martedì 25 febbraio 2020

Tesori nascosti - #3

Torna "Tesori nascosti", la rubrica che segnala film meritevoli di recupero passati inosservati o quasi in Italia.

Ogni film è corredato di voto, informazioni su dove reperire il film, e di un breve commento o un link alla nostra recensione.




1. Kill me please, voto 7.
Generecommedia nera
Anno: 2010
Regista: Olias Barco
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: no
Commento: una commedia nera surreale, girata in stile neorealista, con un bianco e nero quasi onirico e continui movimenti di macchina. Il ritmo non è incalzante, ma è compensato da alcune trovate davvero gustose. Qui la recensione estesa.

2. Killer Joe, voto 9.
Genere: commedia nera
Anno: 2011
Regista: William Friedkin
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: a noleggio su vari servizi
Commentoun'altra commedia nera, che vira però al thriller. Un film di forte impatto che racconta quell'America senza speranza e senza pietà già descritta dai Coen in Non è un paese per vecchi, in cui l'unica legge è quella della violenza, una violenza metodica, cinica, che si presenta con i modi gentili e rassicuranti di Joe e si trasforma poi nel peggiore degli incubi. Qui la recensione estesa.

3. Still life, voto 9.
Genere: commedia drammatica
Anno: 2013
Regista: Uberto Pasolini
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: a noleggio su vari servizi
CommentoUno dei migliori film di registi italiani degli ultimi dieci anni, capace di una delicatezza e di una misura che sembrano sconosciute alla gran parte dei cineasti nostrani. Still Life racconta una storia semplice ma straordinaria per la voglia di vivere che trasmette, con una perfetta commistione di momenti comici ed emozionanti. Qui la recensione estesa.

4. Locke, voto 8.
Genere: drammatico
Anno: 2013
Regista: Steven Knight
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: a noleggio su vari servizi
CommentoDall'autore di quel capolavoro del piccolo schermo che è Peaky Blinders, un film interamente ambientato in un'auto, con il mondo esterno che perde consistenza fisica, ed esiste solo attraverso le voci sentite al cellulare. Knight riesce a generare tensione e attesa grazie al solo uso della parola e a un Tom Hardy in stato di grazia. Qui la recensione estesa.

5. L'estate di Kikujiro, voto 9.5.
Genere: commedia drammatica
Anno: 1999
Regista: Takeshi Kitano
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: no
Commento: Una trama all'apparenza banale, con un adulto che si trova costretto ad accompagnare un bambino alla ricerca della madre, che manca da casa da parecchi anni. Il loro viaggio si trasforma a poco a poco in qualcosa di più, un'esperienza lirica, divertente, leggera ma al tempo stesso profonda, riflessiva, che non lascera insensibile nemmeno il più arido degli spettatori. Kitano dirige con una leggerezza e una purezza di visione che tolgono il fiato, sorretto anche dalla splendida colonna sonora di Joe Hisaishi.

6. L'infanzia di un capo, voto 9.
Genere: drammatico, storico
Anno: 2015
Regista: Brady Corbet
DVD: sì, edizione italiana
Streaming: no
CommentoUna delle più belle sorprese cinematografiche degli ultimi anni: un film ridondante ma potente, imperfetto ma evocativo, che risveglia emozioni forte nello spettatore e lo costringe a fare qualcosa cui il cinema contemporaneo sembra aver rinunciato: riflettere. Qui la recensione estesa.

7. Sunshine cleaning, voto 7.
Genere: commedia drammatica
Anno: 2008
Regista: Christine Jeffs
DVDsì, edizione italiana
Streaming: Prime Video
Commento: Due sorelle, per sbancare il lunario, si specializzano in un'attività peculiare: la pulizia delle scene del crimine. Un film che bilancia perfettamente dramma e commedia e che, pur non brillando per originalità registica, offre un'ottima prova corale (d'altronde il cast è d'eccezione: Amy Adams, Emily Blunt, e Alan Arkin) e numerosi spunti di riflessione sulla famiglia e sulla mortalità, grazie anche a una sceneggiatura vivace e mai banale.

Pier

giovedì 20 febbraio 2020

Netflix uccide il cinema? Un'analisi



Da quando Netflix, e in generale le piattaforme di streaming, hanno fatto il loro ingresso in Italia, e in generale in Europa, si continuano a sentire alti lai da parte degli esercenti, indefessi nel sostenere che i servizi di streaming saranno la morte del cinema.

La morte del cinema, come quella di Mark Twain, è notizia data molte volte, e a oggi sempre esagerata: prima per l'avvento della televisione, che entrò invece in una crisi acuta ben prima del grande schermo; poi per quello dell'home video, sia in vendita che a noleggio. Quest'ultimo annuncio fa particolarmente sorridere oggi, considerando che è di pochi giorni fa la notizia che è rimasto un solo Blockbuster in tutto il mondo, laddove le sale continuano a esistere e incantare gli spettatori.

L'ultimo dei dodo (Bend, Oregon)
L'ultimo nemico, appunto, è stato identificato nello streaming, e ha portato i grossi esercenti a rifiutare pervicacemente di proiettare i film prodotti da Netflix, approdati quindi nelle sale grazie allo sforzo di piccoli e meritevoli cinema indipendenti. La tesi, propugnata dagli esercenti, è che la distribuzione sui servizi in streaming a pochi giorni, se non addirittura in sovrapposizione, alla proiezione in sala avrebbe ridotto i loro incassi al lumicino; e che la concorrenza dello streaming avrebbe strappato spettatori alle sale, costringendole a chiudere.

Le sale cinematografiche dopo Netflix, secondo gli esercenti.
Di fronte a queste lamentele, non c'è che una risposta possibile (ironicamente, non è quella adottata dalle sale): affidarsi ai dati. In questo senso ci viene in soccorso the International Union of Cinemas (UNIC), l'associazione degli operatori cinematografici in Europa, che ogni anno pubblica i dati sull'andamento del botteghino in Europa, comprensivi di incassi e biglietti staccati (potete trovare il report completo qui). Cosa ci dicono questi dati? Ci dono che dal 2014-2015, biennio che segna l'ingresso di Netflix nella maggioranza dei paesi europei, i biglietti staccati in Europa sono aumentati ogni anno, fino al record registrato quest'anno di 1 miliardo e 340 milioni di biglietti.

Fonte: UNIC Report 2019
Insomma, una bella botta per coloro che demonizzano lo streaming: non solo lo streaming non ha diminuito gli avventori delle sale, ma questi sono addirittura aumentati. Qui si impone un caveat da puntiglioso statistico: correlazione non significa causalità. Lungi da chi scrive sostenere che Netflix (e altri servizi simili) sia la causa di questo boom dei biglietti staccati: anche se ci sono buone ragioni di crederlo *, questi dati, da soli, non bastano a sostenerlo. Tuttavia, questi dati sono sufficienti per sconfessare la tesi opposta: lo streaming non sta uccidendo il cinema. Le ragioni sono molteplici, ma la più semplice risiede nel fatto che i consumatori non vedono cinema e streaming come prodotti concorrenti, ma complementari: un recente studio dell' EY’s Quantitative Economics and Statistics group suggerisce infatti che chi consuma più contenuti in streaming va anche al cinema più spesso (qui il report completo).

La situazione in Italia

Qualcuno potrebbe obiettare: e l'Italia? Esiste infatti la possibilità che i dati italiani siano diversi da quelli europei. Ancora una volta ci viene in aiuto UNIC, che nel suo report recita (traduzione di chi scrive): "ci si aspetta che i biglietti venduti in Italia superino i 100 milioni di unità, mentre gli incassi da botteghino sono cresciuti di un impressionante 14.4%." I dati dettagliati corroborano quanto scritto, evidenziando una crescita di botteghino e incassi intorno, appunto, al 14% rispetto al 2018.

Se questi dati non vi bastassero, nel suo report 2019 Cinetel, il principale strumento di rilevazione dell'andamento cinematografico in Italia, evidenzia lo stesso trend positivo: dal 2014 (ultimo anno "senza Netflix") a oggi, incassi e presenze  sono cresciuti rispettivamente del 10.6% e del 6.8%.

Un trend ancora più interessante è quello del numero di schermi cinematografici presenti in Italia, un ottimo indicatore dell'attività del settore: se nessuno andasse più al cinema, dovremmo assistere alla morte delle sale, soprattutto quelle di piccole dimensioni. Mettendo insieme i dati riportati sui report Cinetel, il trend che emerge è esattamente opposto: dopo un decennio (2000-2010) di cali nel numero di schermi e di "morte" di molte sale storiche, dal 2014 a oggi il numero complessivo di sale è sempre cresciuto (dell'8.6% complessivo), trainato soprattutto dalla nascita di nuovi monosala (cresciuti del 26%).

Fonte: elaborazione propria su dati Cinetel
Molto rumore per nulla?

L'avversione verso un'analisi metodica dei dati è uno dei grandi problemi del nostro Paese. I numeri non ci piacciono, e preferiamo affidarci alle sensazioni, al sentito dire, e al lamento, un'arte tutta italiana. Non stupisce, dunque, che anche la "crociata anti-Netflix" non sia fondata su numeri reali, ma semplicemente sulla pervicace difesa di rendite di posizione e, soprattutto, sulla paura del nuovo e del diverso.

Netflix e i servizi di streaming impongono una rivistazione profonda degli attuali modelli di impresa adottati dalle sale italiane? Assolutamente sì. Questo significa la morte delle sale? Assolutamente no. I dati dimostrano che la sala è viva e in buona salute, e la crescita dei monosala suggerisce che nuovi modelli di servizio siano possibili: non è un caso, ad esempio, che molti dei nuovi monosala nelle grandi città siano nati sul modello di alcuni cinema molto diffusi nel mondo anglosassone, che propongono non solo le nuove uscite più attese, ma anche retrospettive, esperienze, eventi, e film più di nicchia che non trovano spazi nei canali ufficiali.

Sarebbe auspicabile, dunque, che gli sforzi sottesi finora dagli esercenti per battagliare contro il mulino a vento dello streaming fossero diretti verso attività più proficue, tese a sfruttare le sinergie con i nuovi operatori e a trovare nuovi modi di attirare spettatori, anziché trincerarsi sulle proprie posizioni sulla base di preconcetti.

Succederà? Ne dubitiamo. Ma, come disse Rossella O'Hara (recentemente riportata in sala da alcuni dei cinema "illuminati" di cui sopra), "Domani è un altro giorno", e forse qualcosa cambierà.

Pier

*: Molti addetti ai lavori e ricercatori sostengono che i servizi streaming "allargano la domanda", raggiungendo persone che prima non andavano al cinema e - potenzialmente - aumentando il loro desiderio per prodotti audiovisivi, spingendoli quindi ad andare al cinema di più di quanto facessero prima dell'avvento dello streaming. I dati di EY riportati sopra sembrerebbero supportare questa tesi, ma anche questi dati sono semplici correlazioni, e non bastano per determinare un nesso di causalità.

sabato 8 febbraio 2020

Oscar 2020 - I pronostici

Questa notte, come ogni anno, gli occhi del mondo cinematografico si sposteranno sul Dolby Theatre di Los Angeles per la cerimonia di premiazione della novantaduesima edizione degli Academy Awards. 

Se lo scorso anno aveva segnato un trionfo assoluto per la Mostra Cinematografica di Venezia, presente con ben 39 nomination tra concorso e fuori concorso contro le 13 di Cannes, quest'anno la situazione sembra essersi equilibrata, grazie all'inaspettato (e meritato) successo di Parasite: 18 nomination a testa per i due maggiori festival europei.

Come ogni anno, Filmora vi propone i suoi pronostici, accompagnati dalle scelte personali della Redazione (ovvero, le mie): sarà questo l'anno in cui l'Academy si deciderà ad ascolarmi? Ne dubito, ma sperare non costa nulla. 

Pronti? Iniziamo!



Miglior montaggio
Quando un film con un montatore qualunque incontra un film montato da Thelma Shoonmaker, il film con il montatore qualunque è un film morto. Leggenda vivente, collaboratrice storica di Scorsese, la Shoonmaker ha sfoderato l'ennesimo capolavoro della sua arte, la scrittura per immagini, con The IrishmanSembra lei la chiara favorita, con Yang Jinmo per Parasite come possibile sorpresa. Su di lei ricade anche la mia scelta personale, con il sottovalutatissimo lavoro di Jeff Groth su Joker come secondo classificato. 

Pronostico: Thelma Schoonmaker, The Irishman

Scelta personale: Thelma Schoonmaker, The Irishman


Miglior fotografia
Un anno ipercompetitivo, con tutti i candidati che hanno ottime ragioni per reclamare la statuetta. Tuttavia, sembra impossibile che non vinca Roger Deakins, uno dei più grandi direttori della fotografia in attività, recordman di nomination per la categoria ma con una sola vittoria (per Blade Runner 2049). Il suo lavoro su 1917 è magistrale, ed è di fatto l'unica anima di un racconto che vive e muore con le sue immagini. Su di lui ricade anche la mia scelta personale, anche se sia Jarin Blaschke (The Lighthouse) che Robert Richardson (C'era una volta a Hollywood) hanno conquistato il mio cuore.

Pronostico: Roger Deakins, 1917
Scelta personale: Roger Deakins, 1917


Miglior film d'animazione
Da grande fan della Pixar, faccio fatica a non indicare Toy Story 4 come mio film preferito: un colpo al cuore quando nessuno se lo aspettava, l'ennesimo capitolo di risate e commozione regalato dalla casa della Lampada. Tuttavia, nonostante veda Toy Story 4 come il favorito, quest'anno la mia preferenza cade su Klaus (produzione Netflix)una splendida favola, una storia di amicizia, ma soprattutto un film che sperimenta nuove tecniche di animazione, aprendo nuove possibilità per il futuro di un mezzo in continua evoluzione.

PronosticoToy Story 4
Scelta personale: Klaus


Miglior attore non protagonista
Se ci fosse giustizia, dovrebbe vincere Joe Pesci: la sua interpretazione in The Irishman è clamorosa per intensità e profondità, ed è l'esatto opposto dei personaggi sopra le righe che ha sempre interpretato in carriera. Tuttavia, il destino di questa categoria è già scritto: sarà Brad Pitt, splendido (in tutti sensi) interprete di C'era una volta a Hollywoodad aggiudicarsi la statuetta. E Pitt lo merita, sia per l'interpretazione in sé, sia come giusto risarcimento per una carriera troppo spesso sottovalutata, vittima della sua bellezza come già Paul Newman e Robert Redford prima di lui.

Pronostico: Brad Pitt, C'era una volta a Hollywood

Scelta personale: Joe Pesci, The Irishman


Miglior attrice non protagonista
La favorita è senza ombra di dubbio Laura Dern, esilarante avvocatessa senza scrupoli in Storia di un matrimonioTuttavia, la mia preferenza personale va alla sua "assistita" nel medesimo film, Scarlett Johansson, per la sua sorprendente prova in JoJo Rabbit, dove interpreta un ruolo caleidoscopico per emozioni e sfaccettature.

Pronostico: Laura Dern, Storia di un matrimonio
Scelta personale: Scarlett Johansson, JoJo Rabbit


Le due contendenti in Storia di un matrimonio
Miglior sceneggiatura originale
Qui il favorito sembra, eccezionalmente, Parasite: raramente un film straniero si aggiudica il premio per la sceneggiatura, ma la vittoria ai Writers Guild Awards lo impone come favorito di categoria. Knives Out sarebbe una bellissima ma improbabile sorpresa, e Tarantino non è mai da sottovalutare, ma Bong Joon Ho e Han Jin Won dovrebbero aggiudicarsi la statuetta. Su di loro ricade anche la mia preferenza personale.

Pronostico: Parasite
Scelta personale: Parasite


Miglior sceneggiatura non originale
Greta Gerwig sembra la netta favorita con Piccole donnegrazie alla sua reinvenzione e rilettura di un classico che non sembrava aver più nulla da dire. Nonostante abbia molto apprezzato il lavoro della Gerwig, la mia scelta personale ricade forse su JoJo Rabbit, che mi ha toccato maggiormente il cuore.

Pronostico: Piccole donne
Scelta personale: JoJo Rabbit


Miglior attrice protagonista
Renée Zellweger che si aggiudicherà la statuetta per la sua interpretazione di Judy Garland. Ammetto di essere prevenuto contro la Zellweger, attrice che detesto e che mi provoca un'irritazione quasi fisica, al punto che mi sono rifiutato di vedere Judy. La mia scelta personale non può quindi ricadere su di lei, e va quindi (ancora una volta) a Scarlett Johansson, anche perché sarebbe scandaloso rimanesse a mani vuote dopo due interpretazioni come quelle offerte in  JoJo Rabbit e Storia di un matrimonio.

Pronostico: Renée Zellweger, Judy
Scelta personale: Scarlett Johansson, Storia di un matrimonio


Miglior attore protagonista
Un solo nome: Joaquin Phoenix. Non solo la sua interpretazione in Joker è trascendente, dionisiaca, ipnotica, ma Phoenix merita questo riconoscimento da anni, dato che parliamo di uno degli attori più brillanti ed eclettici della sua generazione. Adam Driver è l'unico che potrebbe impensierirlo, ma è davvero un'ipotesi molto, molto, molto remota. Se non si fosse capito, Phoenix si aggiudica anche la mia preferenza personale.
Pronostico: Joaquin Phoenix, Joker
Scelta personale: Joaquin Phoenix, Joker


"Ah, ho vinto?"
Miglior regia
Sembra incredibile, ma pare che anche quest'anno Quentin Tarantino riuscirà a non vincere la statuetta come miglior regista. Piaccia o non piaccia, Tarantino è uno dei cineasti più originali e influenti degli ultimi 30 anni, eppure l'Academy continua pervicacemente a ignorarlo, nonostante con C'era una volta a Hollywood abbia firmato il suo film forse più personale e autoriale. Come se non bastasse, sembra che l'Academy non lo snobberà per un mostro sacro come Scorsese (che dovrebbe vincere ogni premio sulla faccia della Terra, ma non vincerà perché non ne ha bisogno) o per la grande sorpresa di Parasitema per quel capolavoro di tecnica e di vacuità narrativa che è 1917. Il lavoro di Mendes è senza dubbio strabiliante a livello visivo, ma viene da chiedersi quanto ci sia del regista una volta tolti gli effetti speciali e la fotografia di Deakins. Tarantino, snobbato dall'Academy, dovrà accontentarsi della mia preferenza personale.

Pronostico: Sam Mendes, 1917
Scelta personale: Quentin Tarantino, C'era una volta a Hollywood


Miglior film
Se la vittoria di 1917 per la miglior regia ci può stare, quella per miglior film lascerebbe perplessi vista la concorrenza. Il suo avversario principale sembra essere Parasitesenza dubbio molto più meritevole, ma un film straniero non ha mai vinto l'Oscar per il miglior film in novant'anni di storia dell'Academy. Potrebbe essere la volta buona? In un momento di insensato ottimismo, dico di sì, e indico Parasite come favorito. La mia scelta personale, dopo lunga esitazione, ricade su The Irishman, con JokerParasite e Tarantino appena dietro.

Pronostico: Parasite
Scelta personale: The Irishman


Questo è tutto. Cosa aspettate? Correte in sala scommesse!

Pier

Piccole donne

L'arte è vita, la vita è arte


Jo March ambisce a diventare una scrittrice, ma per ora si deve accontentare di scrivere romanzi rosa e scandalistici. Quando un'emergenza la richiama a casa, scopriamo a poco a poco il suo indissolubile legame con la famiglia: le sorelle Meg, Amy, e Beth, la madre, il vicino di causa Laurie. La loro storia è indissolubile da quella di Jo, ed è destinata a divenire anche parte fondante della sua arte.

Dopo l'ottimo esordio di Lady Bird, Greta Gerwig decide di alzare il tiro, cimentandosi con uno dei grandi classici della letteratura per l'infanzia, rileggendolo e trasformandolo in una riflessione sul ruolo della donna nella società, sull'atto creativo, e sull'intersezione tra questi temi. Le ambizioni e il desiderio di emancipazione di Lady Bird si ritrovano nell'iconico personaggio di Jo March - la Gerwig non a caso decide di affidare il personaggio alla stessa attrice, Saoirse Ronan - la cui storia personale diviene finzione ma anche riflessione sul processo artistico, sia del personaggio, sia di Louisa McAlcott, la cui biografia si fonde con la storia di Jo, sia della regista stessa.

La sceneggiatura è il punto forte del film: costruita dalla Gerwig con certosina attenzione, alternando passato e presente e sconvolgendo la struttura lineare del romanzo, rende i confini tra reale e narrato sempre più indistiguibili, fino a farli diventare inestricabili l'uno dall'altro. La gioia, anzi, la volontà di vivere appieno la propria vita, anche di fronte all'avversità, emerge con forza in numerose scene, che brillano per energia e vitalità. La visione della Gerwig, tuttavia, non riesce a eliminare la patina un po' da feuilleton/sceneggiato in costume della BBC: l'ambientazione d'epoca non aiuta, e la scelta di smussare i toni più duri di alcuni personaggi (Marmee March su tutte, troppo dolce e hippie) e di puntare forte sul sentimento fraterno, soprattutto nella prima parte, fa sì che alcuni passaggi risultino un po' troppo zuccherosi, inficiando in parte anche la forza del messaggio.

La regia, per quanto scolastica, sorregge la geniale ambiguità della sceneggiatura con dei cambi di palette di colore - caldi per il passato narrato, freddi per il presente - innescando così un'alternanza che funziona ottimamente fino al finale, quando invece la fotografia fa sì che l'ambiguità diventi confusione, e la riflessione della regista sul sottile confine tra vita e arte non colpisca quindi quanto potrebbe.

Il cast offre un'ottima prova corale, anche se alcune scelte destano perplessità nei conoscitori del romanzo: se Florence Pugh offre una Amy diversa ma proprio per questo più profonda e interessante di quella originale, la Jo di Saoirse Ronan manca della complessità emotiva del suo equivalente cartaceo, e sembra eternamente in balia delle sue passioni anziché esserne padrona. I personaggi più fuori parte, tuttavia, sono senza dubbio i genitori, tra una Laura Dern inspiegabilmente smielata e un Bob Odenkirk che, forse a causa della sua forte identificazione con il Saul della omonima serie TV, non è davvero credibile nella parte del mite e onesto padre di famiglia.

Piccole donne è un film ambizioso, più coraggioso di Lady Bird, rispetto al quale mostra una notevole maturazione artistica; tuttavia, questa ambizione fa sì che, a tratti, il film manchi il suo bersaglio, perdendosi nel suo stesso impianto narrativo e, soprattutto, in inutili sequenze zuccherine, laddove Lady Bird, pur volando più basso, lo coglieva appieno.
Rimane comunque un film importante, che guarda alla storia della letteratura per riflettere sull'arte femminile nella realtà di oggi, concludendo con amarezza dissimulata che, in fondo, non è cambiato troppo: le difficoltà di Jo sono le stesse affrontate oggi dalle donne che vogliono intraprendere una carriera artistica, che anzi per assurdo si trovano ad affrontare un sistema editoriale ancor meno disposto a dare voce alle esordienti. La Gerwig è Jo, Jo è la Gerwig, e ambedue sono il personaggio del romanzo scritto da Jo, del film scritto da Greta Gerwig: l'arte e la vita si fondono, e si fanno atto di speranza, di liberazione, di emancipazione.

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Pier