sabato 26 novembre 2022

Bones and All

Love will tear us apart


USA, anni Ottanta. Maren, in piena adolescenza, scopre di avere istinti cannibalistici, e di averli ereditati da sua madre. Abbandonata improvvisamente dal padre, stanco di spendere la sua vita a nascondere i danni della ragazza, Maren si ritrova sola, in fuga per l'America. Battendo strade secondarie scopre però che ci sono altri come lei, incapaci di resistere al richiamo della carne umana. 

Cosa significa essere "diversi"? Negli USA, ma in generale nel mondo, la diversità porta spesso con sé uno stigma sociale, la sensazione di essere ai margini della società anziché parte di essa. Come nella tradizione del grande cinema horror, il cannibalismo dei protagonisti diviene una metafora di ogni tipo di diversità. I riferimenti alla tossicodipendenza e all'epidemia di AIDS degli anni Ottanta  sono evidenti, anche per via dell'ambientazione temporale sotto la presidenza Reagan, ma la metafora è abbastanza elastica da prestarsi a ogni tipo di lettura, esattamente come altri grandi tropoi dell'horror come il vampirismo. L'emarginazione è sì sociale, ma anche generazionale ed esistenziale: impossibile non vedere nel risveglio degli istinti di Maren anche un riferimento al risveglio sessuale, grande tabù in una società come gli USA dove le radici cristiano-puritane sono ancora fortissime e spesso generano orrori sociali. 

Qualunque sia la causa, l'emarginazione si traduce in invisibilità, nel vivere negli interstizi della società. Si può essere diversi solo lontani dagli sguardi altrui, adeguatamente rimossi dalla coscienza collettiva. La storia di Maren e Lee si svolge in un'America rurale, periferica, lontana dalle strade più battute, che ricorda quella di Nomadland o di Easy Rider, altri film che avevano nell'emarginazione del "diverso" uno dei temi portanti.

Guadagnino racconta la sua storia in punta di piedi, rinunciando ai virtuosismi dei suoi primi film e tenendosi quasi in disparte, con una regia che punta a esaltare il lavoro degli attori senza rinunciare alla bellezza delle immagini. Sono i due protagonisti, dunque, a raccontare sentimenti, incertezze, scheletri nell'armadio (letterali e non). La macchina da presa indaga i loro volti, i loro viaggi on the road nel cuore dell'America, con il paesaggio che diventa un terzo protagonista, panorami meravigliosi che nascondono un cuore nero che fa di tutto per trasformare Maren e Lee in ciò che il mondo pensa che siano: dei mostri. Ma se il mondo si chiede cosa sono, Maren e Lee sono determinati a capire chi sono, in un riappropriamento della propria identità che si manifesta con prorompente energia, in una progressiva ma catartica liberazione dalla gabbia oscura e invisibile in cui li hanno rinchiusi genitori e società per scrivere il proprio futuro.

Taylor Russell è una bellissima scoperta, e si porta il film sulle spalle. Timothée Chalamet si conferma attore di rara sensibilità e profondità emotiva, confermando quelle doti già dimostrate nel film di Guadagnino che ha lanciato la sua carriera, Chiamami col tuo nome, e in particolare nella splendida scena conclusiva. Accanto a loro, brilla il personaggio di Mark Rylance, perfetto nel bilanciare la capacità di essere inquietante con la fragilità derivante da una vita in solitaria.

È facile farsi ingannare da Bones and All, fermarsi alla superficie dell'horror e del granguignolesco e trattarlo come un "banale" film di genere. Bones and All, tuttavia, fa quello che solo i grandi film di genere sanno fare: utilizzare gli stilemi della sua categoria per raccontare una storia stratificata e complessa, riuscendo e tenere insieme profondità tematica e capacità di intrattenere. Il risultato è un film all'apparenza semplice ma di grande complessità emotiva, che mette a nudo le sue ossa, la sua carne, e il suo cuore.

**** 1/2

Pier

venerdì 18 novembre 2022

War - La Guerra Desiderata

Preveggenza e confusione


Thomas è un allevatore e commerciante di vongole, lavoro che ha ereditato dal fratello maggiore, ora in coma; Lea è la figlia del viceministro della difesa, pacifista convinta e decisa a farsi strada senza aiutini. Quando un omicidio accidentale finisce per scatenare una guerra tra Spagna e Italia, i loro destini si troveranno intrecciati, mentre ambedue cercano di sopravvivere in un paese che abbraccia il conflitto con fin troppa leggerezza, quasi con gioia.

Non si può negare che Gianni Zanasi abbia dimostrato una certa preveggenza: la scrittura di War - La guerra desiderata è infatti terminata tre anni prima dell'invasione russa dell'Ucraina, e tuttavia sembra anticiparne moltissime caratteristiche, dai futili motivi alla disinformazione, passando per un'escalation difficile da controllare  appieno. 

Basta, tuttavia, per fare un buon film? La risposta, purtroppo, è no. La grande stima che chi scrive nutre per Gianni Zanasi (il suo Non pensarci è uno dei film italiani più interessanti degli ultimi vent'anni) ha reso solo più amaro lo stupore nel trovarsi di fronte a un film incoerente e sfilacciato. In War i momenti cinematograficamente riusciti non mancano - dalla preparazione della sgangherata milizia di volontari al confronto finale tra padre e figlia, dove Zanasi si permette addirittura di citare una scena iconica del cinema di guerra e lo fa in modo più che efficace, strappando un ammirato sorriso allo spettatore. Quello che manca è però la storia, un filo conduttore che tenga insieme queste scene, che risultano quindi fini a se stesse, del tutto scollegate l'una dall'altra, e quindi incapaci di veicolare un qualsivoglia messaggio o emozione. War è un insieme di ingredienti cui manca la ricetta, dei colori lasciati sulla tavolozza anziché essere combinati in un dipinto.

Il film procede a balzi, sia logici che temporali - balzi che, oltre a rendere più farraginosa la narrazione, rendono di fatto impossibile affezionarsi ai personaggi. Non vediamo mai i personaggi riflettere, rimuginare, cambiare: li vediamo solo agire, senza un vero perché. Sembrano trascinati non tanto dagli eventi, come pure la situazione potrebbe richiedere, quanto dalle esigenze della sceneggiatura: non agiscono spinti da ciò che accade o da ciò che desiderano fare, ma dalla necessità che compiano quell'azione perché la storia possa spostarsi alla scena successiva, come in un videogioco scadente degli anni Novanta.

Questa confusione sembra contagiare anche il cast tecnico e attoriale. La fotografia, a eccezione della scena citazionista menzionata sopra, è sufficiente e nulla più, le musiche e il montaggio assolutamente dimenticabili, e contribuiscono alla generale mancanza di ritmo. Edoardo Leo e Miriam Leone portano a casa la pagnotta, ma ci hanno abituato a prove ben migliori, e gli attori intorno a loro brillano per mediocrità, fatta eccezione per un monumentale Giuseppe Battiston, protagonista dell'unica scena davvero emozionante del film, e di un riuscito cameo di Massimo Popolizio. 

War - La guerra desiderata è un film che spreca una premessa potenzialmente geniale per raccontare una storia senza né capo né coda, limitandosi a inanellare qualche momento ben riuscito anziché realizzare un'efficace satira della natura umana, e del popolo italiano in particolare. Un passo falso inaspettato per Zanasi, e un'occasione sprecata per raccontare una storia attuale e universale.

**

Pier

venerdì 4 novembre 2022

La Stranezza

Un autore in cerca di personaggi


Girgenti, 1920. Nofrio e Bastiano, i becchini del paese, hanno la passione per il teatro. Quando in paese arriva Luigi Pirandello, in Sicilia per il compleanno dell'amico Giovanni Verga, i due incroceranno la sua strada, e si ritroveranno il grande autore come improbabile spettatore della loro tragicommedia "La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu". Quello che non sanno è che Pirandello è in crisi personale e creativa: ma, forse, sarà proprio il loro strambalato spettacolo a sbloccarlo.

Cosa significa creare? Dove si trova l'ispirazione? Domande che attanagliano studiosi e filosofi da secoli, e che Roberto Andò, nel suo nuovo film, rivolge metaforicamente a uno dei grandi artisti del Novecento: Luigi Pirandello. In crisi creativa, Pirandello torna alle sue radici e riscopre la sua vena grazie a due teatranti dilettanti. Nofrio e Bastiano sono l'opposto di ciò che è il teatro pirandelliano, ma le loro vicende brillano di vitalità e naturalezza, e il loro rapporto con il pubblico è attivo, reale, quello di una comunità che attraverso il teatro riflette su se stessa e che nel teatro vede riflessa la sua vita, le sue ossessioni, i suoi segreti, le sue meschinerie. In quella commistione tra teatro e vita Pirandello ritrova se stesso, in un percorso di autoanalisi non assolutorio, in cui si mette "sotto processo" dei suoi personaggi e si trova costretto, suo malgrado, a riflettere su chi è stato e chi vuole essere.

La stranezza è, in fondo, un film di fantasmi: personaggi, invenzioni e sogni si aggirano nel mondo reale. Sono a tal punto parte del reale da essere quasi impossibili da distinguere. Sei personaggi in cerca d'autore è un'ossessione per Pirandello, un incubo che infesta le sue notti e lo costringe a fantasticherie a occhi aperti cui non riesce a dare un senso. Il grande autore è perso, confuso, intrappolato in un labirinto fantasmatico di cui intravede ma non riesce a raggiungere l'uscita. 
La solidità del fantastico non significa che la realtà sia in secondo piano. Nel mondo di Girgenti, in cui Pirandello si ritrova catapultato, la realtà è concreta, solida, centrale, al punto di diventare il motore del racconto e del processo creativo pirandelliano. In un ribaltamento della poetica dell'Antonio Capuano di Sorrentino, la realtà risulta più ricca, vitale e feconda della fantasia: ricca di sentimenti, di relazioni, di storie. I protagonisti incarnano perfettamente questa compenetrazione tra reale e sognato: alla presenza silenziosa del grande autore, quasi un fantasma che si aggira per il palcoscenico, fa da contraltare l'esuberanza di Nofrio e Bastiano, becchini con aspirazioni artistiche e una vita travolgente nella sua ordinaria semplicità.

Andò cuce con abilità sacro e profano, cultura alta e cultura bassa, servendosi anche di elementi meta-narrativi, in linea con la poetica del suo illustre protagonista: Toni Servillo, maestro del grande teatro italiano, incontra Ficarra e Picone, maestri dell'avanspettacolo. I due riversano in Nofrio e Bastiano una comicità dolente degna dei grandi della nostra commedia, offrendo una prova strepitosa per sensibilità, empatia e stratificazione. 

La sceneggiatura convince, rimanendo sempre in bilico tra sogno e reale e offrendo alcuni colpi di scena che, anche se intuibili da uno spettatore più smaliziato, risultano comunque efficaci per l'impatto che hanno sui personaggi e sulla lettura dell'intera vicenda. Alcuni passaggi sono forse troppo affrettati (la seduta con i personaggi meriterebbe forse più spazio, così come il rapporto tra Pirandello e la moglie), e in generale rimane la sensazione che con un po' più di folle coraggio il film avrebbe forse suscitato reazioni più divisive, ma avrebbe avuto un impatto più forte e duraturo - esattamente come il testo teatrale di cui racconta la genesi. Rimane tuttavia un ottimo film, in grado di bilanciare riflessione e intrattenimento e di avvicinare il pubblico a un genio della letteratura e al suo teatro, così rivoluzionario eppure così attuale, fatto di un impasto di sangue, sudore, e sogno.

****

Pier