William Tell ha un passato tormentato che lo ha portato in prigione. Ora sbarca il lunario giocando a poker e blackjack. Grazie alla sua abilità nel contare le carte riesce a vincere quanto basta per campare senza attirare l’attenzione dei casinò. La sua vita controllata e sotto traccia cambia quando incontra Cirk, un giovane che conosce il suo passato e che medita vendetta contro una loro comune conoscenza.
Schrader torna regia dopo First Reformed, e lo fa con un altro film che parla di colpa ed espiazione – sia personale che di un’intera nazione. Il protagonista, William, sembra uscito da un film di Clint Eastwood: è taciturno, ha un forte senso etico – in reazione al suo turbolento passato – e preferisce non attirare l’attenzione. La sua psiche, le sue emozioni sono trattenute, nascoste, controllate: questo gli ha permesso di avere successo nel suo precedente lavoro, questo gli permette di avere successo al tavolo verde.
Le emozioni, tuttavia, non scompaiono: sono pronte a riemergere con violenza quando occorre, come un fiume carsico che trova brevemente la strada della superficie. Scavare nel passato di William è scavare nella sua psiche, nei ricordi di un male indicibile che ha macchiato la sua anima e quella di tutti gli Stati Uniti. Schrader racconta infatti la storia di William per raccontare la necessità di espiazione – anziché di rimozione della storia recente degli USA, facendo del suo protagonista il nuovo Travis Bickle, incarnazione delle storture di società che però, a differenza della società, è cosciente dei suoi errori e della necessità di fare ammenda.
Come Bickle, William intravede una possibilità in un giovane, Cirk, cui cerca di evitare la vita di sofferenza e vendetta cui sembra volersi dedicare. Restituire una speranza a Cirk diventa l’obiettivo di William, ciò che lo spinge a uscire dall’anonimato e a puntare in alto, sul tavolo verde e nella vita.
Come Bickle, William intravede una possibilità in un giovane, Cirk, cui cerca di evitare la vita di sofferenza e vendetta cui sembra volersi dedicare. Restituire una speranza a Cirk diventa l’obiettivo di William, ciò che lo spinge a uscire dall’anonimato e a puntare in alto, sul tavolo verde e nella vita.
Schrader dirige il film con piglio quasi documentaristico, con immagini secche e asciutte in cui però ogni tanto fanno capolino scene evocative e quasi oniriche, simbolo di una bellezza effimera capace di spuntare anche nel marciume del mondo. La sceneggiatura è a tratti ondivaga ma solida, e si avvale della splendida interpretazione di Oscar Isaac, semplicemente perfetto nella parte e capace di restituire sia l’empatia, sia il lato oscuro del suo personaggio, ambedue nascosti sotto una patina di apparente ieraticità.
Il collezionista di carte (assurda traduzione del titolo inglese The Card Counter) è un film difficile da inquadrare, che cambia continuamente direzione, (in)seguendo la tormentata psiche del protagonista. Il risultato è a volte straniante e imperfetto, ma di grande impatto, e impone allo spettatore riflessioni sulle responsabilità individuali e collettive.
*** 1/2
Pier
Nota: questa recensione è stata originariamente pubblicata su Nonsolocinema.
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