sabato 30 maggio 2015

Tomorrowland

Fermate Lindelof, voglio scendere


Casey Newton è la figlia adolescente di un ingegnere NASA che rischia di perdere il lavoro. Intorno a sè sente spesso parlare del terribile futuro che aspetta il nostro pianeta, ma è frustrata dal fatto che nessuno sembra voler fare nulla per risolvere i problemi. Un giorno trova una strana spilla e, toccandola, viene trasportata a Tomorrowland, un mondo futuristico che apparentemente solo lei può riportare ai fasti di un tempo.

Spesso si identificano i film con i registi, ma nel caso di Tomorrowland sarebbe fare un torto a Brad Bird. Il film è infatti visivamente innovativo, vivace, vitale, con trovate stupefacenti e stimolanti, tra razzi degni di Jules Verne che decollano dalla Tour Eiffel e avveniristiche piscine sospese. Sotto questo punto di vista, Tomorrowland non delude le attese, e riesce a creare un nuovo mondo che risulta credibile per la sua capacità di riflettere, in meglio e in alcuni casi in peggio, le caratteristiche del mondo reale, creando un effetto di "nostalgia per il futuro" che ricorda uno dei capolavori di Bird, Il gigante di ferro.
Dove il film fallisce, va alla deriva, naufraga del tutto è nella storia, che porta l'inconfondibile marchio di fabbrica di Damon Lindelof, l'uomo incapace di costruire una trama senza buchi narrativi, e soprattutto del tutto incapace di dare una risposta alle mille domande che apre, ai mille misteri che abbozza senza definire. La scrittura di Lindelof, da Lost a oggi, riassume tutto ciò che non dovrebbe fare uno sceneggiatore, e Tomorrowland non fa eccezione, tra buchi narrativi grandi come una casa, una storia sdolcinata e sconclusionata, e personaggi talmente monodimensionali e piatti che è pressoché impossibile identificarcisi.

Ecco perché Tomorrowland è il film di Lindelof, una storia raffazzonata e mal scritta che non coinvolge né emoziona, in cui i "colpi di scena" arrivano del tutto a caso e vengono spiegati solo con descrizioni pseudoscientifiche degne della supercazzola di Amici miei. Come in Prometheus, la sceneggiatura si arrotola su se stessa, rovinando le buone premesse con un'evoluzione lenta e macchinosa, che finisce per strozzare il meccanismo del racconto risultando in un suicidio narrativo. A questo si aggiunge la retorica pseudo-infantilista della Disney, che risalta in modo evidente vista la scrittura pedestre, e una storia non certo originale nei suoi punti fondamentali.
Anche gli attori non brillano: Britt Robertson è una versione irritante di Jennifer Lawrence con un decismo del suo carisma, George Clooney sembra solo aspettare l'assegno e Hugh Laurie è talmente irritato con se stesso per aver accettato che finisce per dimenticarsi di recitare. Si salva solo la giovane Raffey Cassidy, uno degli androidi più veri e convincenti visti sullo schermo.

Il risultato complessivo è un film la cui trama poteva forse funzionare negli anni Sessanta, ma che giunge fuori tempo massimo rispetto alle sensibilità del pubblico odierno. Non basta in tal senso il messaggio pseudo-ambientalista, declinato in modo talmente scontato e politically correct da risultare controproducente. Tomorrowland è visivamente stimolante, ma finisce per essere un film per bambini che rischia di non piacere nemmeno a loro, affossato dalla scrittura di quello che è forse il peggior sceneggiatore su piazza per come pensa di poter sempre prendere in giro lo spettatore.

* 1/2

Pier

lunedì 18 maggio 2015

Mad Max: Fury Road

The road to eternity



In un futuro prossimo venturo, la vita sulla terra è stata praticamente spazzata via. L'umanità vive in un deserto desolato, in cui vige la legge del più forte. Immortan Joe regna inconstrastato su The Citadel, in cui è riuscito a creare una piccola oasi con acqua, vegetazione e cibo. Chi lo serve lo venera, il suo volere è legge. Quando però una dei suoi schiavi combattenti, Furiosa, decide di ribellarsi, portando con sè anche l'harem che Joe usa per soddisfare i suoi piaceri, Joe scatena la forza delle sue armate per inseguirla. Sulla sua strada si parerà anche un vagabondo di nome Max, che si troverà coinvolto in uno scontro all'ultimo sangue sulla Fury Road.

Lo dico subito: questa non sarà una recensione come tutte le altre. Perché, in fondo, Mad Max: Fury Road non è un film come gli altri. Tanto per cominciare, è il primo sequel / reboot di film anni '80 che non solo è all'altezza degli originali, ma li supera e li rielabora, adattandoli al mondo moderno. E' un film sporco, duro, forsennato, in cui l'assurdo diventa plausibile grazie al coraggio del regista, George Miller, che anziché sedersi sugli allori della gloria passata (sua anche la trilogia originale), decide di osare e prova nuove strade, spinge al massimo sull'acceleratore verso il nuovo e l'ignoto.

Il risultato è un film adrenalinico, folle, senza un attimo di respiro, con trama e dialoghi risicatissimi che riescono però ad avere più significato di mille monologhi esistenziali, personaggi essenziali ma perfetti, scenografie ed effetti speciali realistici, con un uso della CGI ridotta al minimo (Peter Jackson, guarda e impara) e un realismo che trasuda da ogni scena, nonostante l'assurdità di ciò che accade. Insomma, Fury Road è, ribaltando la famosa frase fantozziana, una figata pazzesca. Tra auto modificate e bracci bionici, chitarristi sospesi in aria con chitarre lanciafiamme e personaggi grotteschi e deformi, lo sguardo dello spettatore non si stacca mai dallo schermo, dove i rari momenti di pausa sono solo pit-stop tra una corsa forsennata e l'altra, in cui si spiegano la filosofia e la storia di un mondo lontano e vicino, in cui l'eccesso la fa da padrone e la massima ricompensa per chi non comanda è morire in modo glorioso.

Tom Hardy è uno splendido Max, taciturno, distaccato, osservatore di una storia che non è la sua, ma in cui si trova coinvolto suo malgrado. La vera protagonista è Furiosa, una combattente energica e spietata ma con una sua psicologia, del tutto spogliata degli stereotipi di genere cui il cinema d'azione ci ha abituato, probabilmente la migliore eroina vista su schermo dai tempi di Alien. La interpreta una Charlize Theron sontuosa, carismatica e volitiva senza bisogno di urlare nè di scene madri (fatta salva la solita rivedibile scena con urlo al cielo che ormai sembra essere d'obbligo nei film made in USA).
Sceneggiatura (i dialoghi risicati e scarni sono una scelta ben precisa, meno facile da realizzare di quanto si pensi), fotografia e scenografia si compenetrano con insanità e realismo, con Miller a tirare le fila con una maestria tale da farci domandare dove fosse stato tutti questi anni (la risposta, che ci crediate o no, è "a girare Happy Feet"), mentre torme di registi senza coraggio umiliavano il genere.

Mad Max: Fury Road, non mi stancherò mai di ribadirlo, è una figata pazzesca, per cui Miller e soci meritano senza dubbio alcuno il Valhalla e la gloria eterna. Accorrete, guardatelo in massa, portate amici e parenti. In una parola: ammiratelo.

*****

Pier

domenica 17 maggio 2015

Mia madre

Stare a fianco, stare di fianco


Margherita è una regista "impegnata", alle prese con le riprese di un film sullo scontro tra gli operai di una fabbrica e i nuovi proprietari che vorrebbero licenziarli. Sua madre, un'insegnante di latino e greco in pensione, è malata da tempo, ma le sue condizioni sembrano essersi aggravate. Margherita si troverà a dover gestire il difficile equilibrio tra una troupe sconvolta dall'arrivo di una capricciosa star americana e la famiglia, confrontandosi con quegli affetti che non ha mai voluto affrontare.

Dopo aver affrontato, con notevoli capacità profetiche, le crisi della politica (Il caimano) e della fede (Habemus Papam), Moretti torna ad affrontare una storia di affetti familiari, in cui le relazioni e le non relazioni tra i personaggi sono il motore della storia. Al centro della vicenda troviamo tre personaggi profondamente diversi: la madre è una persona generosa, abituata a donare se stessa agli altri, sia nel suo lavoro di insegnate, sia nella vita privata; il fratello (un Moretti stranamente sotto tono ma comunque molto intenso) è un uomo mite, tranquillo, per cui la famiglia viene prima di tutto, che concentra il suo affetto su un numero ristretto di persone; infine, Margherita, la protagonista, è segnata da un'anaffettività cronica, da un'incapacità di instaurare un rapporto con gli altri, che diventano solo personaggi all'interno del teatro (o, meglio, del cinema) della sua esistenza. Il mantra "stai accanto al personaggio" che ripete ossessivamente ai suoi attori diventa metafora del suo modo di vivere, di un'incapacità sia di stare accanto agli altri, sia di essere se stessa, relegata alla posizione di spettatrice nella sua stessa vita, sia nei ricordi che nel presente.

Il film ha nella verità la sua forza, in una pietà composta e mai pelosa la sua cifra e il suo fondamento. Commuove, ma non cerca la lacrima facile; emoziona, ma senza essere retorico. E' un film che parla di sentimenti in maniera semplice, come il titolo, due parole ordinarie ma straordinarie, che parlano di un rapporto umano che, pur intenso, fatica a sbocciare e a divenire pieno e vivo. Margherita Buy dà vita alle nevrosi di un personaggio in cui è impossibile non riconoscere lo stesso Moretti, preso tra un sotterraneo desiderio di amare e una cronica incapacità di esprimerlo, un'indecisione tra l'amare o l'essere amato, tra persona e personaggio, in cui tutto diviene una dicotomia e nulla è complementare. Allo stesso tempo, però, Margherita si distingue dal suo modello, divenendo un personaggio a se stante, portatrice di una crisi interiore silenziosa, quasi sussurrata, ma allo stesso tempo incapace dell'accettazione serena e riservata del fratello Giovanni. Insieme a lei sul set del film si muove un Turturro che convince non tanto nelle (esilaranti) scene da mattatore, quanto in quella in cui, rivelando la sua fragilità e la sua debolezza, riesce finalmente a instaurare un rapporto con la regista, uscendo dal suo personaggio per diventare persona, cosa che Margherita, fino all'ultimo, non riuscirà veramente a fare.

Mia madre è un film intenso, certo imperfetto, ma proprio per questo umano, vero, lontano in tutti gli aspetti, sceneggiatura e scenografia in testa, da quella patinata realtà cui ci ha abituato molto cinema italiano, in cui i sentimenti divengono reali, vivi, vicini alla vita di tutti noi. Da non perdere.

**** 1/2

Pier