giovedì 31 agosto 2023

Telegrammi da Venezia 2023 - #1

Come ogni anno, Film Ora è a Venezia, e vi accompagnerà per tutta la Mostra del Cinema con i suoi telegrammi, recensioni brevi dei film visti nelle varie sezioni. Una Mostra con tantissimi titoli interessanti, che promette belle sorprese e anche qualche inevitabile delusione.


Ecco i film visti nel primo giorno e mezzo di Mostra:

Comandante (Concorso), voto 5.5. La storia vera di Salvatore Todaro, raccontata con un comparto visivo e attoriale di buon livello ma con una sceneggiatura da film TV Rai, troppo retorica e didascalica nonostante qualche guizzo ben riuscito. Belle le scene nel sommergibile, ma non basta a salvare il film.

Gli Oceani Sono i Veri Continenti (Giornate degli Autori), voto 8.5. Un film italiano fresco e poetico, esordio al lungometraggio di Tommaso Santambrogio, che racconta la vita a Cuba e l'eterno struggersi tra il desiderio di partire e quello di non perdere le proprie radici. Un film che parla di nostalgia, di abbandono, di un sogno cubano che non c'è più, delle sirene di un sogno americano che attrae e respinge, ma soprattutto parla di amore: amore fraterno, amori in crescendo, amori perduti, amore per un'isola decadente ma irrimediabilmente romantica, tutto fotografato in un bianco e nero struggente, pittorico. 

El Conde (Concorso), voto 8. Larrain racconta Pinochet attraverso un film ibrido, cangiante e multiforme, che mischia ingredienti apparentemente incompatibili come Nosferatu (e più in generale l'espressionismo tedesco, fin dalla scelta del bianco e nero), Wes Anderson, What We Do in the Shadows e la satira politica alla Armando Iannucci: un film che parla di fascismi e di ritorno degli stessi, con un Pinochet vampiro raccontato da una voce narrante la rivelazione della cui identità non mancherà di divertire lo spettatore. Il film si sfilaccia un po' troppo nel finale, ma regala grandissimi momenti di satira e visivi.

A Cielo Abierto (Orizzonti), voto 6. I figli di Guillermo Arriaga portano sul grande schermo una vecchia sceneggiatura del padre, interessante mix tra road e revenge movie, in cui tre ragazzi viaggiano per il Messico per vendicare un vecchio torto, finendo per scoprire se stessi. Nulla di eccessivamente originale, ma la trama funziona, i tre protagonisti sono bravissimi ed empatici, e la visione intrattiene. 

Dogman (Concorso), voto 7. Un ragazzo cresciuto in una gabbia per cani per scelta del padre violento ritrova se stesso grazie al rapporto con gli animali, scoprendo un'anima da performer e da paladino dei deboli. Partendo da una storia di cronaca, Luc Besson immagina la nascita di un individuo straordinario ma solitario (che ricorda a tratti il suo Lèon), segnato dalla vita ma deciso a viverla secondo i suoi termini. Quella che in superfice sembra un thriller che racconta la origin story di un villain di Batman diventa quindi una riflessione sulla diversità e la solitudine, sull'elaborazione del trauma, sul sadismo e sulla sofferenza subiti che, per una volta, non chiama altra sofferenza e altro sadismo, ma un tentativo di redenzione che passa dalla comunione con la natura e con gli animali. Non si raggiungono le vette di Joker, ma il film funziona e intrattiene. Ottima prova di Caleb Landry Jones nel ruolo del protagonista.

Ferrari (Concorso), voto 7.5. Un film che racconta il Ferrari pubblico e quello privato in un momento chiave della sua vita, e il rapporto ineludibile tra le due sfere. Ferrari è un film di emozioni e ambizioni, sia realizzate che frustrate; è uno spaccato biografico di un uomo di contraddizioni, che sognava la normalità ma al tempo stesso desiderava l'immortalità, il brivido, il superare i propri limiti. Qui la recensione completa scritta per Nonsolocinema.

Pier

domenica 27 agosto 2023

Oppenheimer

Il dramma di Prometeo


Il film racconta la vita di Robert J. Oppenheimer, dagli inizi nella fisica al progetto Los Alamos, in cui guidò il team che creò la prima bomba atomica, passando per gli anni successivi alla fine della guerra, quando si batté per la non-proliferazione.

Sulla carta, Oppenheimer potrebbe apparire un film poco nolaniano: si tratta, in primo luogo, di un film biografico, senza quell'elemento "di genere" che rimaneva comunque presente nell'altro film più "classico" di Nolan, Dunkirk. Ci sono molteplici piani narrativi, certo, ma sono molto semplici da decodificare, semplici "avanti e indietro" temporali che non disorientano nemmeno per un attimo, ben lontani dagli intricati e molteplici piani di trama di Inception e Tenet, ma anche dai semplici cambi di prospettiva di The Prestige. 

Eppure Oppenheimer è forse la summa del cinema nolaniano, l'apice (per ora) della sua analisi della finitezza dell'uomo, declinata in un'ossessione per il tempo (cronologico, ma soprattutto cinematografico) e nella sua attrazione per il sublime, per ciò che terrorizza e al tempo stesso attira, per quelle oscure pulsioni che ci portano a spingere sempre più in là i limiti di ciò che è umanamente possibile. Il tempo è materia plasmabile nelle mani di Nolan, che lo manipola a suo piacimento: anni di vita diventano pochi minuti di montaggio, mentre un'audizione al Congresso viene riportata praticamente in tempo reale. Non è un caso che Nolan dilati i momenti che si focalizzano sul percorso alla ricerca del Vero, uno dei grandi obiettivi della scienza, destinato però a eludere tutti, anche le menti più geniali, come ben illustrato dalla figura di Einstein e del misterioso dialogo tra lui e il protagonista che verrà rivelato solo a fine film: anche i geni, in fondo, vengono superati, sorpassati da una realtà che si rivela sempre più complessa di quel che vorremmo, sempre un passo avanti rispetto ai nostri tentativi di scoperta.

Oppenheimer è un moderno Prometeo, che nel fornire agli uomini il controllo su un'energia primordiale (l'atomo come il fuoco) dà anche loro la chiave per distruggersi. L'uomo vuole decifrare la natura, capirla, imbrigliarla, piegarla ai suoi voleri. Ma questo anelito ha un costo terribile, che spesso sfugge alla comprensione di chi lo persegue, fino a quando la realtà non gli sbatte in faccia la verità - la scena in cui Oppenheimer capisce che l'atomica non porterà alla "fine di tutte le guerre" ricorda da vicino il memorabile dialogo tra Michael Caine e Hugh Jackman in The Prestige, un altro momento in cui il lato oscuro della scienza veniva rivelato in tutto il suo dirompente orrore.

Oppenheimer è un uomo in perenne tensione, in balia di forze uguali e opposte che lo tirano in direzione diverse: scienza e politica, scoperta ed etica, lavoro e famiglia, passione e amore. Tutto, intorno a lui, è funzionale (il che ha portato a comprensibili polemiche circa la scarsa profondità di scrittura di alcuni personaggi, quello di Florence Pugh su tutti) al raggiungimento di un obiettivo che però è sempre cangiante, mutevole, il che fa sì che anche ciò che vuole Oppenheimer sia sempre indefinito, sfuggente, impossibile da comprendere per gli altri e, forse, anche per lui stesso. Nolan esalta la figura del genio solitario ma, al tempo stesso, la demitizza, la priva di ogni sovrastruttura, rendendola carne e calandola in un contesto collettivo, in cui il merito è condiviso ma la responsabilità ricade sulle spalle solo di alcuni. Più che un dramma di genialità, quello di Oppenheimer è un dramma del potere, che porta il protagonista sulla polvere e sull'altare nonostante le sue azioni non siano che il prodotto di un lavoro di gruppo, nel bene e nel male. 


La demitizzazione colpisce anche il progresso scientifico: ciò che eleva Oppenheimer non è solo la sua ricerca della verità e la sua passione per la scoperta, ma è il dubbio, un dubbio generativo che fa sì che, anziché preoccuparsi di difendere la sua eredità, si scagli senza patemi contro il figlio che ha contribuito a partorire una volta che ha compreso il vaso di Pandora che ha scoperchiato. Oppenheimer non è, infatti, solo Prometeo, ma anche Epimeteo, colui che porta il Male (per riprendere una geniale intuizione di David Lynch nell'ultima stagione di Twin Peaks) nel mondo ma, a differenza del suo grande rivale (non diremo chi per evitare spoiler) ha la capacità di riconoscerlo, di mettere la verità davanti al suo orgoglio scientifico, alla sua reputazione, al desiderio di gloria e onori.

Nolan firma una sceneggiatura ad orologeria di cui il montaggio è parte integrante, con dialoghi ad orologeria che si alternano in un crescendo di ritmo che non lascia un attimo di respiro, soprattutto nella prima parte. La fotografia indugia su primi piani di Oppenheimer, come a voler scavare in un animo che invece vuole solo nascondersi dal mondo, esibendo una facciata di volta in volta diversa, ma scarta spesso anche su immagini degli elementi, delle esplosioni, una rappresentazione visiva del sublime che riflette l'orrore e l'attrazione che attanagliano l'anima del protagonista. Il lavoro più clamoroso, però, è quello sul sonoro, elemento che Nolan cura come forse nessun regista in attività: Nolan sceglie il silenzio laddove ci si aspetterebbe rumore, e rumori assordanti laddove ci si aspetterebbe silenzio, creando una continua contraddizione che segue le tribolazioni di Oppenheimer e che si sposa perfettamente alla splendida colonna sonora di Ludwig Göransson.

Tutto il grande lavoro del regista sarebbe sprecato, però, se non fosse sostenuto da un cast di prima grandezza. Cillian Murphy si rivela finalmente al grande pubblico come uno dei più grandi attori in circolazione. La sua prova è un manuale di espressioni trattenute eppure rivelate, il suo sguardo di ghiaccio e il suo viso scavato che rivelano il rovello interiore dell'enigmatica sfinge che interpreta. Intorno a lui brillano un po' tutti, da un Josh Hartnett quasi irriconoscibile a un Kenneth Branagh perfetto nella parte di Bohr, passando per Matt Damon e per chi ha ruoli minoti ma comunque fondamentali, come Rami Malek e Gary Oldman. Robert Downey Jr conferma di essere un attore eccezionale, interpretando alla perfezione un personaggio complesso e centrale come Lewis Strauss. Una nota di merito va però alle due interpreti femminili, Florence Pugh ed Emily Blunt, che riescono a dare spessore e profondità a due personaggi che, come spesso capita a Nolan, sembrano scritti in maniera monodimensionale. Il cambio di intenzioni di Blunt durante la sua testimonianza alla commissione per l'energia atomica, in particolare, è un pezzo di bravura.

Nolan realizza un film complesso, ambizioso, stratificato, che riesce però a intrattenere nonostante una durata mastodontica e un tema non certo leggero. Oppenheimer è grande Cinema: è il lavoro di un grande regista in pieno controllo dei propri mezzi, capace di dosare sapientemente riflessione filosofica e spettacolo, introspezione e ritmo narrativo, realizzando un film che entra nella testa, nel cuore e nelle ossa, e ci pone di fronte a interrogativi vecchi come il mondo, ma che oggi più che mai ci sembrano lontanissimi dall'essere risolti. 

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Pier