Un uomo che ama trascorrere gli inverni a Riccione è un uomo che si nasconde, dunque destinato all'oblio. Valerio Zurlini si rifugiava in quel luogo sapendo di ritrovarvi sé stesso e al tempo stesso di nascondersi agli altri. In quei viali e su quelle spiagge erano custodite l'ingenuità della sua infanzia e gli interrogativi senza risposte della sua adolescenza: per questo la riviera sarebbe diventata lo scenario dei suoi film più personali e sentiti - "Estate violenta", "La ragazza con la valigia", "La prima notte di quiete" - che furono anche i migliori. Vi passò tutte le estati da ragazzo, trasferendosi dalla Bologna dov'era nato nel 1926, fino all'ultima spensierata vacanza del 1943. Di ritorno decise di arruolarsi nel Corpo Italiano di Liberazione, nelle cui fila combatté per due anni. Trascorse la sera prima di partire in un'abitazione molto elegante, che già ospitava i suoi futuri compagni di resistenza. Al mattino dopo venne a salutarli il padrone di casa; non disse il suo nome ma Zurlini colse la forte personalità di quell'uomo che, anni dopo, scoprì essere Luchino Visconti.
A guerra finita Zurlini tornò a Roma, uomo fatto ma bisognoso di recuperare gli studi e gli amici. Una cosa gli portò l'altra, perché in un tardo pomeriggio in cui vagava per i corridoi dell'Università si imbatté in un gruppo di ragazzi che in un'aula stava provando "La Celestina" di Fernando de Rojas, un testo spagnolo del XVI secolo. Rimase incantato dalla loro passione, che glieli fece apparire tutti bravissimi, forse più di quel che erano. Si avvicinò a uno di essi, che sedeva in disparte perché in quel momento non era di scena, e gli chiese come si poteva entrare a far parte del gruppo. Era Marcello Mastroianni, che gli spiegò che per fare l'attore bastava superare un provino; se invece voleva dedicarsi alla regia avrebbe dovuto sostenere un esame piuttosto severo davanti a una commissione. Iniziò come attore, ma già l'anno successivo assunse la direzione del gruppo, il cui nome era Centro Universitario Teatrale. Si trattava della seconda scuola della capitale in ordine d'importanza dopo l'Accademia Silvio d'Amico, i cui attori passavano spesso ad osservare gli allestimenti dei giovani colleghi invidiandone la maggior libertà, che essi sfruttavano portando in scena testi che le compagnie stabili evitavano perché troppo ostiche per il pubblico.
In quel periodo Zurlini divenne amico di Mario Landi, in seguito affermatosi come regista teatrale e televisivo. Quando questi fu chiamato dal Piccolo Teatro di Milano per curare la regia de "Il soldato Tanaka" di Georg Kaiser, chiese a Zurlini di fargli da assistente. Egli accettò con piacere e si trasferì a Milano. La paga era di duemila lire al giorno, quando un pasto in trattoria gliene costava già seicento. Per arrotondare i guadagni scriveva allora i testi per un'agenzia di pubblicità, la Filmolimpia, dove lavorava anche Landi. A Milano Zurlini faticava ad ambientarsi, perché finita la giornata di lavoro non aveva nessuno da frequentare. A poco a poco, tuttavia, si ambientò, riuscendo anche ad introdursi nell'ambiente dei pittori, appassionandosi così anche all'arte moderna, perché di quella antica già lo era.
Nel frattempo le cose migliorarono anche sotto il profilo professionale: la Filmolimpia ricevette l'incarico di realizzare un cortometraggio promozionale per una ditta di Bologna e per Zurlini fu l'occasione per muovere i primi passi nell'ambiente cinematografico. Mentre si trovavano a Bologna, il titolare di un emporio locale commissionò alla troupe un secondo cortometraggio sulla sua ditta. Questa volta il giovane Zurlini ebbe anche l'incarico di girare in prima persona le riprese, dato che il titolare Mario Landi era impegnato altrove con una regia teatrale. Zurlini se la cavò egregiamente, riversando in questo pur piccolo lavoro quanto appreso come spettatore, in fatto di tecnica cinematografica, e come aiuto regista teatrale, in fatto di direzione degli attori. Questo episodio gli fece aprire gli occhi sulla sua vocazione e così, tra il 1949 e il 1952, si dedicò alla realizzazione di una quindicina di documentari. Impossibile vederli: sono andati perduti, oppure si trovano sommersi nell'archivio di qualche casa di produzione. Restano soltanto i titoli, oltre a qualche breve cenno dell'autore stesso: "Sorrida, prego", su un fotografo di Bologna; "Soldati in città", cronaca di una libera uscita; "Il mercato delle facce" su generici e comparse, girato nel loro sindacato, dove comparivano in veste di attori Franciolini, Rosi e Zeffirelli; "Serenata da un soldo", sui ragazzi che guadagnavano poche lire suonando i piani di Barberia; "Ventotto tonnellate", in viaggio per l'Italia a documentare la vita dei camionisti.
Altri due documentari meritano qualche parola in più. Il primo s'intitola "La stazione" e costituisce il primo esempio di cinema-verità: girato in un mese, in presa diretta e senza copione, nella sala d'aspetto di terza classe nella stazione Termini, registrando le parlate dialettali dei meridionali in attesa del treno che li portasse al nord in cerca di lavoro. Il secondo s'intitola "Pugilatori" e racconta le sfide tra dilettanti che combattono per arrotondare un magro salario, cercando di guadagnare in una sera, in caso di vittoria, l'equivalente di un mese di paga. Per realizzare questo progetto Zurlini ottenne un finanziamento grazie all'avallo di Luchino Visconti, ma dato che la somma non bastò fu costretto a vendere alcuni libri e oggetti di famiglia. Una volta terminato lo mostrò a Pietro Germi, il quale lo segnalò alla Lux per la distribuzione. Fu una svolta per Zurlini perché il patron della società, l'avvocato Gualino, ebbe modo di vedere e apprezzare anche gli altri suoi documentari e così nel 1952 gli propose di realizzare il suo primo lungometraggio.
La gestazione del progetto non fu semplice: Zurlini propose diversi soggetti, inediti o d'ispirazioni letterarie e storiche, che per una ragione o per l'altra vennero tutti respinti. La Lux ribattè offrendogli la riduzione cinematografica di un romanzo appena uscito di Pratolini, "Le ragazze di San Frediano". A Zurlini sarebbe piaciuto molto trarre un film da un altro libro dello stesso autore, "Cronaca familiare", ma al momento questi si oppose, considerandolo un diario privato, per poi lasciarsi convincere soltanto nel 1962. Invece "Le ragazze di San Frediano" a Zurlini non piaceva: la considerava un'opera minore, piena di toscanismi che non sentiva familiari e con un protagonista che trovava odioso. Ma l'occasione di un debutto alla regia era troppo grossa per rifiutare, così insieme a Suso Cecchi d'Amico e allo stesso Pratolini scrissero la sceneggiatura. Alla Lux però non piacque, la fece rifare da altri due sceneggiatori e venne ancora peggio. Alla fine Zurlini si ricordò di un vecchio amico, un abile cantastorie di nome Leo Benvenuti, che aveva appena iniziato un sodalizio professionale con Piero De Bernardi e cercava un'occasione per affrancarsi dal cinema comico. Gliela offrì Zurlini, che venne ripagato con un testo riuscitissimo, pur se non aderente al libro, dal quale trasse un bel film con Antonio Cifariello nel ruolo del protagonista dongiovanni.
Finite le riprese iniziò a lavorare al soggetto di un nuovo film, "Guendalina", che però non potè girare in prima persona perché all'ultimo momento il produttore Carlo Ponti decise di affidarlo a Lattuada, dichiarando pubblicamente, forse solo per giustificare il voltafaccia, che Zurlini era inaffidabile e lavorarci insieme era difficile. Questa cattiva reputazione arenò la sua carriera di regista per cinque anni, che dedicò all'elaborazione di altri due film, "Estate violenta" (1959), con Jean Louis Trintignant ed Eleonora Rossi Drago, e quello che sarà il suo capolavoro, "La ragazza con la valigia" (1961), con Claudia Cardinale e Jacques Perrin. Per realizzarlo Zurlini dovette far ricorso a tutti i sentimenti: coraggio e sfrontatezza nell'imporre due protagonisti giovanissimi (ventitrè anni la Cardinale, venti Perrin), sensibilità nel racconto, realismo fin quasi al cinismo nell'epilogo. Un capolavoro sottovalutato, con l'indimenticabile scena della Cardinale che scende le scale in accappatoio bianco sulle note di Celeste Aida.
Terminato questo lavoro, Zurlini riuscì finalmente a convincere Pratolini a portare sullo schermo "Cronaca familiare" (1962), con Mastroianni e Jacques Perrin.
(continua)
Giovanni
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