sabato 11 marzo 2023

Oscar 2023 - I pronostici

Questa notte, come ogni anno, gli occhi del mondo cinematografico si sposteranno sul Dolby Theatre di Los Angeles per la cerimonia di premiazione della novantaduesima edizione degli Academy Awards. 

Il 2022 ci ha regalato tanti film di valore, dimostrando che c'è ancora vita, e tanta, al di fuori degli universi cinematografici che sembravano aver fagocitato l'industria, e che invece sembrano mostrare un po' la corda. Ed è stato proprio uno dei grandi favoriti di stanotte a mostrare che un altro cinema di intrattenimento - creativo, immaginifico, di genere -  è assolutamente possibile.

Ecco di seguito i pronostici, infallibili come sempre: correte in SNAI, e puntate sull'opposto di quanto scrivo. I film recensiti sono linkati ogni volta che vengono nominati.


Miglior montaggio
I due grandi favoriti sembrano essere i montatori di film che fanno del dinamismo la loro forza: Matt Villa e Jonathan Redmond per Elvis e Paul Rogers per Everything, Everywhere, All at Once, con Eddie Hamilton per Top Gun: Maverick appena dietro. Penso vincerà Rogers, mentre la mia preferenza personale va ai montatori di Elvis, che vive dell'energia cinetica data anche dal montaggio.
Pronostico: 
Paul Rogers, Everything, Everywhere, All at Once
Scelta personale: Matt Villa e Jonathan Redmond, Elvis


Miglior fotografia
Sezione con nomination molto bizzarre: inspiegabilmente ignorato Gli Spiriti dell'Isola, troviamo invece film ben più mediocri come Nulla di Nuovo sul Fronte Occidentale (un titolo che potrebbe essere anche la recensione del film). Il grande favorito sembra Florian Hoffmeister per Tár , che indubbiamente ha nel comparto visivo uno dei suoi elementi di forza. E Roger Deakins, nonostante le brutte recensioni per Empire of Lights, non va mai sottovalutato. La mia preferenza va però a Darius Khondji, autore di una fotografia lisergica e creativa per Bardo, ingiustamente snobbato da questa edizione degli Oscar.
Pronostico: Florian Hoffmeister, Tár
Scelta personale: Darius Khondji, Bardo


Miglior film d'animazione
Un anno di altissima qualità per l'animazione, con tutti i cinque candidati che meriterebbero la statuetta. Il favorito sembra essere il Pinocchio in stop motion di Guillermo del Toro, ideale terzo capitolo di una trilogia in cui la fantasia aiuta a sfuggire alla dittatura. La mia scelta personale ricade invece su Red, ennesimo capolavoro Pixar passato un po' troppo in sordina.
PronosticoGuillermo del Toro's Pinocchio
Scelta personale: Red


Miglior attore non protagonista
Pronostico facile, Brendan Gleeson per Gli Spiriti dell'Isola, scelta del cuore più difficile: da una parte Barry Keoghan, splendido nel suo ruolo di finto idiota in Gli Spiriti dell'Isola, dall'altro Ke Huy Quan, che firma un grandissimo ritorno in Everything, Everywhere, All at Once dopo i ruoli memorabili interpretati in gioventù. Vince, per un'incollatura, Ke Huy Quan, grazie alla scena del marsupio, una delle migliori del 2022. E chissà che l'Academy, alla fine, non sia d'accordo con me.
Pronostico: Brendan Gleeson, Gli Spiriti dell'Isola
Scelta personale: Ke Huy Quan, Everything, Everywhere, All at Once


Miglior attrice non protagonista
Pronostico molto difficile, senza una vera favorita. Potrebbe spuntarla, nella logica da manuale Cencelli, Hong Chau per The Whale. Su Kerry Condon, dolente e brillante voce della ragione in Gli Spiriti dell'Isola, ricade invece la mia scelta personale. Menzione d'onore per Jamie Lee Curtis, splendidamente folle in Everything, Everywhere, All at Once
Pronostico: Hong Chau, The Whale
Scelta personale: Kerry Condon, Gli Spiriti dell'Isola


Miglior sceneggiatura originale
Qui la sfida è la stessa del miglior film: da una parte Daniel Kwan e Daniel Scheinert per Everything, Everywhere, All at Once, dall'altra Martin McDonagh per Gli Spiriti dell'Isola. Penso la spunterà il secondo, cui va anche la mia preferenza personale: pochissimi al mondo sanno scrivere come McDonagh.
Pronostico: Martin McDonagh, Gli Spiriti dell'Isola
Scelta personale: Martin McDonagh, Gli Spiriti dell'Isola


Miglior sceneggiatura non originale
La favorita sembra essere Sarah Polley per Women Talking, appena arrivato nelle nostre sale e che non ho quindi avuto modo di vedere. I miei preferiti sono quel gioiellino di Living, adattato da Kazuo Ishiguro, e Glass Onion, delizioso divertissement giallistico. La mia scelta alla fine ricade su Living, delicatissimo e commovente.
Pronostico: Sarah Polley, Women Talking
Scelta personale: Kazuo Isghiguro, Living


Miglior attrice protagonista
La grande favorita è Cate Blanchett, come sempre splendida anche in un film non eccelso (ma piaciuto molto all'Academy) come Tár . La mia scelta personale ricade però sulla splendida prova di Michelle Yeoh in Everything, Everywhere, All at Once: una prova poliedrica, con commedia, azione, dramma, tutto recitato alla perfezione.
Pronostico: Cate BlanchettTár
Scelta personale: Michelle Yeoh, Everything, Everywhere, All at Once


Miglior attore protagonista
Anche qui è una sfida a due tra il mesmerico Austin Butler di Elvis e il dolce e straziante Brendan Fraser di The Whale. Se il pronostico ricade su Fraser, la scelta personale è difficilissima: scelgo Fraser perché Butler avrà altre occasioni, mentre Fraser merita la statuetta anche per il suo ritorno alla ribalta dopo anni di ingiusta sofferenza.
Pronostico: Brendan Fraser, The Whale
Scelta personale: Brendan Fraser, The Whale

Miglior regia
Il solito manuale Cencelli imporrebbe un premio per Steven Spielberg e la sua bella madeleine di The Fabelmans, ma penso che l'Academy premierà il coraggio ai limiti della follia di Daniel Kwan e Daniel Scheinert per Everything, Everywhere, All at Once. A loro va anche la mia scelta personale, per aver saputo dimostrare come si possano fare film di cassetta senza rinunciare all'originalità o annegare la storia in mari di computer grafica (sì, Cameron, sto parlando con te).

Pronostico: Daniel Kwan e Daniel Scheinert, Everything, Everywhere, All at Once
Scelta personale: Daniel Kwan e Daniel Scheinert, Everything, Everywhere, All at Once


Miglior film
Per il sottoscritto il discorso non dovrebbe nemmeno aprirsi: Gli Spiriti dell'Isola è il miglior film dell'anno per la sua capacità di amalgamare alla perfezione toni diversi, significati stratificati, scrittura, fotografia, interpretazioni. Tuttavia, penso che alla fine vincerà, anche qui, Everything, Everywhere, All at Once, e per gli stessi motivi detti sopra: Hollywood ha bisogno di film "di cassetta" ma anche creativi, in grado di attirare gli spettatori in sala ma anche di soddisfare i critici. E il film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert ha raggiunto ambedue gli obiettivi. 

Pronostico: Everything, Everywhere, All at Once
Scelta personale: Gli Spiriti dell'Isola

Che aspettate? Correte in sala scommesse!

Pier

The Whale

Le tante forme del dolore


Quante forme può prendere il dolore? E si è colpevoli se il proprio dolore crea dolore agli altri? Queste le domande che animano The Whale, ultimo capitolo della schizofrenica carriera di Darren Aronofsky, un regista incapace di essere "medio". I suoi film sono divisivi, e soprattutto polarizzati in termi di qualità: o brillano di luce propria, o sprofondano a livelli abissali, risultando indigesti anche al suo più grande estimatore. 

The Whale fa parte di "quelli buoni", nonostante alcuni potrebbero trovarlo, legittimamente, respingente per la sua scelta di mettere in scena un dolore così vistoso, così fisicamente impattante, con il corpo obeso del protagonista esposto senza alcun pudore in tutte le sue funzioni quotidiane. Bastano tuttavia pochi minuti per capire che questa esposizione non è fine a se stessa, ma funzionale a far emergere il cuore e l'anima del film. Come in The Wrestler, il corpo diviene uno strumento di sublimazione del dolore, un atto di alienazione dal mondo. Quella di Charlie è un'obesità cercata, aborrita ma anche desiderata: un guscio in cui affogare una depressione irrefrenabile, un muro dietro cui nascondersi per tenere lontano un mondo che lo ha già ferito troppe volte. Fino a quando, un giorno, il passato torna nella forma di una figlia arrabbiata ma adorata, e Charlie questa volta apre la porta: a lei, ma anche al giovane membro di una setta, la cui ambigua presenza ci ricorda come la colpa sia un concetto relativo tanto quanto la salvazione. Charlie vuole salvare sua figlia, ma non se stesso, nonostante la prima operazione sarebbe resa infinitamente più facile dalla seconda.

Su tutto incombe Moby Dick, soggetto dell'insegnamento di Charlie e di un misterioso saggio cui sembra molto affezionato, e che conferisce una lettura nuova dell'opera di Melville e, di riflesso, della stessa vicenda di Charlie. Charlie è un uomo distrutto che però ha ancora tanto da dare, preda di una spirale autodistruttiva che non può e, forse, non vuole più arrestare. Tuttavia, nonostante il suo istinto autopunitivo, Charlie non rinuncia alla sua dignità - a essere se stesso, rivendicando scelte fatte per amore anche quando sembravano egoiste.  

Aronofsky trasforma la casa di Charlie in una soffocante cabina, spesso ripresa ad angolature stranianti, che fanno risaltare l'enormità del protagonista in uno spazio tanto piccolo. La sua è una messa in scena teatrale, che fa risaltare i rapporti tra i personaggi, il non detto dei silenzi, degli sguardi che giudicano, amano, vivisezionano, in un incontro-scontro tra volontà feroci e diverse, decise a essere ciò che vogliono e non ciò che gli altri vogliono che siano.

Il cast offre prove eccezionali, con Sadie Sink che si conferma la più talentuosa del gruppo di giovani attori usciti da Stranger Things, e Brendan Fraser che torna sul grande schermo, dopo tante vicissitudini, con un'interpretazione stordente per forza e range emotivo. Come Mickey Rourke prima di lui, Fraser diventa il suo personaggio, fa suo il desiderio di essere visto per ciò che é: un grande attore ingiustamente messo da parte, addirittura ostracizzato per tanto tempo, deciso a riprendersi ciò che è suo, a riaffermare il suo valore.

The Whale è un film emozionante, che ci costringe a confrontarci con le molteplici sfaccettature del dolore e con la catena di rancori e ferite che esso è in grado di creare. Non brilla per originalità della regia, ma forse è un bene: Aronofsky sembra dare il suo meglio quando la sua folle inventiva viene messa al servizio di una storia classica ma dal forte impatto emotivo, costringendolo a concentrarsi sui personaggi e regalandoci finali da brividi in cui immagine e sceneggiatura divengono tutt'uno e trascendono (è proprio il caso di dirlo) il piano del reale.

**** 1/2

Pier

mercoledì 1 marzo 2023

Ant-Man and the Wasp - Quantumania

Un pesce fuor d'acqua


Un famoso proverbio recita che è meglio essere un grande pesce in un lago che un piccolo pesce in un oceano: una pillola di saggezza popolare che il nuovo Ant-Man sembra aver del tutto ignorato. Il successo dei precedenti film dell'Uomo Formica (qui e qui trovate le recension) stava proprio nella differenza di scala: laddove gli altri eroi si trovavano sempre ad affrontare minacce cosmiche e apocalittiche, le sue avventure erano più piccole, focalizzate sulla famiglia e su pericoli molto più concreti e immediati. Erano, insomma, le avventure di un amichevole Ant-Man di quartiere, che procedevano sui toni della commedia d'azione e avevano fatto sì che Ant-Man avesse una sua immagine distintiva all'interno del calderone supereroistico Marvel - uno dei pochi ad averla mantenuta, dopo un inizio in cui lo studio capitanato da Kevin Feige aveva invece spinto molto in questa direzione - e che questa immagine spiccasse anche nei film corali come gli ultimi due Avengers, e nell'ultimo in particolare.

Peyton Reed prova a mantenere il focus famigliare anche in questo film, mettendo al centro il passato sconosciuto di Janet van Dyne nel Regno Quantico e, soprattutto, il rapporto tra Scott e la figlia Kathryn, ormai adolescente. L'impresa, tuttavia, è improba e, nonostante il cuore emotivo del film riesca comunque a funzionare, nel complesso fallisce. La mancanza della consueta ambientazione urbana a favore del fantastico Regno Quantico alza in automatico le aspettative e la posta in gioco, oltre a spazzar via quella dimensione quotidiana che era invece il cuore dei film precedenti. 

Ciò che fagocita l'anima del film, tuttavia, è la scelta di introdurre il Thanos della Fase Cinque, ovvero Kang il Conquistatore: impossibile raccontare una storia intima quando il tuo nemico è uno dei villains più potenti dell'Universo Marvel e la nemesi attorno a cui ruoteranno tutti i prossimi film. La posta in gioco, giocoforza, si alza, lo scontro assume dimensioni apocalittiche, e il piccolo Ant-Man finisce per affogare in un oceano di computer grafica in cui sembra costantemente fuori posto, sballottato da una parte all'altra in un territorio troppo diverso da quello cui ci aveva abituato.

La scelta è doppiamente fallimentare perché finisce per sminuire lo stesso Kang, che risulta molto meno minaccioso di quel che dovrebbe: la sua forza è nelle parole più che nelle azioni, e parte della scarsa credibilità sta proprio nel fatto che il suo avversario non è esattamente l'eroe più potente che ci sia. Senza fare spoiler, se proprio serviva un'avventura nel Regno Quantico, il personaggio di Bill Murray sarebbe stato un antagonista molto più adatto.

Il film dimostra grande creatività visiva nella creazione degli alieni e degli ambienti, superando quella del tanto decantato Avatar 2. Tuttavia, quello che vediamo ricorda più una serie di pianeti alieni (palesi alcune citazioni/omaggi a Star Wars) che un regno subatomico, e rende ancora più grande la perplessità nell'aver scelto di ambientare qui la nuova avventura di Ant-Man e di situare proprio qui il regno di Kang il Conquistatore: se si voleva un'ambientazione spaziale, forse i Guardiani della Galassia potevano essere una scelta più consona come primi avversari del nuovo supervillain.

Se, come dicevamo, il cuore emotivo del film si salva lo si deve soprattutto agli attori, con in testa il sempre ottimo Paul Rudd e Michelle Pfeiffer, protagonista inattesa (la Wasp del titolo de facto è lei, con Evangeline Lily che fa esclamare "Ah, ma c'era anche lei?" ogni volta che ricompare dopo minuti e minuti di tappezzeria) ma efficace. Jonathan Majors sembra recitare in un film a parte, ed è un peccato: il suo Kang è shakespeariano, magnetico, soave nella voce e tonitruante nei modi, anche grazie a una fisicità poderosa evidente nelle scene di combattimento. Cosa c'entri in un film di Ant-Man andrebbe chiesto a Feige & co.

Ant-Man and the Wasp - Quantumania intrattiene per tutta la sua durata, ma lascia fortemente perplessi per la distonia tra il protagonista e la sua storia da una parte e minaccia e ambientazione dall'altra. Il risultato è un film insoddisfacente, che non arriva al cuore e spreca tante belle idee che avrebbero meritato miglior fortuna. La notizia è che, se tanti indizi fanno una prova, il MCU sembra aver perso la bussola, con i vari pezzi che non si incastrano più in modo armonioso come durante le prime tre fasi: per tornare al proverbio citato in apertura, la sensazione è che il Multiverso si stia rivelando un oceano troppo grande anche per un pesce abituato al mare aperto come la creatura di Kevin Feige.

** 1/2

Pier