venerdì 24 settembre 2021

Space Jam: New Legends

I believe you can pay


LeBron James, campione di pallacanestro, sogna un futuro da sportivi per i figli, ma Dominic, il più piccolo, preferisce i videogiochi. Durante un incontro con i capi della Warner Bros, Dom viene rapito dall'intelligenza artificiale che gestisce i server degli studios, Al-G Rhythm, e "caricato" al loro interno. Per liberarlo, LeBron dovrà vincere una partita di pallacanestro contro i Goon Squad, cloni versione videogioco di altre star NBA. Lo aiuteranno i Looney Tunes, ma le sorprese sono dietro l'angolo.

Spesso si critica Hollywood per essere ormai un'industria senz'anima, dove la creatività viene frustrata, le nuove idee cestinate, e si pensa solo a produrre sequel/remake/prequel a getto continuo, sfruttando l'effetto nostalgia e cercando di valorizzare un "marchio" (es: Marvel, DC) piuttosto che il film.
Chi scrive non concorda con questa analisi. Hollywood è una macchina creativa, che sforna a getto continuo prodotti e idee innovativi (o quantomeno che ambiscono ad esserlo), ma ha il difetto, come tutte le macchine, di amare la ripetizione: se un progetto funziona, ne usciranno mille cloni fino a quando smetterà di funzionare (ne hanno ben parlato in questa recensione de I 400 Calci).

Tuttavia, dopo aver visto Space Jam: New Legends è davvero difficile dare torto ai critici: il film infatti è un prodotto talmente commerciale da essere di fatto una pubblicità, totalmente privo di anima, fascino, e voglia di provare qualcosa di nuovo. Il paradosso è che il problema non sta nella sua natura di sequel o, meglio, soft remake: l'idea di rifare Space Jam con LeBron James (il Michael Jordan dei giorni nostri) di per sé funziona, anche perché l'originale, diventato di culto con gli anni, non era certo un capolavoro intoccabile (chi scrive lo ha visto almeno dieci volte, ma diciamoci la verità, suvvia). Allo stesso modo, l'idea di ambientare il tutto in una realtà virtuale anziché nel mondo dei Looney Tunes poteva essere efficace per evitare la sensazione di già visto. Ciò che non funziona è lo spirito autopromozionale che permea tutta l'operazione e finisce per soffocare del tutto la trama e la narrazione.


L'intero film, soprattutto nella prima parte, sembra una lunga pubblicità del catalogo Warner e, di conseguenza, di HBO Max, il nuovo servizio di streaming: la sequenza del reclutamento dei giocatori, potenzialmente una delle parti più interessanti del film (si veda la presentazione dei giocatori nell'originale), è esemplare in tal senso, in quanto finisce per diventare stantia e ripetitiva all'ennesima proprietà Warner esibita a uso e consumo dello spettatore (alcune, peraltro, del tutto insensate in un film che ha comunque come target primario dei bambini, tipo Casablanca). Il pubblico che assiste alla partita, meravigliosamente anonimo eppur caratterizzato nel primo film, diventa qui un'avvilente gara al riconoscimento di film Warner alla "Dov'è Waldo" (e, anche qui, le insensatezze abbondano, dal pagliaccio di IT ai drughi di Arancia Meccanica). Il confronto con la grazia con cui altri film "citazionisti" (come Chi ha incastrato Roger Rabbit? e Ready Player One) avevano gestito la stessa situazione è quasi imbarazzante: laddove lì le citazioni erano parte integrante della trama, con i personaggi "famosi" che venivano sfruttati per le loro caratteristiche, qui li si riduce a comparse che rimangono sullo sfondo, figuranti anonimi che compaiono per puro sfoggio di proprietà intellettuale.

Quanto non pubblicizza la Warner, il film diventa un enorme veicolo autopromozionale per il protagonista: fin qui nulla di male, dato che anche Space Jam promuoveva  Michael Jordan come "miglior giocatore di sempre". Tuttavia, qui si cerca di promuovere il personaggio LeBron, e non il giocatore di basket: LeBron come padre, come mentore, come leader, imperfetto eppure eccezionale proprio per la capacità di accettare questa imperfezione. Il risultato è che nel film il basket è quasi del tutto assente, un convitato di pietra che viene relegato sullo sfondo persino durante il momento clou della partita. 

Nel primo film la partita era una partita "vera" che, pur intervallata dalle follie cartoonesche dei Looney Tunes, riusciva a mantenere le caratteristiche dello sport originale: i canestri erano per lo più "normali", il punteggio persino troppo basso (finiva 78-77). Gli elementi da cartone animato rendevano il tutto parodico, ma senza perdere di vista il reale, rendendo quindi quelle sequenze una gioia per gli occhi degli appassionati.
Qui il modello di riferimento non è il basket reale, ma un videogioco di basket come NBA Jam, fatto di gesti atletici irreali, power-up e mosse speciali. Il problema è che a queste azioni irreali si aggiunge qui l'esasperazione "da cartone" che il prodotto richiede, facendo quindi diventare il tutto un continuo "momento spettacolare" che del basket non ha più nulla. 

E questa è una delle azioni più "normali"

Come se non bastasse, la partita passa in secondo piano rispetto a quello che, nelle intenzioni degli autori, dovrebbe essere il centro emotivo del film, ovvero il rapporto di LeBron con suo figlio. Peccato che questo elemento non sia di alcun interesse per lo spettatore: sia perché è uno dei temi più abusati del cinema (la sottotrama tra Al-G Rhythm e Dom è identica, in tutto e per tutto, a quella tra Capitan Uncino e Jack in Hook); sia perché il figlio di LeBron non è, ovviamente, il figlio di LeBron; sia perché non è questo che interessa allo spettatore di Space Jam. Tutto questo sarebbe forse comunque accettabile se al centro ci fossero i Looney Tunes, personaggi con caratteristiche e capacità comiche ben specifiche che tutti abbiamo imparato ad amare. Invece anche loro sono sacrificati, relegati in secondo piano: e fa davvero tristezza vedere delle vere e proprie macchine per risate ridotte ad anonime comparse.

Il film risulta quindi completamente scentrato, diviso tra due anime - quella arida e commerciale e una emotiva e sentimentale - che sono ambedue fuori posto rispetto a quello che dovrebbe essere l'obiettivo del film: divertire. Ed è un vero peccato, perché il potenziale per fare qualcosa di originale e divertente c'era: le poche gag azzeccate, come LeBron versione animata, sono davvero azzeccare; l'Al-G Rhythm di Don Cheadle è un villain interessante e accattivante; e LeBron attore ha ottimi tempi comici, migliori di quelli di Jordan, come già dimostrato nelle sue comparsate in altri film. 

Purtroppo finisce tutto sacrificato sull'altare delle esigenze del marchio, anzi, dei marchi di produttori e protagonista. Il risultato è un film senz'anima, che non resterà nei cuori di un'intera generazione come il suo predecessore grazie ai numerosissimi momenti memorabili (qui il preferito di chi scrive) ma verrà dimenticato in fretta, molto in fretta: altro che "nuove leggende."

* 1/2

Pier

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