venerdì 18 novembre 2016

Animali Notturni

La donna che morì due volte



Susan Morrow è proprietaria di una prestigiosa galleria d'arte. La sua esistenza scorre, fredda e monotona, tra le sue opere e una vita coniugale infelice, con il marito fedifrago e perennemente in viaggio. Un giorno Susan riceve un manoscritto da Edward, il suo primo marito, che le chiede di leggerlo. Il libro è un thriller, ambientato in un Texas calato in una notte che sembra non finire mai. Così, pagina dopo pagina, l'insonne Susan si trova a vivere la realtà del romanzo, e allo stesso tempo a rivivere il dolore che ha inflitto a Edward quando lo ha abbandonato.

Che cos'è un mostro? Questo sembra chiedersi, fin dalla splendida lynchiana sequenza di apertura, Animali Notturni: è un corpo sfigurato che si esibisce all'interno di un'installazione artistica? E' un gruppo di teppisti che sequestra una famiglia in viaggio nel Texas, come nel romanzo di Edward? E' Susan, che ha distrutto il cuore e la vita di Edward, abbandonandolo solo per soldi? O è Edward stesso, che decide di torturare la sua ex moglie con un romanzo di autopsicoanalisi, in cui i demoni interiori sembrano prendere vita sulla pagina?

Se la sequenza d'apertura fa pensare al Lynch di Twin Peaks, il film prosegue su toni decisamente più hitchockiani, anche se mantiene il gusto di Lynch per il ballare al confine tra reale e irreale, materiale e immateriale: quello che in Mulholland Drive era il sogno, qui è la pagina del romanzo di Edward, ambientato in un mondo calato nel sonno della ragione, dove i mostri sono tanto realistici da sembrare tangibili e reali. Attraverso una storia cruda e priva di speranza, Edward racconta alla ex moglie il suo inferno personale, trascinandola nei suoi incubi e non lasciandola più andare. Il passato diventa presente, il racconto diventa più reale del reale, in un ribaltamento di prospettiva in cui Susan muore due volte: la prima (la seconda) sulla pagina, la seconda (la prima) quando lascia Edward e sceglie il denaro al posto della felicità.

Dopo l'ottimo esordio di A single man, Ford dirige la sua opera seconda con una visione d'insieme ammirevole, in cui nulla è fuori posto e tutto si incastra a perfezione: alla fredda crudeltà della scrittura si affianca una fotografia splendida, in cui le cupe atmosfere notturne del Texas si alternano alle fredde luci dell'appartamento di Susan, per poi sprofondare in un abbagliante solleone che sembra uscito dai western di Sergio Leone, in cui ti sembra di sentire la polvere che ti avvolge e ti soffoca lentamente. Ford dirige il film con maniacale perfezionismo, in un equilibrio tra introspezione psicologica e freddezza narrativa che non può non richiamare alla mente il capolavoro di Hitchcock La donna che visse due volte. Come all'inizio del film, tuttavia, proprio quando sembra aver individuato un archetipo Ford se ne discosta con eleganza, annullando ogni pretesa di suspence (centrale, invece, per il regista inglese) per concentrarsi sulle pulsioni più animali dell'uomo, che sembra essere veramente se stesso solo nell'ombra.

Animali notturni è un film realizzato in modo superbo, che sconta solo un eccesso di freddezza e perfezione formale che fanno sì che solo raramente riesca ad emozionare. Probabilmente, però, era esattamente questo lo scopo di Ford, che non vuole coinvolgere lo spettatore, ma costringerlo ad assistere a una parata di mostri, a una seduta di psicoanalisi che, forse, è anche la sua.

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Pier

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