venerdì 22 novembre 2013

Thor - The Dark World

Epica ironia



Tanto tempo fa, quando Odino era ancora solo principe di Asgaard, gli Elfi Oscuri, più antichi dell'universo stesso, minacciarono di condannare i Nove Regni a una tenebra sempiterna attraverso un'arma conosciuta come Aether. A guidarli c'è Malekith, che viene  però sconfitto da Bor, padre di Odino, che lo crede morto.
Malekith riesce invece a fuggire e, quando l'Aether torna a rivelare la sua presenza, attacca con violenza i Nove Regni. Toccherà a Thor, diviso tra Asgaard e la Terra, cercare di fermarlo.

Laddove il primo capitolo di Thor, a dispetto della presenza di Kenneth Branagh alla regia e di alcuni momenti visivamente notevoli, soffriva di alcuni imperdonabili balbettamenti a livello di sceneggiatura, il secondo si distingue per la notevole abilità con cui riesce a rendere scorrevole e piacevole una trama di per sè un po' farraginosa. Attingendo a piene mani dalla nuova "linea editoriale" imposta da Joss Whedon con The Avengers, Thor - The Dark World mescola con successo epica ed ironia, creando un film di intrattenimento che, se può far storcere il naso ad alcuni, diverte e intrattiene il pubblico, secondo la cifra stilistica che ormai contraddistingue i prodotti targati Marvel. Il regista Alan Taylor non scade negli effetti infantilistici che avevano penalizzato Iron Man 3 e realizza un film che ha il grande merito di rendere credibile una storia poco entusiasmante, e di rendere interessanti e appassionanti personaggi e situazioni che, in altri contesti, sembrerebbero artificiosi e distanti.

Thor è infatti il supereroe con cui è più difficile relazionarsi, a causa della sua natura divina e del suo muoversi in pianeti diversi dal nostro. Taylor riesce a superare questa difficoltà concentrandosi sulle relazioni personali, sul sistema di affetti che muove il mondo di Thor sia su Asgaard che sulla Terra. Il film alterna così in modo sapiente momenti drammatici e comici, quasi sempre esaltati dalla splendida prova di Tom Hiddleston, perfetto nel ruolo di Loki per la sua straordinaria abilità nel trasmettere tutte le emozioni primarie dell'animo umano.

Al ritmo della sceneggiatura si affianca una fotografia di livello molto elevato per il tipo di prodotto, con alcune scene (funerale norreno su tutte) visivamente eccellenti e pervase di una certa vena di lirismo. Detto di Hiddleston, gli altri attori svolgono il proprio dovere con diligenza, senza brillare ma senza raggiungere risultati osceni come in altri film dedicati ai supereroi.

Thor - The Dark World ha il grande merito di non prendersi troppo sul serio, arricchendo di ironia una trama non eccezionale e garantendo così ritmo e intensità al film, senza rinunciare alla sua cifra epica e mitica.
Il film risulta così uno dei più riusciti della Marvel e, forse, il migliore tra quelli che non schierano i personaggi di punta della casa editrice statunitense.

***1/2

Pier

martedì 19 novembre 2013

Roger Corman - I dimenticati: puntata 11


Il dimenticato di oggi è Roger Corman, regista statunitense, nato a Detroit il 5 aprile 1926.


Regista e produttore straordinariamente prolifico (più di 400 film al suo attivo come produttore e quasi 60 da regista), può essere considerato, insieme a John Cassavetes, tra i primi cineasti indipendenti americani a lavorare interamente secondo le proprie condizioni. All'AIP (American International Pictures) Corman lavora in estrema povertà di mezzi e capitali ma in totale autonomia. La sua firma è precisa e riconoscibile, grazie all'uso aggressivo del dolly, l’innovativo utilizzo del CinemaScope, con la macchina da presa sempre in movimento, alle luci d'atmosfera e una visione cruda e senza compromessi, che non risparmia sequenze brutali e dirette.
Corman dimostra che si può imparare a realizzare un film attraverso "on the job", con un lavoro a ritmi serrati, dimostrando così che la velocità fa trasparire la "veridicità" della produzione e influenzando un'intera generazione di registi, come Martin Scorsese e Monte Hellman.

Corman coglie chiaramente lo sconvolgimento emotivo e sociale presente nell'America dei '50, quando gli adolescenti diventano il target di riferimento per il cinema. Realizza così film come Teenage doll (1957) e Machine Gun Kelly (1958), stabilendo il suo marchio di fabbrica: impegno totale verso la storia, i personaggi e il loro mondo, senza alcuna distanza emotiva tra essi e il pubblico. La visione di Corman di quel periodo diviene così un luogo di continua contestazione e cambiamento, in cui i protagonisti sono loner e outsider, prigionieri di in un mondo in cui solo i più forti sopravvivono. Nei suoi primi lungometraggi Corman rinnova vari generi ormai logori inserendo tematiche femministe, come in Gunslinger (1956), The saga of the Viking women and their voyage to the waters of the Great Sea Serpent (1957) e Sorority Girl (1957).



Nonostante la trasgressività delle sue opere, la vita del regista inizia in maniera piuttosto ordinaria.
Il giovane Roger si interessa di letteratura inglese e ingegneria, ma con il trasloco a Beverly Hills per lui si dischiudono le porte del cinema.
Dopo la laurea, ottiene un impiego da "galoppino" alla 20th Century Fox, diventando poi lettore di sceneggiature. Dopo un viaggio in Inghilterra, ritorna a Los Angeles con uno script low-budget, che cede alla Allied Artists, ottenendo però di essere inserito come produttore associato del progetto,  dal titolo Highway Dragnet (1954).
Deluso dal film e sicuro che avrebbe fatto un lavoro migliore come produttore indipendente, Corman investe tutti i suoi averi (12.000 dollari) nella produzione di The monster from the Ocean Floor (1954).

Dopo aver venduto il film alla Lippert Releasing a titolo definitivo per 100.000 dollari, Corman sceneggia e produce The Fast and the Furious (1954). Girato in dieci giorni, il film rappresenta un grande passo per Corman, che incontra Jim Nicholson e Samuel Z. Arkoff, formando con loro la American Releasing Corporation, di cui diventa il regista "di casa". Vengono così sfornati titoli ad un ritmo incredibile e a budget ridottissimo, cominciando dal western - realizzato in 10 giorni - Five Guns West (1955), seguito da Swamp Women (1955), Apache Woman (1955) e The Oklahoma Woman (1956).

Nel 1956 Corman vira verso la sci-fi, l'horror e i film di exploitation adolescenziali, dirigendo It conquered the world e The day the world ended (entrambi 1956), Not of this Earth, Attack of the Crab Monsters', Teenage doll, The Undead, Sorority Girl, Rock All Night, Naked paradise e Carnival rock (tutti del 1957). Questi film, girati con budget di circa $ 100.000, si rivelano enormi successi per la AIP. Grazie a manifesti sconci e campagne pubblicitarie aggressive, i film fanno subito presa sugli adolescenti, complice lo stile registico di Corman, che  regala la verve e il vigore che mancavano a molti altri film a basso budget.
Il successo delle pellicole spinge la AIP a produrne di nuove, realizzando film come War of the satellites, Teenage cave man, She god of Shark Reef, The saga of the Viking women and their voyage to the waters of the Great Sea Serpent, Machine Gun Kelly (con Charles Bronson) e I, Mobster, tutti del 1958.

 

Nel 1959  il regista di Detroit vira sulla commedia nera, realizzando il satirico A Bucket of Blood, seguito da La piccola bottega degli orrori (1960). Quest'ultimo viene girato in soli due giorni, riutilizzando alcuni vecchi set. Il film, che documenta le disavventure del dipendente del negozio di fiori Seymour Krelboin (Jonathan Haze) alle prese con la sua pianta carnivora, resta uno dei più originali e idiosincratici di Corman, da cui sono in seguito stati tratti un musical di Broadway ed un remake.



In questo periodo Corman produce anche il suo film più personale, The Intruder (1961), con un giovanissimo William Shatner nei panni di un razzista determinato a creare problemi in una piccola città del Sud. Girato in un granuloso bianco e nero con un budget di $ 90.000, usando attori locali e senza permessi, il film fu un disastro al botteghino, a dispetto delle eccellenti recensioni ricevute. Corman, che credeva fortemente nel messaggio del film - il razzismo come cancro per la società americana - comincia allora a concentrarsi su film di genere, in cui il messaggio di critica sociale non è palese, ma codificato e nascosto all'interno però di un quadro molto più commerciale.

I tempi stavano però nuovante cambiando, e i film a lavorazione corta e in bianco e nero eran sul punto di perdere il loro mercato. Nel 1960, Corman persuade così la AIP a fargli dirigere una pellicola di "serie A" con un budget più alto, La caduta della casa degli Usher, tratto dal racconto di Edgar Allan Poe. Girato in CinemaScope e con protagonista Vincent Price, il film ottiene enorme successo commerciale e porta Corman a realizzare un filotto di pellicole tratte da opere di Poe: Il pozzo e il pendolo (1961), I racconti del terrore (1962), The Premature Burial (1962), The Raven (1963), La città dei mostri (1963), La maschera della Morte Rossa (1964) e La tomba di Ligeia (1965). Per The Terror (1963) vengono riutilizzati i set di The Raven, con Boris Karloff , Dick Miller e Jack Nicholson a completare il grosso del film in un'altra sessione di due giorni.
Tutti questi film, a colori, risultano estremamente eleganti nella scenografia (di Daniel Haller), nella fotografia (di Floyd Crosby), nonchè nell'uso fluido dei movimenti della macchina da presa, che accentua il clima di terrore crescente.



Nel 1966 Corman realizza The Wild Angels,  scandalizzando il pubblico con la sua raffigurazione in stile documentaristico della banda di motocilicsti Hell's Angels. Nello stesso periodo comincia a scontrarsi con Nicholson e Arkoff per questioni artistiche. Si avvicina quindi alla 20th Century Fox per dirigere uno dei film di gangster più efficaci degli anni '60, The St. Valentine Day Massacre (1967). Il lavoro per un grande Studio frustra però profondamente il regista, a causa dello scarso controllo sul processo di produzione e della sensazione di spreco di tempo e denaro.

Corman sente che ormai è giunto il momento di prendersi una pausa dalla regia e di concentrarsi sulla produzione. Nel 1971 forma la New World Pictures, distribuendo due grossi successi, Angels Die Hard (1970) e Student nurses (1970), commedia soft-core di sexploitation, di cui è anche produttore. Negli anni successivi, Corman comincia un'aggressiva politica di offerta dei suoi titoli anche nei drive-in e produce un flusso di film exploitation a basso budget realizzati da registi destinati a diventare celebri, tra cui Boxcar Bertha di Martin Scorsese (1972), Femmine in gabbia di Jonathan Demme (1974) e Grand Theft Auto di Ron Howard (1977). Contemporaneamente (e paradossalmente) la NWP diventa il distributore USA di Sussurri e grida di Bergman(1972) e di Amarcord di Fellini (1974).




Col crollo del mercato dei drive-in e l'ascesa di TV via cavo, VHS e, più tardi, DVD Corman capisce presto che i suoi giorni come produttore e distributore cinematografico stanno finendo. Di conseguenza, vende la NWP e fonda la Concorde-New Horizons, società rivolta spiccatamente all'home-video e al mercato direct-to-cable, con cui realizza film caratterizzati dalla massiccia presenza di violenza e sesso. All'inizio del 2000, Corman sposta le sue attività produttive in Irlanda, dove continua a produrre a ritmo serrato (oltre 30 tra film e TF ad oggi).

Roger Corman è stato determinante nel lanciare le carriere di molti giovani talenti del settore. Tuttavia, la sua vera eredità sono i suoi film. Omaggiato con numerose retrospettive in tutto il mondo, il regista è diventato un'autorità a Hollywood, nonostante non giri un film da Frankenstein Unbound del 1990. Corman è stato il "cane sciolto" che ha dato il via al cinema di ribellione negli Stati Uniti, rivoluzionando tecniche di regia e produzione, e segnando così in modo indelebile la storia del cinema.

Alessandro G.

domenica 3 novembre 2013

Miss Violence

La violenza dietro la normalità



Angeliki è il padre di una famiglia numerosa e apparentemente felice. La tranquillità familiare viene sconvolta quando, il giorno del suo undicesimo compleanno, la figlia minore si suicida gettandosi dal balcone. L'incidente finirà per portare alla luce alcuni segreti inconfessabili, nascosti sotto una patina di normalità e rispettabilità.

Film rivelazione dell'ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato premiato con il Leone d'Argento per la miglior regia, Miss Violence è un film crudo e senza fronzoli, che fin dal primo minuto colpisce lo spettatore come un pugno alla bocca dello stomaco, senza mai lasciarlo andare fino al finale, terribile e privo di speranza. Avranas mostra di aver appreso appieno la lezione di Haneke, e realizza un film perfetto nel suo essere asettico, violento, senza il minimo barlume di luce. La violenza è quasi sempre lasciata fuori scena, ma permea ugualmente la narrazione in ogni momento, in ogni inquadratura.

La macchina da presa sembra scrutare dentro l'animo martoriato dei protagonisti, trascinando lo spettatore nel loro mondo e costringendolo a vedere con i loro occhi. Lo sguardo in macchina della figlia prima del suicidio include fin dall'inizio il pubblico nella storia, rendendolo osservatori degli orrori nascosti nelle mura domestiche. La casa, da luogo di festa, si trasforma in uno spazio claustrofobico, dove la tensione è palpabile e crescente man mano che la verità si disvela agli occhi dello spettatore.

La regia è costruita con lo scopo di generare angoscia e disgusto, non solo attraverso la trama, ma anche attraverso un uso sapiente del linguaggio cinematografico. Il piano sequenza con cui Angeliki presenta la casa agli assistenti sociali è semplicemente perfetto, e la composizione del quadro enfatizza il ruolo di padre-padrone del protagonista, nonchè l'isolamento di questo o quel membro della famiglia quando devia dal copione preassegnato.
Regia e sceneggiatura sono adeguatamente supportati da un cast eccezionale, capitanato dal padre, Themis Panou, meritata Coppa Volpi a Venezia, e dalla giovane Eleni Rossinou, perfetta nella sua sofferta e disillusa normalità.

Miss Violence è un film forte e duro, in cui il male non è solo accessorio, ma è l'oggetto principale della narrazione. La famiglia di Angeliki iventa metafora della situazione della Grecia dove, sotto le ceneri della miseria e della povertà, cova nascosto il fuoco della violenza, un fuoco destinato a divampare, lentamente, sotto gli occhi increduli, disgustati e basiti dello spettatore.

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Pier