lunedì 31 maggio 2021

Minari (In pillole #17)

I nuovi pionieri


Esiste ancora il sogno americano? Partendo da questa domanda all'apparenza semplice, Lee Isaac Chung affronta uno dei temi riscrive il mito dei pionieri dal punto di vista dei nuovi immigrati - in questo caso, una famiglia coreana che si trasferisce negli USA negli anni Ottanta. Così come Hamilton, il musical di Lil' Manuel Miranda, trasforma il mito dei padri fondatori per parlare di una nazione fondata, creata, e animata da immigrati, Minari riprende la mitologia della frontiera e la trasforma in una storia nuova, raccontata con l'occhio di immigrati di prima e soprattutto seconda generazione, sospesi tra la cultura di una terra mai conosciuta e quella del paese che li ospita.

Non è un caso che il vero protagonista sia David, il figlio, che fatica ad accettare l'ingombrante presenza della nonna, nei suoi occhi figlia di un passato che non conosce ma che condiziona ancora la sua vita, scandita da tradizioni religiose e culinarie che i genitori vogliono tenere vive, ma che per lui costituiscono solo un ostacolo. La nonna si rivelerà ben più anticonformista del previsto, creando un solido ponte tra la tradizione (rappresentata dal minari, erba in grado di crescere ovunque, una volta piantata) e la loro nuova comunità. La tensione tra tradizione e innovazione, passato e futuro, permea tutto il film e si sostanzia soprattutto nei genitori di David, impegnati in una guerra di valori silenziosa che trova tregua solo nell'amore familiare.

Minari è un film all'apparenza semplice, ma in realtà complesso, stratificato, ricco di significati senza per questo essere didascalico come altri film che cercano di compiere la stessa operazione. Il paesaggio dell'Arkansas sembra un'Arcadia senza tempo (la fotografia è una goduria per gli occhi), e la narrazione ha  echi delle grandi epopee di Steinbeck, intime ma al tempo stesso di afflato biblico. 

Chung racconta la famiglia protagonista con uno sguardo delicato e divertito, affrontando anche i momenti più drammatici con la leggerezza propria dell'infanzia. Il risultato è un racconto semplice ma efficace, che racconta una vicenda privata ma universale, in cui una famiglia cerca un proprio posto in un nuovo mondo, e i suoi membri cercano la propria identità all'interno della famiglia stessa. Un piccolo gioiello: non perdetelo.

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Pier

lunedì 17 maggio 2021

I Mitchell contro le macchine

La creatività del futuro


La famiglia Mitchell è sconclusionata, disordinata, strana: molto lontana dall'ideale di perfezione dei vicini che mamma Linda invidia. La figlia Katie sta per partire per il college, dove studierà cinema, realizzando il suo sogno e allontanandosi da una famiglia e da un papà, Rick, che sente sempre più distante. Rick adora Katie, ma non riesce a comprendere il suo linguaggio "multimediale" né i suoi interessi. In un ultimo tentativo di riconnettersi con lei, Rick decide che tutta la famiglia (Rick, Linda, e il fratellino Aaron) accompagnerà Katie al college in una gita in auto. Peccato che, durante il viaggio, i robot insorgano, rivoltandosi contro gli umani e minacciando di spazzarli via dal pianeta.

Dopo il meritatissimo successo di Spider-Man: Un nuovo universo (che non per nulla vi abbiamo segnalato tra i migliori dieci film del decennio appena concluso), la Sony Animation torna con un'altra opera coraggiosa e innovativa, un'esplosione di creatività che si avventura ai confini dell'animazione e li spinge un po' più in là. Laddove Un nuovo universo esplorava l'ibridazione di diverse tecniche di animazione, ma soprattutto del linguaggio animato e di quello fumettistico, I Mitchell contro le macchine gioca con il linguaggio dei social media, da YouTube a TikTok, passando per Instagram e Snapchat. L'animazione in computer grafica viene "filtrata" (è il caso di dirlo) e arricchita da emoji, meme, immagini live action, e animazioni in 2D che descrivono le emozioni dei personaggi come fossimo in un fumetto o, appunto, sui social media. 


Lo stile filmico di Katie, che usa un approccio multimediale per realizzare i suoi video virali (memorabili quelli con il cagnolino Monchi nella parte di un poliziotto duro e puro), diventa quello del film. I Mitchell contro le macchine è interamente girato dalla sua prospettiva di Katie, filtrato attraverso il suo creativo e registico, come se stessimo assistendo agli eventi rivisti dalla sua prospettiva e trasformati in uno dei suoi video virali - creazioni dove non conta la qualità degli effetti speciali ma la capacità di essere autentici e originali, senza paura del ridicolo, ma anzi abbracciandolo e usandolo come strumento espressivo. 


Il risultato è strabiliante: un'orgia di colori brillanti amalgamati con un approccio da acquerello, che esalta le sfumature ma, grazie alla commistione con la computer grafica, non sacrifica la profondità, accompagnati a una sceneggiatura esilarante ma anche in grado di emozionare e commuovere, come i migliori film della Pixar. Scene di emozionante contemplazione (sia familiare, sia esistenziale) si alternano a scene quasi demenziali, una commistione di comicità verbale e slapstick che si amalgamano con la serietà dei temi trattati con una perfezione incredibile vista la profonda diversità di temi e toni.

Il film non ha paura di questa diversità, ma anzi abbraccia il caos, rendendolo cifra espressiva, una perfetta rappresentazione dell'inesauribile voglia di creare di Katie e di un'intera generazione - una generazione stanca di non essere presa sul serio e desiderosa non solo di creare, ma di cambiare: cambiare i linguaggi, gli strumenti di valutazione, persino il concetto stesso di "arte". Una generazione che non ha paura di sperimentare, ma anzi vede la sperimentazione come l'unico approccio possibile. 


Il film è anche un'esortazione al dialogo intergenerazionale, a capire la diversità di linguaggio e approcci che, oggi come forse mai nella storia, sta creando una barriera tra genitori e figli. Lo stile stesso del film è un inno al dialogo, con tecniche di generazioni e media differenti che trovano il modo di convivere e dialogare in modo proficuo, esattamente come Katie e Rick. Al di là dell'abbacinante animazione, l'innovazione del film sta tutta qui: prendere un tema abusato come lo scontro generazionale e rivisitarlo in chiave nuova, moderna, in grado di parlare all'oggi senza sacrificare l'universalità del messaggio.

I Mitchell contro le macchine è un piccolo capolavoro che, pur costruendo sulle solide fondamenta già costruite da Spider-Man: Un nuovo universo, se ne discosta per costruire un universo emotivo e creativo tutto suo. Il film investe lo spettatore come una boccata d'aria fresca, e lo trascina in un viaggio che fa tutto quello che il grande cinema dovrebbe fare: divertire, emozionare, lasciare a bocca aperta.


**** 1/2

Pier