Giovanni, affermato regista italiano, sta lavorando al suo ultimo film, ma lo fa di malavoglia. Ha infatti smesso di avere interesse per il futuro, e si vergogna del suo passato e di quello del partito con cui si è sempre identificato. Il presente, poi, è un enigma per lui insolubile: dalla moglie, che vuole lasciarlo (anche se lui non lo sa) e ha deciso di produrre il film di un giovane regista che va contro ogni suo valore artistico, alla scelte amorose della figlia, passando per attrici che vogliono cambiare il suo film e un mondo produttivo cui sembra interessare solo l'intrattenimento e non la riflessione.
Che cosa vuol dire fare politica? E fare cinema? Queste due domande, che attraversano da sempre l'opera di Nanni Moretti, si scontrano con veemeenza nel suo nuovo lavoro, un'autobiografia dell'anima e del pensiero in cui Moretti fa i conti con se stesso a 360 gradi: con il suo passato e il suo presente cinematografico, con la storia del paese e del partito con cui si è sempre maggiormente identificato, e con la sua personalità strabordante, una genialità che tutto occupa e tutto divora.
Il sol dell'avvenire è un film di opposti, di paradossi, di prospettive apparentemente incompatibili e che invece finiscono per ibridarsi in un flusso di coscienza che si muove tra intimismo e meta-cinema. Troviamo quindi i toni stralunati e dissacranti dei primi lavori di Moretti (Ecce bombo!, Palombella rossa) insieme a quelli più psicoanalitici dei suoi film più maturi (La stanza del figlio, Habemus papam, Mia madre); i monologhi deliranti ed esilaranti dei primi (memorabili quelli contro i sabot e sulla violenza al cinema) e i momenti introspettivi dei secondi.
È un film intimo e sociale al tempo stesso, un film che parla del passato ma guarda al futuro, a un futuro desiderato, agognato, sognato, e troppo spesso accantonato in favore di un realismo e di un razionalismo che generano mostri; un film in cui la parola è onnipresente, ma i messaggi vengono veicolati attraverso silenzi, musiche (colonna sonora da antologia), danze catartiche (memorabile quella sulle note di Battiato) e marce del quarto stato fatte di sorrisi e sguardi speranzosi.
Giovanni, il protagonista/alter-ego di Moretti, riflette questa doppia anima del film, incarnando mille contraddizioni: incapace di badare a se stesso, eppure al tempo stesso sensibile fino al parossismo; incapace di accettare anche il più piccolo cambiamento e al tempo stesso capace di cambiare la Storia con la forza dell'immaginazione. Intorno a lui si muove un circo (è il caso di dirlo) di personaggi reali e macchiettistici, che sembrano esistere per assecondare gli umori di Giovanni, dell'artista-creatore, fino a quando, all'improvviso, si ribellano, costringendolo a fare i conti sia con la realtà che con la sua immaginazione, e a trovare un punto di sintesi.
La sintesi non è, forse, perfetta, e la natura destrutturata del film potrebbe risultare indigesta. Tuttavia, Il sol dell'avvenire è un film emotivamente riuscitissimo, una riscrittura della biografia di un personaggio e di un paese che hanno perso il treno della Storia, e che cercano disperatamente di riafferrarlo. Moretti si eleva sopra il grigiore di un presente insostenibile e decide di non accettarne più le regole, di scartare di lato. Si toglie il cappio dal collo e si concede qualcosa che sembrava impossibile: la speranza. Gli errori vengono corretti, la ragione si fa sentimento, la morte diventa vita, e marcia trionfale per le strade, unita verso un futuro inesistente ma non per questo meno radioso.
**** 1/2
Pier
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