giovedì 22 aprile 2021

Nomadland

No direction home 


Empire, stato del Nevada. Alla morte del marito, Bo decide di lasciare la casa dove hanno sempre vissuto, in una cittadina industriale del Nevada diventata una città semi-fantasma dopo la chiusura della fabbrica che dava lavoro alla grande maggioranza dei locali. Si trasferisce a vivere in un van, che trasforma in una casa con la C maiuscola, e comincia a spostarsi per le strade d'America, entrando a far parte di una comunità di persone come lei: i nomadi della strada. 

Quando pensiamo ai nomadi, il primo pensiero corre sempre a culture "altre", nello spazio o nel tempo, lontane dai canoni di sedentarietà della civiltà occidentale contemporanea. Tuttavia, i nomadi sono parte fondante, il cuore pulsante ma invisibile del paese che ha egemonizzato la cultura occidentale degli ultimi settant'anni, gli Stati Uniti. Nella pancia degli States c'è una vibrante comunità di invisibili, con i suoi riti, le sue tradizioni, in perenne movimento verso un futuro che non arriverà mai ma che è comunque più attraente di un passato fatto di rinunce, fallimenti e solitudine. 

Chloé Zhao si immerge in questa comunità e la racconta con uno sguardo documentaristico ma lirico, distante ma partecipe, che racconta la storia dei nomadi attraverso sguardi, paesaggi, e silenzi, muovendosi con elegenza tra il road movie e il cinema di Ken Loach, di cui non ha gli elementi di critica sociale ma lo sguardo affettuoso verso la solidarietà tra diseredati, i legami indissolubili che possono nascere da un breve incontro, da una parola gentile, da un aiuto disinteressato. 

Citare altri registi non rende però giustizia all'originalità dello sguardo della Zhao, uno sguardo unico, ricco, vitale, che trova il bello in ogni cosa ma non rifugge da raccontare la quotidianità anche nei suoi momenti più triviali - uno sguardo che sceglie di raccontare per immagini, suoni, sensazioni più che attraverso le parole, riscoprendo una lezione dimenticata su cosa sia davvero il cinema, in un'epoca in cui la parola sembra aver preso il sopravvento sull'elemento visivo che invece costituisce il cuore e l'anima della settimana arte. Laddove altri film raccontano la materia, Nomadland racconta l'anima: l'anima dei suoi personaggi, l'anima (perduta) di un paese. 

La crisi economica e il fallimento del sistema capitalista, del sogno americano sono i coprotagonisti del film, ma la Zhao decide di lasciarli sullo sfondo, spettri che incombono sui protagonisti, animali notturni da cui i nomadi si difendono come le tribù di una volta: stringendosi insieme intorno a un fuoco e raccontando storie. La Zhao sceglie di indugiare su ciò che i nomadi hanno guadagnato scegliendo questa vita più che su ciò che hanno perso, sui legami di una comunità sui generis, ma presente, che si sostituiscono alle regole di una società strutturata ma assente. Questa scelta non solo avvicina lo spettatore al loro mondo, ma amplifica la portata emotiva delle scene in cui il passato riemerge, come un fiume carsico che travolge personaggi e spettatori. 
La scelta di circondare Frances McDormand, sempre magnifica, di veri nomadi incontrati sulla strada è vincente e dona al film un afflato neorealista che ne rafforza l'impatto emotivo e sociale. 

Nomadland è un film che colpisce dritto al cuore senza bisogno di scene madri o grandi conflitti interiori o sociali. È un film che racconta la miseria in modo onesto, sincero, adottando lo sguardo dei suoi personaggi anziché ergersi a giudice e dispensatore di pietà. Nomadland racconta e ritrae, laddove altri avrebbero giudicato o fatto un trattatello morale: è quello che il grande cinema dovrebbe fare. 
E non fatevi ingannare dalla sua apparente semplicità: Nomadland è grande, grandissimo cinema. 

**** 1/2 

Pier

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