Stare a fianco, stare di fianco
Margherita è una regista "impegnata", alle prese con le riprese di un film sullo scontro tra gli operai di una fabbrica e i nuovi proprietari che vorrebbero licenziarli. Sua madre, un'insegnante di latino e greco in pensione, è malata da tempo, ma le sue condizioni sembrano essersi aggravate. Margherita si troverà a dover gestire il difficile equilibrio tra una troupe sconvolta dall'arrivo di una capricciosa star americana e la famiglia, confrontandosi con quegli affetti che non ha mai voluto affrontare.
Dopo aver affrontato, con notevoli capacità profetiche, le crisi della politica (Il caimano) e della fede (Habemus Papam), Moretti torna ad affrontare una storia di affetti familiari, in cui le relazioni e le non relazioni tra i personaggi sono il motore della storia. Al centro della vicenda troviamo tre personaggi profondamente diversi: la madre è una persona generosa, abituata a donare se stessa agli altri, sia nel suo lavoro di insegnate, sia nella vita privata; il fratello (un Moretti stranamente sotto tono ma comunque molto intenso) è un uomo mite, tranquillo, per cui la famiglia viene prima di tutto, che concentra il suo affetto su un numero ristretto di persone; infine, Margherita, la protagonista, è segnata da un'anaffettività cronica, da un'incapacità di instaurare un rapporto con gli altri, che diventano solo personaggi all'interno del teatro (o, meglio, del cinema) della sua esistenza. Il mantra "stai accanto al personaggio" che ripete ossessivamente ai suoi attori diventa metafora del suo modo di vivere, di un'incapacità sia di stare accanto agli altri, sia di essere se stessa, relegata alla posizione di spettatrice nella sua stessa vita, sia nei ricordi che nel presente.
Il film ha nella verità la sua forza, in una pietà composta e mai pelosa la sua cifra e il suo fondamento. Commuove, ma non cerca la lacrima facile; emoziona, ma senza essere retorico. E' un film che parla di sentimenti in maniera semplice, come il titolo, due parole ordinarie ma straordinarie, che parlano di un rapporto umano che, pur intenso, fatica a sbocciare e a divenire pieno e vivo. Margherita Buy dà vita alle nevrosi di un personaggio in cui è impossibile non riconoscere lo stesso Moretti, preso tra un sotterraneo desiderio di amare e una cronica incapacità di esprimerlo, un'indecisione tra l'amare o l'essere amato, tra persona e personaggio, in cui tutto diviene una dicotomia e nulla è complementare. Allo stesso tempo, però, Margherita si distingue dal suo modello, divenendo un personaggio a se stante, portatrice di una crisi interiore silenziosa, quasi sussurrata, ma allo stesso tempo incapace dell'accettazione serena e riservata del fratello Giovanni. Insieme a lei sul set del film si muove un Turturro che convince non tanto nelle (esilaranti) scene da mattatore, quanto in quella in cui, rivelando la sua fragilità e la sua debolezza, riesce finalmente a instaurare un rapporto con la regista, uscendo dal suo personaggio per diventare persona, cosa che Margherita, fino all'ultimo, non riuscirà veramente a fare.
Mia madre è un film intenso, certo imperfetto, ma proprio per questo umano, vero, lontano in tutti gli aspetti, sceneggiatura e scenografia in testa, da quella patinata realtà cui ci ha abituato molto cinema italiano, in cui i sentimenti divengono reali, vivi, vicini alla vita di tutti noi. Da non perdere.
**** 1/2
Pier
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