Il sogno dell'attenzione genera mostri
Il film racconta l’ascesa dei poteri totalitari del XX secolo attraverso l’infanzia di un bambino statunitense, trasferitosi in Francia al seguito del padre, assistente personale di Wilson durante i trattati di Versailles. Attraverso diversi quadri narrativi vediamo gli eventi che porteranno il ragazzo a diventare un leader totalitario.
A distanza di due anni, esce finalmente in Italia The childhood of a leader, uno dei migliori film dell'edizione 72 della Mostra del Cinema di Venezia, in cui si aggiudicò la miglior regia della sezione Orizzonti e il premio per la miglior opera prima.
Che infanzia ha avuto Hitler? Cosa trasforma un bambino nel potenziale leader di un regime sanguinario?
Brady Corbet, guidato da questa domanda, realizza un film ambizioso e diverso, che attinge a piene mani da molti mostri sacri del cinema (Welles, Bresson e Dreyer su tutti) a livello visivo e tematico, rielaborando temi e stili per analizzare l’infanzia di un leader totalitario. Il risultato è un’opera magniloquente, fortemente imperfetta ma stordente nella sua capacità di suscitare sensazioni, emozioni, nel suo sfidare lo spettatore alla comprensione pur mantenendosi all’interno di una cornice narrativa, nel suo essere quotidiano ed epico allo stesso tempo.
Corbet, pur essendo all’esordio in un lungometraggio, dirige con mano sicura e realizza un film crepuscolare, un viaggio nel sonno della ragione (o, meglio, dell’attenzione e degli affetti) che genera quei mostri totalitari che hanno infestato la storia e gli incubi del Novecento. Con una splendida fotografia caratterizzata da poca luce e pochissimi esterni, Corbet punta l’accento sulle ombre, sul non visto e sulle sue conseguenze, sull’importanza e l’infinto impatto di ciò che ignoriamo e decidiamo di ignorare, oggi un figlio indisciplinato, domani una potenziale minaccia, con conseguenze potenzialmente devastanti.
Il film ha un afflato da Romanticismo, una potenza visiva e sonora (spettacolare la colonna sonora di Scott Walker) da sturm und drang, con l’epicità da tragedia classica tipica di certi film di Luchino Visconti, in cui il destino sembra ineluttabile, il peccato è sempre dietro l’angolo, e gli uomini sembrano ciechi alla causa delle proprie disgrazie. La narrazione procede in modo ellittico, lasciando che sia lo spettatore a riempire i “buchi” e a capire cosa spinga il giovane protagonista alla ribellione, al rifiuto dei genitori e dei valori che rappresentano e, infine, alla guida di un regime totalitario. Come i regimi del Novecento nascono dal rifiuto dei valori stabiliti dal trattato di Versailles, sempre sullo sfondo nella vicenda narrata, così la disobbedienza del giovane Prescott, demonio dalla faccia d’angelo, nasce dal rifiuto per dei genitori assenti, autoritari, infedeli, che lo portano probabilmente a una precoce scoperta della sessualità e del suo potere di annichilire chi si mette sulla sua strada, del suo diritto di autoaffermazione, a qualunque costo.
Corbet si avvale di un cast eccellente, in cui il Robert Pattinson strombazzato sulle cartelle stampa per ragioni di marketing svolge solo un ruolo marginale (per quanto fondamentale per capire alcuni aspetti nella storia, soprattutto nell’ambiguo e stimolante finale), e brillano una Bérénice Bejo madre altera e terribile e il giovane Tom Sweet, adorabile, inquietante, indisponente, una vera rivelazione e una miniera di emozioni e suggestioni.
The childhood of a leader è un film ridondante ma potente, imperfetto ma evocativo, citazionista ma innovativo, che risveglia emozioni forte nello spettatore e lo costringe a fare qualcosa cui il cinema contemporaneo sembra aver rinunciato: riflettere.
**** 1/2
Pier
NdR: recensione originalmente pubblicata su nonsolocinema.com
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