Creare un mondo impossibile
In un futuro prossimo venturo, l'universo è controllato da un impero che si regge su un sistema feudale. Le casate sono in lotta tra loro, e una preda ambita è il pianeta Arrakis, un deserto che però ospita la preziosissima Spezia, fondamentale per il viaggio interspaziale dopo che la jihad di Butler ha portato alla distruzione di ogni intelligenza artificiale, e capace di conferire a chi la assume poteri profetici e capacità cognitive degne di un computer. L'imperatore decide di assegnare il pianeta alla casata Atreides, sottraendolo alla casata rivale degli Harkonnen. Paul, erede della casata, si trova quindi costretto a trasferirsi sul pianeta, abitato dai Fremen, che da sempre combattono contro la colonizzazione della propria terra. Paul è tormentato da sogni misteriosi, e da un destino che sua madre, Lady Jessica, membra della misteriosa sorellanza Bene Gesserit, sembra aver architettato per lui.
Il romanzo Dune, pubblicato da Frank Herbert nel 1965, è stato a lungo considerato infilmabile: il mondo creato da Herbert era troppo complesso, troppo denso di riferimenti storici, politici, ambientali e mistici per essere efficacemente trasposto su schermo. Jodorowsky ha provato per anni a realizzarlo, senza riuscirci; e David Lynch ne realizzò una versione che, pur essendo nel frattempo diventato un piccolo cult, riuscì a scontentare sia il regista che il produttore, ma soprattutto il pubblico, che lo trovò troppo complesso. Il paradosso di queste disavventure è che Dune ha profondamente influenzato, sia direttamente, sia indirettamente attraverso i materiali sviluppati per il tentativo di Jodorowsky, tutta la fantascienza cinematografica e televisiva: da Star Wars (il più evidente) a Star Trek, passando per Nausicaa nella valle del vento, Terminator e Alien, sono pochissimi i cult fantascientifici che non gli sono debitori a livello narrativo o di immaginario visivo.
Denis Villeneuve si trovava dunque di fronte a una sfida titanica, persino più del sequel di Blade Runner: da una parte doveva soddisfare le schiere di fan del libro, che da anni attendono un adattamento degno; dall'altro doveva riuscire ad attirare il grande pubblico, trasferendo su schermo la complessità e la densità tematica del romanzo senza annoiare con continui momenti espositivi e lunghissime spiegazioni.
Possiamo dire che Villeneuve ha stravinto la sfida, dimostrandosi ancora una volta uno dei registi migliori degli ultimi anni, uno dei pochissimi in grado di coniugare autorialità e intrattenimento. Il suo Dune è un trionfo registico, in cui tutte le parti si integrano e si amalgamano alla perfezione: se alcuni elementi, presi singolarmente, possono legittimamente non convincere, è impossibile non riconoscere come questi si incastrino tra loro alla perfezione.
Il risultato è un film magniloquente e mistico, che trasuda epica e mito a ogni inquadratura, capace di stimolare la fantasia e, al tempo stesso, imporre una riflessione sulla realtà. Lo spettatore è letteralmente trasportato a Caladan, a Giedi Prime, ad Arrakis: Dune fa per la saga (che per ora prevede solo un secondo film, che concluderà gli eventi narrati nel primo libro) quello che La compagnia dell'anello fece per Il signore degli anelli: creare i riferimenti visivi e tematici di un nuovo universo, riuscendo a trasmetterne appieno la ricchezza e la profondità - il suo sistema politico, la sua mitologia, le sue tradizioni; e, al tempo stesso, narrare la storia dei suoi protagonisti.
World building: farlo bene |
Il principale trionfo di Villeneuve è forse la sceneggiatura: paradossale, forse, per un regista conosciuto soprattutto per le sue doti visive; ma si tratta di un mezzo miracolo. Villeneuve riesce a limitare al minimo le spiegazioni, immergendo lo spettatore nei vari mondi di Dune e cercando di usare il più possibile immagini e azioni per spiegare le complesse regole dell'universo creato da Herbert. I (pochi) tagli operati rispetto all'opera originale sono certosini e funzionali allo scorrere della trama e alla sua comprensione anche agli spettatori non iniziati ai lavori di Herbert. Villeneuve punta tutto sulla macrotrama - sia politica che spirituale - facendo muovere i suoi personaggi in un mondo più grande di loro. Lo stupore di Paul, di Leto, di Lady Jessica è anche quello dello spettatore, ma ci si rende sempre conto di essere di fronte alle ruote della Storia e ai tentativi dei protagonisti di non finirne schiacciati. Volendo proprio trovare un difetto, i sogni di Paul sono forse troppo frequenti, ma risultano comunque funzionali alla creazione di quell'aura di misticismo e predestinazione profetica che è centrale nel fascino di libro e film.
La magniloquenza narrativa trova un efficace corrispettivo nella fotografia, nei costumi e nella scenografia. Greig Fraiser alterna sapientemente luci e ombre, giocando con naturale ed artificiale e puntando su immagini panoramiche e statiche, che abbracciano le grandi scene di guerra così come le azioni dei personaggi, permettendo allo spettatore di assaporarle appieno. Ogni pianeta vive di luce propria, con i colori caldi di Arrakis che contrastano con quelli freddi, da incubo di Giedi Prime e la placida calma verde-blu di Caladan.
Il design di set, astronavi e costumi è semplicemente una gioia per gli occhi per creatività e varietà, e la ricchezza dei dettagli è tale che molti sfuggiranno all'occhio cosciente dello spettatore. Hans Zimmer accompagna il tutto con una colonna sonora magniloquente, non particolarmente originale (gli echi dei suoi lavori con Christopher Nolan sono evidenti) ma perfetta per raccontare quello che è a tutti gli effetti un racconto mitologico/fondativo.
Ombre e luci |
In questo contesto, non era facile per gli attori riuscire a creare personaggi convincenti e a tutto tondo, che fossero persone prima che categorie, individui prima che pedine nel gioco di scacchi della politica e della Storia. Il casting, tuttavia, si rivela semplicemente perfetto, e gli attori offrono tutte prove eccellenti: Chalamet è un Paul Atreides da manuale, e offre quel mix di energia e tormento giovanile e di aura mistica che sono fondamentali per il personaggio; Rebecca Ferguson è una Lady Jessica fiera e sovrannaturale, Oscar Isaac un Duca Leto empatico e carismatico; e Stellan Skarsgård interpreta il sadico Vladimir Harkonnen con il terrificante piglio nichilista del Kurz di Marlon Brando in Apocalypse Now. Intorno a loro, spiccano Josh Brolin, Jason Momoa, Javier Bardem e Zendaya, che portano in vita i co-protagonisti più amati del romanzo.
The horror, the horror |
Dune è un film creativo, originale, che mostra una forte visione registica e autoriale e riesce al tempo stesso a intrattenere e creare un universo che lo spettatore può esplorare, e dove può far volare la fantasia. È tutto quello che dovrebbe essere un blockbuster: non un film fatto con lo stampino e scritto da un algoritmo per non scontentare nessuno, ma un film ambizioso, che ha il coraggio delle sue idee e le persegue anche a costo di alienarsi qualche spettatore. Questa prima parte conquista, avvince, e seduce: non vediamo l'ora di tornare su Arrakis per la seconda.
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Pier
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