mercoledì 22 ottobre 2014

I Guardiani della Galassia

Fantascienza Pop



Terra, fine anni Ottanta. Il giorno della morte di sua madre, il giovane Peter Quill viene rapito da un'astronava aliena di proprietà di un gruppo di fuorilegge, i Ravager, che lo allevano come uno di loro. Anni dopo, ritroviamo Peter su un pianeta deserto, intento a impadronirsi di un ambito quanto misterioso artefatto, una sfera. Si fa chiamare Spacelord, ed è uno dei ricercati numero uno della polizia galattica. La sfera, però, fa gola a molti, e Peter finirà invischiato in una lotta con altri ricercati: il procione Rocket, il suo amico Groot, una creatura-albero dal cuore d'oro e dalla potenza devastante, la bella e combattiva Gamora e Drax, uno dei criminali più crudeli della galassia. Dopo essere stati arrestati, i cinque seppelliranno l'ascia di guerra e uniranno le forze per fuggire e reimpadronirsi della sfera, nel tentativo di impedire che venga utilizzata per distruggere un pianeta e, forse, l'intero universo.

I Guardiani della Galassia inizia negli anni 80, e non è un caso: il regista James Gunn non fa mistero delle sue fonti di ispirazione, e si ricollega allo spirito scanzonato e disincantanto dei primi Guerre Stellari e di Indiana Jones, creando un riuscito mix di generi e personaggi (quell'Awesome Mix che dà il titolo all'audiocassetta che Peter ascolta sempre, unico ricordo tangibile di sua madre). Il film naviga tra commedia, avventura e dramma, concentrandosi sui personaggi più che sulle scene d'azione o sugli effetti speciali (che sono comunque di altissimo livello). Tutti i protagonisti sono reietti, emarginati, intrappolati in un passato che impedisce loro di vivere come vorrebbero e di avere rapporti onesti con gli altri. La trama segue con attenzione la loro evoluzione come gruppo, collegandola con efficacia con gli eventi narrati e la missione che, a poco a poco, si delinea di fronte a loro, fino ad arrivare al climax emotivo e narrativo del film, quando gli eroi smettono di essere individui per divenire una squadra, unita nell'abbraccio protettivo del laconico ma iperespressivo Groot.

Il film scorre veloce tra battute, combattimenti e momenti rivelatori, e James Gunn lo dirige con mano sicura, rendendolo godibile anche per chi non conosce il fumetto da cui è tratto. Gli attori sono brillanti e hanno facce e voci perfette per i rispettivi ruoli, con Chris Pratt che si candida a diventare il nuovo "adorabile spaccone" di Hollywood, Bautista che regala una performance di inatteso spessore comico, e Bradley Cooper (Rocky) e Vin Diesel (Groot) che formano una strana coppia in computer grafica divertente ed efficace. Un po' sottotono rispetto agli altri Zoe Saldana, che paga però anche il minore spessore del suo personaggio.

I Guardiani della Galassia rilegge il genere del cinecomic, creando un ibrido tra il primo Iron Man e la fantascienza anni 80 che non si prende troppo sul serio e risulta originale e godibilissimo per lo spettatore. Per gli appassionati del genere, un appuntamento non perdere.

*** 1/2

Pier

lunedì 20 ottobre 2014

Il giovane favoloso

Una biografia dell'anima



Il racconto della vita di Giacomo Leopardi, dall'infanzia di "studio matto e disperatissimo" a Recanati fino alla morte in quel di Napoli, passando per la contrastata esperienza fiorentina. Un viaggio attraverso la poesia e l'animo del poeta, accompagnato dalla lenta deformazione del suo corpo.

Portare al cinema la vita di Giacomo Leopardi è impresa complessa e audace, soprattutto in Italia: la figura è complessa sotto molteplici punti di vista, e il suo multiforme ingegno difficilmente si presta a un inquadramento preciso e definito quale quello richiesto da un'opera biografica tradizionale. Servirebbe qualcosa come ciò che ha realizzato Todd Haynes con Io non sono qui, in cui Bob Dylan viene raccontato da angolature diverse, attraverso attori diversi e storie diverse, nel tentativo di restituire il caleidoscopio artistico della sua opera. In Italia, tuttavia, un'operazione di questo genere è impossibile, e Martone non sarebbe comunque il regista indicato per portarla avanti. Il regista napoletano riesce però a evitare il rischio fiction tv, e realizza un film rigoroso, che nel suo impianto classico riesce ad avere qualche spunto innovativo.

Leopardi viene raccontato attraverso ciò che più lo rappresenta, le sue parole, che permeano tutto il film, fuoriuscendo da lettere, poesie e racconti per entrare nel parlato, nella sua vita di tutti i giorni. Attraverso la sua viva voce ripercorriamo l'ambiguo rapporto con il padre Monaldo, sia mentore che carnefice, l'amicizia con Ranieri, l'impietoso e inesorabile incedere della malattia che ne avrebbe deformato il corpo. Elio Germano dà voce e fisico al poeta con una prestazione sublime e misurata, in cui riesce a rendere lo strazio interiore di Leopardi senza scivolare nella gigioneria né nell'eccesso.
La musica, moderna come composizione ma fuori dal tempo nel suono, accompagna alla perfezione le vicissitudini di Leopardi, divenendo non solo complemento alle immagini ma parte attiva del processo narrativo.

Martone dirige il film con mano sicura, inserendo all'interno di una biografia classica alcuni elementi visivi di forte impatto (la Natura matrigna, il finale), che contribuiscono ad arricchire una trama per il resto molto classica e con poco slancio nello svolgimento e nell'impostazione. Nonostante la durata eccessiva e alcuni momenti artificiosi e ridondanti, il film stimola e coinvolge lo spettatore, fino a un finale emozionante, in cui la penultima poesia di Leopardi, La ginestra, diviene la summa della sua vita e della sua esistenza, testamento spirituale di un intellettuale incompreso dal suo tempo e dalla famiglia, ma che ha segnato in modo indelebile la storia della letteratura non solo italiana.

***1/2

Pier

martedì 14 ottobre 2014

Pasolini

Appunti per un film superficiale


L’ultimo giorno di vita di Pier Paolo Pasolini, raccontato attraverso immagini della sua quotidianità e del suo film mai realizzato, "Porno-Teo-Kolossal". Tra incontri con amici, familiari e colleghi, il film ci accompagna fino al suo tragico epilogo, l’omicidio dell’intellettuale nella notte tra il 1 e il 2 novembre 1975.

Difficile raccontare con efficacia una figura così complessa come quella di Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più innovativi e poliedrici del Novecento italiano. Difficile anche parlare della sua morte, ancora al centro di controversie, senza scadere nel complottismo. Abel Ferrara inizia in modo originale, scegliendo di alternare il quotidiano con la fantasia, la realtà con la finzione filmica e letteraria. I lati positivi del film, tuttavia, finiscono qui, a causa di una serie di errori e superficialità che sarebbero imperdonabili persino per un regista alle prime armi. La continua alternanza tra italiano e inglese, operata senza una logica precisa, risulta innaturale e spesso fastidiosa, costringendo attori italiani a parlare un inglese innaturale e non eccelso, e Willem Dafoe a esprimersi in un italiano stentato da Stanlio e Ollio, che mal si adatta alla figura che interpreta. Per una volta, il doppiaggio arriva a salvare il film, eliminando questa bruttura almeno dalla versione italiana.

Anche senza considerare questa discutibile scelta espressiva, tuttavia, il film non riesce a raggiungere il suo scopo, ovvero quello di offrire un ritratto intimo di Pasolini, in cui il personaggio pubblico lascia posto a quello privato. Ferrara è infatti del tutto disinteressato a fornire un profilo intellettuale di Pasolini, o a spiegare la sua importanza all’interno del panorama culturale italiano e mondiale. Persino le sue idee politiche rimangono sullo sfondo, accessorie rispetto al racconto dell’uomo. La missione di Ferrara è un mezzo fallimento: Pasolini pecca di superficialità, sorvolando su numerosi aspetti della complessa personalità e poetica dell'intellettuale italiano e scivolando spesso nella banalità. Ferrara non riesce né a umanizzare il personaggio, nonostante l’inserimento di scene di vita quotidiana, né a trasmetterne la profonda vitalità intellettuale.

Il film dà quindi la sensazione di essere incompiuto, un’accozzaglia di appunti e immagini girate per raccogliere le informazioni necessarie a realizzare il film vero e proprio. Non valgono a salvare Pasolini i numerosi elementi di interesse a livello visivo, con alcune immagini di grande bellezza e verità, soprattutto nel finale: qui il contrasto tra la luminosa leggerezza delle note del Barbiere di Siviglia e le cupe immagini del ritrovamento del cadavere e del lutto creano un momento di forte intensità emotiva. Dafoe incarna alla perfezione il protagonista a livello fisico, sopperendo almeno in parte alla scarsa veridicità che l’uso dell’inglese (o, peggio ancora, di un italiano abborracciato) conferisce alle sue battute. Intorno a lui si muove un cast italiano di alto livello cui vengono concesse scene da comparse. L'unico che riesce a distinguersi è Ninetto Davoli nella parte di Epifanio/Eduardo de Filippo, unico a non essere forzato all’uso dell’inglese e dunque a non rimanere azzoppato nella sua naturalezza espressiva (per quanto un De Filippo che parla in romano non sia esattamente l'ideale...).

Il film di Ferrara risulta piatto, poco convincente e superficiale perché rimane a metà del guado, indeciso tra l’uso di una lingua o dell’altra, tra raccontare un grande intellettuale per quello che era o cercare di esaltarne l’umanità, tra l’essere un film artistico o un biopic da sceneggiato televisivo.

*1/2

Pier

PS: questa recensione è stata rielaborata a partire da quella già pubblicata su Nonsolocinema durante la Mostra. La trovate qui.

venerdì 10 ottobre 2014

Dove nascono le emozioni


Dopo averci regalato quelli che sono senza dubbio i migliori film d'animazione degli ultimi decenni, la Pixar sembrava aver perso il suo tocco magico.

Film come Cars 2, Brave e, in minor misura, Monsters University facevano pensare che la vena creativa fosse esaurita, e l'annuncio dei seguiti di Alla ricerca di Nemo e Gli Incredibili sembravano confermarlo, soprattutto considerando la passata avversione per i sequel della casa di Luxo jr.

Come può una studio cinematografico dimostrare a tutti che non solo non ha esaurito la creatività, ma è anzi pronto a superare nuovi ostacoli e affrontare sfide all'apparenza impossibili? Semplice: realizzando un film come questo, che ci porta alle radici stesse delle emozioni e della creatività.



Il regista e sceneggiatore è Pete Docter, a mio parere il miglior creativo di casa Pixar, autore di Monsters & Co e Up. Le premesse per il capolavoro ci sono tutte: non ci resta che aspettare.

PS: quanto è bello Rabbia?

Pier