedesco Joachim e, soprattutto, quando la leggenda dietro il fiore si rivelerà fin troppo autentica. 

Il cinema d'avventura è un genere che sembrava morto e sepolto: esploratori e affini, dopo aver conosciuto il loro momento di gloria con le serie di Indiana Jones e All'inseguimento della pietra verde, e aver vissuto un ottimo revival "per ragazzi" con la serie de La mummia, sembravano passati di moda. 
Jungle Cruise raccoglie l'eredità dell'ultimo filone e si rivela una lieta sorpresa che riesce nell'impresa di resuscitare e rilanciare il genere, azzeccandone in pieno gli ingredienti principali: personaggi interessanti e carismatici, scrittura brillante, avventura fatta di continui pericoli superati, spesso in modo rocambolesco, grazie ad astuzia, abilità, e sprezzo del pericolo. Ispirato, come già I pirati dei Caraibi (altra saga che aveva rilanciato un genere, quello dei pirati, che sembrava superato), da un'attrazione di Disneyland, il film tradisce la sua origine ma riesce a sfruttarla per raccontare un'avventura sul fiume con ingredienti di screwball comedy, un mix che non si vedeva dai tempi di un capolavoro come La regina d'Africa

La sceneggiatura è perfetta per il genere: dialoghi brillanti, avventure ai limite dell'incredibile che uniscono fatti storici con un tocco di fantastico, e un colpo di scena per una volta davvero azzeccato. Jaumie Collet-Serra è efficace nel mettere le sue doti di regista di cinema d'azione al servizio della sceneggiatura con una direzione degli attori che ne fa risaltare le capacità comiche, un montaggio serrato che dà al film un ottimo ritmo, un uso della CGI efficace (anche se debitore dell'estetica de I pirati dei Caraibi), e una fotografia che ha il coraggio di "fermarsi" durante alcune delle scene d'azione, mettendo in luce le doti atletiche di Dwayne Johnson.

Johnson offre probabilmente una delle sue prove migliori, donando al suo personaggio quel fascino da simpatica canaglia che aveva già esibito efficacemente, seppur solo a livello vocale, in Oceania, e divertendo e divertendosi anche quando si lancia in improbabili freddure e giochi di parole. A brillare più di tutti, però, è Emily Blunt: il suo sorriso e il suo sguardo strafottente bucano lo schermo, i suoi tempi comici sono eccezionali, il suo humor inglese (il film va, se possibile, visto in inglese) contrasta perfettamente con l'americanissimo Johnson. La sua Dottoressa Houghton è senza ombra di dubbio uno dei personaggi femminili migliori del genere, ed eclissa le sue epigone di tempi più recenti, saga della Mummia in testa, per personalità e carisma.

Jungle cruise è un film divertente, senza pensieri e senza alcuna pretesa se non quella di intrattenere e, perché no, far viaggiare la nostra mente - l'ideale, forse, per questo momento storico. Chi scrive auspica che possa essere anche il primo capitolo di una nuova saga che ha il potenziale di resuscitare un genere che, pur avendo come target di riferimento i ragazzi, è in grado di offrire risate e divertimento di qualità anche agli adulti. Se la saga continuerà (e gli incassi, in tal senso, sembrano promettere bene) dovrà però alzare l'asticella della creatività, puntando verso nuovi territori narrativi ed espressivi: ma si parte da radici solide.

****

Pier