giovedì 24 novembre 2016

Doctor Strange (In pillole #6)

E' quasi magia Marvel


Stephen Strange è un brillante neurochirurgo di New York. A seguito di un incidente d'auto perde il pieno controllo sulle sue mani e, dunque, la possibilità di svolgere il suo lavoro. Alla disperata ricerca di una soluzione, Strange entrerà in contatto con l'Antico, lo Stregone Supremo della Terra, che lo introdurrà all'arte della magia.

Dopo una serie di film che sembravano fotocopiati a livello visivo (qui si trova un'ottima spiegazione tecnica del perché), la Marvel si risolleva grazie a uno dei suoi personaggi più visionari e alternativi, profondamente debitore della cultura psichedelica degli anni Sessanta (come spiegato mirabilmente dai 400 Calci) e in grado di fornire una nuova dimensione all'universo Marvel: quella della magia e del misticismo. Così i piani si moltiplicano, si incrociano e si rincorrono, dando vita a una esplosione visiva degna di Inception o di un quadro di Dalì.

Il film è una classica storia di formazione dell'eroe, che si discosta però dai classici archetipi del genere sia nella caratterizzazione morale dei protagonisti, mai al 100 % positivi, sia nella messa in scena del percorso e, soprattutto, dello scontro finale, forse il più originale visto finora in un film di supereroi. Cumberbatch conferisce al personaggio la giusta dose di arroganza e charme, riuscendo a sopperire allo scarso carisma del suo antagonista, penalizzato dalla sceneggiatura più che dal suo interprete.

Doctor Strange rappresenta una novità per il mondo Marvel, un possibile passo in una direzione diversa che, se opportunamente sfruttata, e se sviluppata narrativamente meglio di questo primo capitolo, potrebbe aprire strade promettenti.

*** 1/2

Pier

venerdì 18 novembre 2016

Animali Notturni

La donna che morì due volte



Susan Morrow è proprietaria di una prestigiosa galleria d'arte. La sua esistenza scorre, fredda e monotona, tra le sue opere e una vita coniugale infelice, con il marito fedifrago e perennemente in viaggio. Un giorno Susan riceve un manoscritto da Edward, il suo primo marito, che le chiede di leggerlo. Il libro è un thriller, ambientato in un Texas calato in una notte che sembra non finire mai. Così, pagina dopo pagina, l'insonne Susan si trova a vivere la realtà del romanzo, e allo stesso tempo a rivivere il dolore che ha inflitto a Edward quando lo ha abbandonato.

Che cos'è un mostro? Questo sembra chiedersi, fin dalla splendida lynchiana sequenza di apertura, Animali Notturni: è un corpo sfigurato che si esibisce all'interno di un'installazione artistica? E' un gruppo di teppisti che sequestra una famiglia in viaggio nel Texas, come nel romanzo di Edward? E' Susan, che ha distrutto il cuore e la vita di Edward, abbandonandolo solo per soldi? O è Edward stesso, che decide di torturare la sua ex moglie con un romanzo di autopsicoanalisi, in cui i demoni interiori sembrano prendere vita sulla pagina?

Se la sequenza d'apertura fa pensare al Lynch di Twin Peaks, il film prosegue su toni decisamente più hitchockiani, anche se mantiene il gusto di Lynch per il ballare al confine tra reale e irreale, materiale e immateriale: quello che in Mulholland Drive era il sogno, qui è la pagina del romanzo di Edward, ambientato in un mondo calato nel sonno della ragione, dove i mostri sono tanto realistici da sembrare tangibili e reali. Attraverso una storia cruda e priva di speranza, Edward racconta alla ex moglie il suo inferno personale, trascinandola nei suoi incubi e non lasciandola più andare. Il passato diventa presente, il racconto diventa più reale del reale, in un ribaltamento di prospettiva in cui Susan muore due volte: la prima (la seconda) sulla pagina, la seconda (la prima) quando lascia Edward e sceglie il denaro al posto della felicità.

Dopo l'ottimo esordio di A single man, Ford dirige la sua opera seconda con una visione d'insieme ammirevole, in cui nulla è fuori posto e tutto si incastra a perfezione: alla fredda crudeltà della scrittura si affianca una fotografia splendida, in cui le cupe atmosfere notturne del Texas si alternano alle fredde luci dell'appartamento di Susan, per poi sprofondare in un abbagliante solleone che sembra uscito dai western di Sergio Leone, in cui ti sembra di sentire la polvere che ti avvolge e ti soffoca lentamente. Ford dirige il film con maniacale perfezionismo, in un equilibrio tra introspezione psicologica e freddezza narrativa che non può non richiamare alla mente il capolavoro di Hitchcock La donna che visse due volte. Come all'inizio del film, tuttavia, proprio quando sembra aver individuato un archetipo Ford se ne discosta con eleganza, annullando ogni pretesa di suspence (centrale, invece, per il regista inglese) per concentrarsi sulle pulsioni più animali dell'uomo, che sembra essere veramente se stesso solo nell'ombra.

Animali notturni è un film realizzato in modo superbo, che sconta solo un eccesso di freddezza e perfezione formale che fanno sì che solo raramente riesca ad emozionare. Probabilmente, però, era esattamente questo lo scopo di Ford, che non vuole coinvolgere lo spettatore, ma costringerlo ad assistere a una parata di mostri, a una seduta di psicoanalisi che, forse, è anche la sua.

****

Pier

martedì 1 novembre 2016

Café Society (In pillole #5)

La malinconia del passato



New York, anni Trenta: Bobby è il figlio più giovane di una famiglia ebrea. Decide di trasferirsi a Los Angeles, dove lo zio è un produttore cinematografico di successo. Lavorando per lui conosceVonnie, di cui si innamora perdutamente.

Woody torna alle atmosfere dei suoi primi film con un film che guarda con amore a New York e con odio misto ad ammirazione a Los Angeles, in cui l'ironia è stemperata da una forte malinconia. Allen affronta il tema della nostalgia, in un film in cui tutti sembrano bloccati nel passato passato e concentrati su ciò che avrebbe potuto essere anziché su ciò che stanno vivendo. Citando esplicitamente uno dei suoi riferimenti cinematografici, Casablanca, Allen costruisce un film delizioso, in cui delusione e cinismo si mescolano al romanticismo, dando vita a una strana miscela che, pur non raggiungendo le vette dei film migliori di Allen, affascina e commuove.

Sorretto dalla solita splendida colonna sonora e dalla magnifica fotografia di Vittorio Storaro, Cafe Society è una piccola perla che, pur essendo ben lontano dall'essere un capolavoro, affascina e conquista. Il film crea un'illusione momentanea in cui la bellezza trionfa sulla decadenza, e ritrae alla perfezione la tensione tra l'infelicità del successo e quel periodo della gioventù in cui, per dirla con Hemingway, si è "molto poveri, ma molto felici."


***1/2

Pier