mercoledì 28 febbraio 2024

Dune - Parte 2

Muad'dib colpisce ancora


Dopo essere scampati al tentativo di ucciderli da parte degli Harkonnen, Paul Atreides e sua madre Jessica vivono tra i Fremen, supportati dal leader di un loro clan, Stilgar. I Fremen però faticano ad accettarli, fino a quando non si diffonde la voce che Paul sia l'atteso Messia di Dune promesso dalle leggende, la Voce da un Altro Mondo. Paul dovrà scegliere se cavalcare l'ondata di fervore religioso o dare retta alle sue visioni, che predicono sventura, e a Chani, una guerriera Fremen per cui comincia a provare dei sentimenti, e che lo esorta a rimanere se stesso.

Quello dell'Eletto è un topos fondante della narrativa, cinematografica e non. È al centro di molte delle saghe più popolari, da Harry Potter a Guerre Stellari, passando per Matrix. Il pubblico è talmente abituato a vederla che, spesso, reagisce molto negativamente ai tentativi di sovvertirla. Anche Dune, il romanzo di Frank Herbert, racconta, la storia dell'ascesa di un eletto. Tuttavia, a differenza di ciò che credono molti, non lo fa per celebrarlo, ma per mettere in evidenza i pericoli ideologici, filosofici, e sociali del rendere un semplice uomo un Messia. Dune non è la storia di un salvatore esterno (né, tantomeno, di un white savior come hanno spesso sostenuto critici superficiali): è la storia di come si costruisce un mito inesistente, il racconto di una colonizzazione culturale al fine di perpetuare un piano di controllo e dominio - finché qualcosa, nel meccanismo, si inceppa.

Denis Villeneuve coglie alla perfezione le intenzioni di Herbert - intenzioni spesso travisate, come detto, ma evidenti a chi conosce anche i capitoli successivi della saga, in particolare Dune Messiah - e le traspone alla perfezione in questo secondo capitolo, facendo centro e riuscendo finalmente a catturare la complessità di quello che è stato definito per decenni un "romanzo infilmabile." Villeneuve, come già ampiamente dimostrato sia nel primo capitolo, sia in altri suoi lavori, non teme la complessità, anzi, sembra quasi bramarla, e tesse un arazzo complesso, intricato, che rende giustizia al materiale di partenza e non ha paura di raccontare un'ascesa oscura, la nascita di un eroe che è anche un antieroe, che per prendere il proprio posto nel mondo deve accettare il suo lato oscuro e il fatto che le sue azioni provocheranno milioni di morti. 

Salvatore o carnefice? Liberatore o colonizzatore? La risposta è ambigua, ma il fatto stesso che questa ambiguità sussista è una rivoluzione per il genere, quantomeno al cinema. La complessità morale di Paul, e l'inganno alla base della sua venuta messianica sono qui messe pienamente in luce, e questa scelta rende più interessanti, complessi, e sfaccettati tutti i personaggi - Paul in primis, ma anche Chani, vera bussola morale del film, e Lady Jessica. La musica di Hans Zimmer svolge un ruolo fondamentale, perché non tocca mai note di esaltazione e celebrazione, ma suggerisce un disastro incombente, un male nascosto nell'ombra, un'inquietudine che non viene mai del tutto sopita.


In generale, Villeneuve abbraccia la densità tematica del romanzo (oltre alla "sindrome del messia" si parla di colonialismo, fanatismo, ecologia, e tanto altro) e la fa sua, apportando cambiamenti a volte dolorosi, ma doverosi, - sia perché superflui ai fini narrativi, sia perché complessi da gestire perché avrebbero richiesto ulteriore minutaggio - omettendo spiegazioni non necessarie, e senza farsi problemi a rallentare il ritmo quando necessario, per poi accelerare di colpo quando l'azione diventa regina. Il regista (e il suo co-sceneggiatore, Jon Spaihts) fanno una cosa che sembra eccezionale ma è in realtà estremamente semplice: si fidano dell'intelligenza e, soprattutto, dell'immaginazione dello spettatore nel connettere i puntini, nel dare senso a quello che si vede ma non viene sviscerato in ogni dettaglio. Così facendo, dando vita a un mondo che lascia una sensazione di profondità, di infinite storie che potrebbero essere raccontate, di personaggi cui potrebbero essere dedicati interi film, e che incontriamo come passeggeri nella notte mentre seguiamo le avventure di Paul e dei Fremen, e di cui vorremmo sapere di più. 

L'ultima saga a riuscire a rendere in modo paragonabile la profondità del mondo romanzesco era stata quella de Il Signore degli Anelli, ma Peter Jackson aveva sempre preferito puntare più sul lato spettacolare e non soffermarsi troppo su quello tematico (che pur emergeva). Villeneuve invece riesce a mantenere un bilanciamento queste due anime, ed è una goduria cinematografica vedere questo esercizio di equilibrismo dipanarsi scena dopo scena.

Visivamente il film è abbacinante: riempie gli occhi di stupore, lascia continuamente a bocca aperta e, quando pensi di esserti ormai abituato a deserti immensi che paiono mari solcati dalle onde, tecnologie innovative che sembrano al tempo stesso vecchissime (non a caso Lucas ha saccheggiato a piene mani la creazione di Herbert per creare l'immaginario di Guerre Stellari), e immense creature che emergono dalle sabbie, ti colpisce ancora, e ancora, e ancora con immagini sempre più ambiziose, coraggiose, creative. Non citerò scene specifiche per evitare spoiler, ma ci sono almeno tre momenti (tra cui quello che apre il film) destinati a diventare iconici. 

La cifra visiva di Villeneuve è pienamente riconoscibile, tra duelli ripresi in silhouette, personaggi che si stagliano solitari di fronte all'infinito, e panoramiche che catturano la vastità di una natura di volta in volta meravigliosa, matrigna, o deturpata dall'intervento dell'uomo. A questo bagaglio dei trucchi si aggiunge qui un uso del colore espressionista e una tendenza spiccata a posizionare la camera a terra, inquadrando dal basso per rivelare, anzi, evocare qualcosa di grande e terribile che diventa a poco a poco visibile, creando un senso di attesa prima e di meraviglia poi nello spettatore.


Il film non potrebbe però raggiungere le vette che raggiunge senza l'aiuto di un cast semplicemente perfetto. Tra le vecchie conoscenze, Chalamet rende alla perfezione la crescita di Paul, passando dal ragazzino etereo e un po' imbronciato del primo film a leader di un popolo e di una guerra santa con una performance sfaccettata, in cui dimostra un carisma fisico e, soprattutto, vocale inaspettato che, unito alla sua capacità di dare voce e corpo alla fragilità, rende alla perfezione l'ambiguità morale in cui lentamente svicola Paul. Accanto a lui, Zendaya è l'occhio scettico, l'ancora che dovrebbe impedire a Paul di perdere il suo lato umano, l'unica a vederlo come Paul, come Muad'dib, e non come il Messia, la Voce da un Altro Mondo in cui le persone intorno a lui vogliono trasformarlo. Rebecca Ferguson è una Lady Jessica che ricorda una Lady Macbeth, incutendo terrore come una Reverenda Madre delle Bene Gesserit dovrebbe fare, e Stellan Skarsgard continua ad abitare i nostri incubi con il suo Barone Harkonnen.

Anche i nuovi arrivi brillano, a cominciare da Austin Butler, che regala un Feyd-Rautha imperioso, dalla voce oltremondana e dalle movenze serpentine, un sadico assassino con un codice d'onore, perfetto specchio deformato di ciò che diventa Paul - un aspetto, questo, resto in modo addirittura più efficace che nel romanzo, dove Feyd risultava meno profondo e più tipizzato come "malvagio", per quanto affascinante. Accanto a lui da segnalare anche Léa Seydoux, attrice dal range limitato che però Villeneuve sfrutta alla perfezione, ritagliandole addosso una Bene Gesserit felina, seduttiva, a suo agio nel muoversi tra luci e ombre. Florence Pugh e Christopher Walken, pur con un minutaggio limitato, danno spessore e gravitas ai rispettivi personaggi, e Pugh promette di portare sullo schermo una Irulan eccezionale se, come sperano sia Villeneuve che i fan, verrà realizzato un film anche dal secondo libro della saga, Dune Messiah.

Dune - Parte 2 è un sequel cupo, oscuro, in uno scarto tonale che ricorda Impero colpisce ancora ma se si fosse focalizzato maggiormente su Darth Vader. È un adattamento fedelissimo allo spirito e fedele alla lettera del libro, e al tempo stesso accessibile anche per chi non conosce il lavoro di Herbert. È, in sintesi, tutto ciò che dovrebbe essere un blockbuster d'autore: intrattiene con battaglie, intrighi, creature mitologiche e personaggi memorabili, ma al tempo stesso stupisce, colpisce e fa riflettere, prendendosi i suoi tempi e lasciando lo spettatore a interrogarsi su cosa ha visto e con il desiderio di rivedere il film per scoprire dettagli, suggestioni, interpretazioni. Destinato a diventare una pietra miliare del genere: come per la trilogia de Il Signore degli Anelli e Mad Max: Fury Road, ci sarà un "prima" e un "dopo" Dune.

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Pier