martedì 21 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street


Il fascino oscuro dell'avidità




New York, Anni 90. Jordan Belfort è un broker di successo e senza scrupoli. Avido e ambizioso, è riuscito a sopravvivere al crollo del mercato del 1987 vendendo azioni non quotate e di scarso valore, iniziando una serie di pratiche finanziarie illecite che lo porteranno a fondare la sua agenzia, la Stratton Oakmont. Il denaro comincia a scorrere a fiumi, accompagnato da un vortice di donne, droga ed eccessi che porteranno Belfort a vivere in un ottovolante continuo dove affetti, amici e salute vengono sacrificati in nome della ricchezza sfrenata e del lusso.

Con The Wolf of Wall Street, Martin Scorsese affronta per la prima volta il mondo della finanza, e lo fa attraverso la controversa storia di Jordan Belfort, il Madoff degli anni 90, un truffatore incallito che ricorda Gordon Gekko, ma riesce a superare il personaggio di fiction in quanto ad avidità e spregiudicatezza. Il regista e lo sceneggiatore, Terence Winter, decidono di basare la storia sull'autobiografia del protagonista, adottando così i toni della commedia nera, di un'ironia cinica e chiassosa che nasconde però una forte critica sociale. Il risultato è un film esilarante e amaro, che colpisce lo spettatore con scene talmente assurde da risultare divertenti, e lo colpisce di nuovo quando questi realizza che sono realmente accadute. Il film non risparmia nulla, nessun eccesso, nessun abuso, mettendo in scena con ogni minimo dettaglio.quel vortice inarrestabile che è stata la vita di Belfort.

Nonostante la lungaggine di alcune sequenze, il film scorre rapido e veloce, trascinato da una regia decisa e psichedelica, da musiche perfette, e da una prova del cast semplicemente sublime. Su tutti spicca il protagonista, un Di Caprio mai così eclettico, capace di rappresentare tutte le innumerevoli sfaccettature del carattere di Belfort: truffatore, padre di famiglia, tossicodipendente, leader carismatico, traditore, amico fedele, uomo della porta accanto, miliardario. Di Caprio indossa i panni di Belfort alla perfezione, alternando momenti di irresistibile ilarità (la scena in cui le droghe gli inducono una sorta di paralisi) ad altri di cupa ferocia, passando per tutto lo spettro delle emozioni umane, in una performance che, se ci fosse giustizia, dovrebbe garantirgli quella statuetta che incredibilmente non ha ancora vinto. Accanto a lui si muove uno splendido Jonah Hill, ormai affermatosi come attore "impegnato", che tratteggia un personaggio insopportabile nel suo essere sempre sopra le righe, sboccato, eccessivo e incontrollabile. Nonostante appaia solo per pochi minuti, infine, non si può non menzionare la splendida prova di Matthew McConaughey, che ruba letteralmente la scena nella parte del primo "mentore" di Belfort, il broker cocainomane e onanista Mark Hanna.

Il film negli USA è stato oggetto di molte critiche, tacciato di essere immorale per aver rappresentato un criminale come un simpatico uomo d'affari un po' spericolato. Queste critiche appaiono del tutto ingiustificate, in quanto perdono del tutto di vista lo scopo dell'opera: mettere a nudo l'immoralità del sistema capitalistico. Immorale non è il film, ma ciò che racconta. E' immorale il fatto che il protagonista, nella realtà, abbia fatto solo quattro anni di prigione; è immorale un sistema che idolatra un uomo che dichiaratamente sfrutta l'ingenuità altrui, e che permette il ripetersi di situazioni simili, come nel caso Madoff; è immorale, infine, che quest'uomo sia tutt'oggi l'idolo indiscusso di moltissimi broker e operatori finanziari, al punto che, in alcune società finanziarie, sono state organizzate proiezioni private del film per gli impiegati.
Scorsese non vuole parlare di Jordan Belfort, rendendolo simpatico o umano ma, attraverso la sua storia, vuole raccontare le storture di un sistema che concentra la ricchezza nelle mani di pochi, in maniera talmente smisurata che questi non sanno letteralmente che farsene.

The Wolf of Wall Street è un film militante: la trama esilarante e i personaggi al limite del caricaturale non riescono a farci dimenticare che la storia è vera, e che i personaggi che la abitano sono realmente vissuti. Il divertimento si mescola quindi a uno sbigottimento crescente, che alla fine del film lascia lo spettatore soddisfatto ma sconcertato, spingendolo a interrogarsi su di sè e sulla società di cui fa parte perchè, come mostra l'ultima inquadratura riservata all'agente FBI, tutti, più o meno consciamente, vorrebbero essere Jordan Belfort.

****1/2

Pier

giovedì 16 gennaio 2014

La grande soddisfazione

La cerimonia di annuncio delle nomination per gli Academy Awards 2014 è appena terminata, e la notizia non può lasciarci indifferenti: La grande bellezza è entrata nella cinquina dei film nominati al miglior film straniero, primo film italiano dal 2006, quando a essere nominato fu La bestia nel cuore.


Il riconoscimento arriva a pochi giorni di distanza dall'inaspettato ma meritatissimo trionfo ai Golden Globes, che segue di ben 25 anni l'ultimo premio dato a un italiano, ottenuto da Tornatore con Nuovo Cinema Paradiso.

La scaramanzia non è mai troppa, ma quest'anno l'Italia ha una seria possibilità di ottenere quella statuetta che manca dal 1998, quando Benigni trionfò con La vita è bella.

La grande bellezza è un film non privo di imperfezioni, che riesce però a colpire dritto al cuore con la forza delle immagini, ma soprattutto di una storia intima e personale che riesce a farsi storia di una nazione. Dopo essere stato ingiustamente ignorato a Cannes, Sorrentino si sta prendendo delle notevoli rivincite sia sui giudici - La Vie d'Adèle è stato sconfitto ai Globes e non è nemmeno stato considerato dall'Academy - sia sui critici, sempre pronti a sputare fiele su qualunque film cerchi di discostarsi dalla mediocrità del cinema nostrano.

Mi piace pensare che, nella sua mente, Sorrentino riservi a questi soggetti le stesse parole che Toni Servillo ha riservato a un'improvvida e intempestiva giornalista televisiva.