giovedì 18 maggio 2023

The First Slam Dunk

La vita in una partita


Ryota Miyagi è in seconda liceo ed è il play dello Shohoku, una squadra di un liceo minore nella prefettura di Kanazawa. Insieme ai suoi compagni - Takenori Akagi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, e il "genio del basket", il quasi principiante Hanamichi Sakuragi - si trova ad affrontare la partita della vita contro il Sannoh, da anni campione nazionale del campionato liceale. La strada per arrivare fin qui non è stata facile per Miyagi, su cui grava un passato che fatica a dimenticare.

Temevo di avere difficoltà nello scrivere la recensione di The First Slam Dunk: chi scrive ha una conoscenza enciclopedica, frutto di numerose riletture e visione, sia del manga che dell'anime di cui questo film è, de facto, la conclusione. Un film, tuttavia, deve funzionare come opera a se stante, non dando per scontata la conoscenza pregressa dell'opera di partenza; ed è comunque inevitabile che il fan della prima ora e lo spettatore occasionale abbiano un'esperienza differente.

Ebbene, posso dire che queste difficoltà esistevano solo nella mia testa. The First Slam Dunk è un film con la "F" maiuscola, un'esperienza di rara potenza visiva che, nel raccontare una partita, finisce per raccontare la vita, tra ostacoli, cadute, e tentativi di rialzarsi. Racconta il tentativo di riscatto di un liceo di periferia che si trova ad affrontare la più grande squadra liceale del Giappone, e quella dei suoi ragazzi - talenti con un carattere impossibile, teppisti, stelle cadute, promesse mai realizzate, e chi più ne ha più ne metta. E su questo archetipo narrativo, su questo ennesimo racconto di Davide contro Golia, Inoue (qui anche alla regia) costruisce un mondo vivo e intimenticabile, in grado di conquistare i nuovi spettatori e di emozionare chi già conosce il materiale di partenza, offrendo nuovi angoli e dettagli per guardare a personaggi che si credeva di conoscere. 

La scelta di raccontare la partita con il Sannoh con gli occhi di Miyagi, il membro del quintetto-base dello Shohoku rimasto forse più in ombra nel manga/anime, è vincente, perché offre una prospettiva diversa che elimina le barriere d'ingresso per i non-fan e riesce a stupire e prendere in contropiede anche i fan più accaniti. Il suo percorso rispecchia quello della squadra, tra difficoltà e insicurezze affrontate grazie all'amore per il basket, che unisce cinque persone diverse come i membri del quintetto dello Shohoku. Attraverso gli occhi di Miyagi scopriamo la creazione di un gruppo diverso eppure unito dalle difficoltà, dalla voglia di lottare contro il destino avverso e contro se stessi per diventare persone e una squadra migliori.

L'animazione, un mix sperimentale di computer grafica e disegno a mano che combina la texture di matita e acquerello, è un trionfo rivoluzionario degno di Spider-Man: Un nuovo universo. Le scene di gioco scorrono fluide e vitali, con una precisione dei movimenti che regala al film un realismo fino a ieri insperabile: dal punto di vista tecnico, ci sarà un "prima" e un "dopo" questo film. I tiri di Mitsui, in particolare, rasentano la perfezione, con il polso che si spezza con la naturalezza che è propria dei grandi campioni. Anche il comparto sonoro è di altissimo livello, sia nell'uso della musica, sia nel riprodurre suoni, rumori e sensazioni di una palestra, soprattutto nelle sequenze capolavoro dei minuti finali. 

L'unico difetto risiede nel doppiaggio - non tanto nelle voci (mancano le voci storiche, ma i sostituti si comportano egregiamente) - quanto proprio nell'adattamento, con numerose battute (compresa una che chi ama il manga attendeva con ansia) che vengono pronunciate dal personaggio senza che a questo corrispondano delle parole: vediamo le labbra muoversi, ma il suono rimane appannaggio della versione giapponese. Un difetto evitabile, che speriamo si possa correggere in edizione home-video.

The First Slam Dunk tocca le corde emotive dello spettatore con immensa sapienza, suscitando commozione e brividi lungo la schiena sia nei momenti più personali, sia durante le azioni di gioco, soprattutto durante i concitatissimi minuti finali, un ottovolante di sensazioni ed emozioni che solo i più grandi film (sportivi e non) sanno regalare.

**** 1/2

Pier

mercoledì 3 maggio 2023

Il Sol dell'Avvenire

Quando la storia riscrive la Storia


Giovanni, affermato regista italiano, sta lavorando al suo ultimo film, ma lo fa di malavoglia. Ha infatti smesso di avere interesse per il futuro, e si vergogna del suo passato e di quello del partito con cui si è sempre identificato. Il presente, poi, è un enigma per lui insolubile: dalla moglie, che vuole lasciarlo (anche se lui non lo sa) e ha deciso di produrre il film di un giovane regista che va contro ogni suo valore artistico, alla scelte amorose della figlia, passando per attrici che vogliono cambiare il suo film e un mondo produttivo cui sembra interessare solo l'intrattenimento e non la riflessione.

Che cosa vuol dire fare politica? E fare cinema? Queste due domande, che attraversano da sempre l'opera di Nanni Moretti, si scontrano con veemeenza nel suo nuovo lavoro, un'autobiografia dell'anima e del pensiero in cui Moretti fa i conti con se stesso a 360 gradi: con il suo passato e il suo presente cinematografico, con la storia del paese e del partito con cui si è sempre maggiormente identificato, e con la sua personalità strabordante, una genialità che tutto occupa e tutto divora. 

Il sol dell'avvenire è un film di opposti, di paradossi, di prospettive apparentemente incompatibili e che invece finiscono per ibridarsi in un flusso di coscienza che si muove tra intimismo e meta-cinema. Troviamo quindi i toni stralunati e dissacranti dei primi lavori di Moretti (Ecce bombo!, Palombella rossa) insieme a quelli più psicoanalitici dei suoi film più maturi (La stanza del figlio, Habemus papam, Mia madre); i monologhi deliranti ed esilaranti dei primi (memorabili quelli contro i sabot e sulla violenza al cinema) e i momenti introspettivi dei secondi. 

È un film intimo e sociale al tempo stesso, un film che parla del passato ma guarda al futuro, a un futuro desiderato, agognato, sognato, e troppo spesso accantonato in favore di un realismo e di un razionalismo che generano mostri; un film in cui la parola è onnipresente, ma i messaggi vengono veicolati attraverso silenzi, musiche (colonna sonora da antologia), danze catartiche (memorabile quella sulle note di Battiato) e marce del quarto stato fatte di sorrisi e sguardi speranzosi.

Giovanni, il protagonista/alter-ego di Moretti, riflette questa doppia anima del film, incarnando mille contraddizioni: incapace di badare a se stesso, eppure al tempo stesso sensibile fino al parossismo; incapace di accettare anche il più piccolo cambiamento e al tempo stesso capace di cambiare la Storia con la forza dell'immaginazione. Intorno a lui si muove un circo (è il caso di dirlo) di personaggi reali e macchiettistici, che sembrano esistere per assecondare gli umori di Giovanni, dell'artista-creatore, fino a quando, all'improvviso, si ribellano, costringendolo a fare i conti sia con la realtà che con la sua immaginazione, e a trovare un punto di sintesi.

La sintesi non è, forse, perfetta, e la natura destrutturata del film potrebbe risultare indigesta. Tuttavia, Il sol dell'avvenire è un film emotivamente riuscitissimo, una riscrittura della biografia di un personaggio e di un paese che hanno perso il treno della Storia, e che cercano disperatamente di riafferrarlo. Moretti si eleva sopra il grigiore di un presente insostenibile e decide di non accettarne più le regole, di scartare di lato. Si toglie il cappio dal collo e si concede qualcosa che sembrava impossibile: la speranza. Gli errori vengono corretti, la ragione si fa sentimento, la morte diventa vita, e marcia trionfale per le strade, unita verso un futuro inesistente ma non per questo meno radioso.

**** 1/2

Pier