sabato 30 dicembre 2023

Wonka

Una cioccolata calda


Il giovane Willy Wonka arriva in città con il sogno di aprire un negozio dove vendere le sue geniali creazioni a base di cioccolato. Tuttavia, i tre cioccolatai già presenti in città non vedono di buon occhio la sua concorrenza, e fanno di tutto per liberarsi di lui. Inoltre, la locanda presso cui finisce per alloggiare si rivela tutt'altro che rispettabile.

C'è un aggettivo inglese che non ha un'esatta corrispondenza in italiano, ma che è perfetto per descrivere Wonka: heart-warming, "scalda-cuore." Wonka è infatti un film che scalda il cuore, un perfetto musical natalizio in grado di far sognare, sperare, ridere e, perché no, commuoversi; un film in cui i cattivi sono cattivissimi e i buoni sono buoni, e in cui l'ostacolo principale è un mondo cinico che non solo non accetta i sognatori, ma li ostacola attivamente. Paul King può ormai essere considerato il maestro di questo genere di film, dato che ha realizzato Paddington e il suo sequel Paddington 2: due film che non solo sono perfetti rappresentanti del concetto di "scalda-cuore", ma hanno ottenuto un clamoroso successo di critica, oltre che di pubblico.

Wonka riprende ottimamente molti dei fattori di successo di Paddington, calandoli nella realtà a metà tra il dickensiano e lo steampunk del libro di Roal Dahl, in cui tutte le cose belle e desiderabili nascondono insospettabili lati oscuri. Ritroviamo quindi un protagonista sognatore e dal cuore d'oro, talmente naïf da terminare tutti i pochi soldi a sua disposizione non appena messo piede nella grande città (un misto tra il centro di Parigi durante la Belle Époque e i bassifondi di Londra durante l'età vittoriana); dei compagni che inizialmente sono increduli di fronte alle gesta del folle, adorabile protagonista, ma poi iniziano ad apprezzarlo; e Hugh Grant in un ruolo molto lontano da quelli cui ci ha abituato (se non avete visto il trailer, fatevi un favore: andate in sala senza sapere nulla e godetevi la sorpresa).

Narrativamente, il film ha un'idea geniale nel presentarci un Wonka molto diverso da quello che farà la sua comparsa ne La Fabbrica di Cioccolato: è già un geniale inventore (di macchinari, oltre che di ricette) e ha già uno straordinario carisma, ma gli mancano ancora quel cinismo e quell'oscurità che esibirà nella sua versione adulta. È un giovane entusiasta, non ancora indurito dal cinismo e dalla crudeltà del mondo, ancora fiducioso circa la possibilità di redimersi ed elevarsi dell'umanità. Come origin story, Wonka funziona meglio dei flashback presentati nel remake burtoniano, e lascia la curiosità per un seguito che spieghi come Wonka sia diventato quello che conosciamo nel romanzo. 


Chalamet offre al protagonista un entusiasmo fanciullesco e un aspetto elfico, oltremondano, che ben si adatta alla personalità sognatrice e dirompente del suo Willy, e dimostra anche ottime e inaspettate doti nel canto e nel ballo. I personaggi di contorno sembrano usciti direttamente da Dickens, sia per quanto riguarda gli alleati di Willy (ottima Calah Lane nel ruolo di Noodle), sia per quanto riguarda gli antagonisti. Per questi ultimi, King riprende sia la vena "drammatica" di Dickens (la Mrs. Scrubbit di Oliva Colman ricorda i grandi malvagi di Oliver Twist e David Copperfield), sia quella "comica", con i tre monopolisti del cioccolato che uniscono brillantemente malvagità e ridicolo.

Visivamente e musicalmente il film è una gioia per occhi e orecchie. La fotografia e le scenografie sono splendide, colorate e fiabesche, così come alcune trovate come i mini-macchinari di Wonka. Le canzoni, composte da Neil Hannon e scritte dallo stesso King insieme all'altro sceneggiatore Simon Farnaby, sono perfette per un musical di questo genere, e offrono il giusto mix di allegria, coreografie pazze, e intimismo. Ottimo anche il modo in cui vengono riprese le due canzoni più iconiche del film originale con Gene Wilder, utilizzate per marcare momenti chiave dal punto di vista emotivo anziché come semplice "momento nostalgia."

Wonka arrivava in sala accompagnato da quel comprensibile scetticismo che accompagna operazioni di questo genere: un prequel per un grande classico ha sempre il rischio di risultare una "copia inferiore", che non aggiunge nulla a quanto già detto nell'originale. King ha preso una strada decisamente inaspettata, persino rischiosa, tratteggiando un protagonista e un film decisamente diversi dall'originale, ma allo stesso tempo perfettamente connessi con esso.

La scommessa è decisamente vinta. Wonka è un perfetto dolce natalizio, una cioccolata calda che protegge contro i rigori del mondo e lascia lo spettatore con occhi sognanti, e il desiderio di averne ancora. Se non amate i film "scalda-cuore", passate oltre. Ma se amate perdervi in una fiaba fatta di immaginazione, riscatto, umorismo, colori, musiche (e dolciumi), non perdetelo (possibilmente in lingua originale): ve ne pentireste.

**** 1/2

Pier

giovedì 28 dicembre 2023

Wish

Magia di riflesso


Il regno di Rosas vive in pace e armonia grazie alla magia di Re Magnifico. Tutti i sudditi, al compimento della maggiore età, affidano i propri sogni al Re, affinché li custodisca e, in rari casi, li realizzi. Asha è una giovane che ambisce a diventare l'apprendista di Magnifico. Proprio quando pensa di aver ottenuto la posizione, tuttavia, scopre qualcosa che cambierà la sua percezione di Rosas, della magia, e del mondo. Decide allora di esprimere un desiderio a una stella...

Wish è un lungometraggio che nasce con una sfida impossibile: raccontare una storia originale e divertente, e al tempo stesso celebrare i 100 anni della Disney, e in particolare del suo comparto di animazione. A Wish si chiedeva di sposare novità e tradizione - anzi, peggio: novità e celebrazione, cambiamento e conservazione. 

L'impresa, improba, non riesce, ma non merita il dileggio cui è stata sottoposta dai critici statunitensi (in Italia siamo stati più equilibrati). A livello narrativo e musicale, Wish non riesce certo a essere la summa maxima del canone disneyano. La storia è leggerina, adatta a far sognare e intrattenere i più piccoli, con poche gemme per gli adulti (anche se la tematica centrale - il non rinunciare ai propri sogni - sicuramente risuonerà di più tra i genitori che tra figlie e figli). 

Wish rimane vittima del suo tentativo di omaggiare i suoi predecessori, con il risultato che siamo lontanissimi dalla profondità tematica e della vivacità dei lavori più recenti come Encanto o Oceania, per finire dalle parti di Frozen 2, con la differenza che qui la storia, in teoria, è originale. Qualche tema è interessante (il collettivo che sconfigge il singolo, con punte rivoluzionarie sorprendenti per la Casa del Topo), ma non abbastanza per sollevare il film oltre la soglia della sufficienza. Non aiuta una narrazione sbilanciata che, a parere di chi scrive, rivela troppo presto le sue carte, facendo perdere tutto il pathos a un colpo di scena (già spoilerato nel materiale promozionale) che aveva il potenziale di essere sconvolgente.
Anche la colonna sonora, pur orecchiabile, si dimentica facilmente, e non presenta nessuna traccia iperorecchiabile in grado di piantarsi in testa come Let It Go, You're Welcome, o We Don't Talk about Bruno.

A livello visivo, invece, il film è una degna celebrazione della storia della Disney: una storia di innovazione continua, spinta inizialmente dal genio di Walt ma poi proseguita, seppur a fasi alterne, per tutta la sua storia. Wish porta finalmente in un lungometraggio la tecnica inventata proprio dalla Disney con il corto Paperman, che permette di unire la qualità artistica del disegno manuale alla tridimensionalità della computer grafica - tecnica abbondantemente usata al cinema da altre produzioni, ma per qualche strano motivo mai adottata dai suoi stessi inventori. Il risultato è un film che sembra un quadro in movimento, in cui ai colori esuberanti di Encanto (e della produzione disneyana in generale) si sostituiscono colori più soft e caldi, che sembrano usciti da un film Ghibli, e che conferiscono a Wish un aspetto acquerellato e accogliente. Il disegno dei visi ha una qualità pittorica che conferisce espressività senza sacrificare la tridimensionalità. Un risultato, insomma, che omaggia il passato ma proietta la Disney nel futuro, esattamente come ci si poteva aspettare dal film del centenario.

Wish non brilla per originalità narrativa ma riesce comunque a intrattenere anche i più adulti, e presenta un'animazione innovativa che dimostra la continua vitalità creativa di una casa che esiste ormai da 100 anni. Era lecito aspettarsi qualcosa di più, certo, ma rimane un film che, pur dovendo barcamenarsi tra evidenti necessità commerciali e di marketing, riesce a trovare un proprio cuore emotivo che, se non fa sgorgare le lacrime, certamente riesce a riscaldare il cuore. È, in sintesi, un buon film delle feste, che strappa la sufficienza e non merita di essere massacrato né di essere derubricato alla visione streaming.

***

Pier

sabato 16 dicembre 2023

Ferrari

Il motore sotto il cofano


Modena 1957. Enzo Ferrari, ex pilota e fondatore dell’omonima e celeberrima casa automobilistica, si trova ad affrontare una crisi personale e professionale. L’azienda è in grave difficoltà finanziaria, e il matrimonio con la moglie Laura è entrato in crisi in seguito alla morte del loro unico figlio, Dino, e la moglie non sa ancora che Enzo ha un figlio, Piero, nato fuori dal matrimonio. Il riscatto – professionale e, forse, anche personale – passa dalla vittoria nella “Mille Miglia”, leggendaria e folle gara di velocità.

In una scena di Ferrari, Enzo invita il piccolo Piero a immaginare il funzionamento di un motore senza averlo davanti, un motore sempre nascosto dal cofano ma così centrale al funzionamento dell’automobile; un motore la cui bellezza (o bruttezza) è importante tanto quanto la bellezza esteriore dell’automobile. Questo dialogo, all’apparenza secondario, racchiude in sé il tema centrale del film: il rapporto tra pubblico e privato, tra ciò che si vede e ciò che si nasconde sotto il cofano, invisibile, ma senza il quale l’auto non può nemmeno mettersi in moto.

Nonostante offra due diverse facce al mondo – energico e imperscrutabile in pubblico, fragile ed emotivo in privato, Enzo Ferrari scopre sulla sua pelle che le due sfere non sono separate, ma sono vasi comunicanti che è impossibile tenere completamente isolati. La sua crisi privata e famigliare si riverbera anche sulla sua azienda e sulla sua capacità di tenerla a galla. Ferrari, di fronte a questa doppia sfida, fa ciò che gli riesce meglio: rilancia, anziché arretrare, alzando il livello della sfida per sé e per i suoi dipendenti. 

Sembra strano che Michael Mann, in un film fatto di corse di automobili, di adrenalina e velocità, decida di occuparsi della sfera privata del protagonista. Eppure è proprio dalla tensione tra pubblico e privato che scaturisce la forza di Ferrari, l’energia che si accumula in silenzio, sotto traccia, e che poi esplode nel terzo atto, in cui la Mille Miglia, da semplice corsa, diventa molto di più: una sfida contro il tempo ma anche contro se stessi, contro un paese che non riesce a guardare avanti ma ha lo sguardo ostinatamente all’indietro e che però, nonostante questo, non riesce a distogliere lo sguardo dalle alchimie di motori del mago di Maranello. 

Mann evita la facile retorica e i pietismi che solitamente caratterizzano le descrizioni della sfera privata (chi scrive si è trovato, con un brivido di paura, a immaginare durante la proiezione come un regista medio italiano avrebbe trattato la materia, conferendole il classico taglio da “dramma da tinello”). Racconta il Ferrari privato con un taglio asciutto, cronachistico, aiutato anche dall’ottima prova di Adam Driver e Penelope Cruz (con buona pace di Favino e della sua sterile polemica veneziana), maestro e maestra dell’emozione trattenuta, della rabbia e della frustrazione accennate ma mai pienamente lasciate esplodere. 

Il Ferrari pubblico è invece raccontato con pathos, adrenalina, emozioni pulsanti, vive, di chi vede ogni giorno la morte in faccia. Mann dirige le scene delle corse con mano impeccabile, realizzando una Mille Miglia a tutto gas perfetta a livello visivo e di ritmo. 

Ferrari è un film di emozioni e ambizioni, sia realizzate che frustrate; è uno spaccato biografico di un uomo di contraddizioni, che sognava la normalità ma al tempo stesso desiderava l’immortalità, il brivido, il superare i propri limiti, ancora, e ancora, e ancora, fino alle estreme conseguenze.

****

Pier


Nota: questa recensione è stata originariamente pubblicata su Nonsolocinema.

mercoledì 6 dicembre 2023

Un Colpo di Fortuna - Coup de Chance

Il gioco del Fato



Fanny e Jean sembrano la coppia ideale. Sono ricchi, felici, e innamorati, nonostante le loro differenze: romantica e amante del rischio Fanny, metodico e deciso a controllare tutto Jean. Quando però nella vita di Fanny riappare Alain, suo ex compagno di liceo, tutto cambia all'improvviso. 

Bandito da Hollywood, Woody Allen si ritira in Francia (ironicamente, ciò che aveva previsto in Hollywood Ending) per il suo primo film non in inglese, e realizza un piccolo gioiello: un film brillante, poliedrico, sfaccettato. Un colpo di fortuna prende le mosse da un triangolo amoroso e diviene poi thriller, noir, tragedia greca senza perdere un'oncia di coesione e ritmo. Al centro, il ruolo della fortuna e del caso, un tema che sembra interessare molto Allen negli ultimi anni, da Match Point in poi. 

Alain è un agente del caso, e Fanny se ne fa travolgere, abbandonandosi al sentimento e agli eventi. Jean, invece, il caso lo combatte, lo sfida, cerca di domarlo, ghermirlo, incatenarlo. In queste due visioni della vita così opposte si trova il motore del film, il cuore di un dialogo platonico implicito in cui Allen, socraticamente, pone domande più che dare risposte, anche se si può facilmente intuire dove cadano le sue simpatie. 

La prima parte è inondata di dialoghi, in pieno stile alleniano, ma sono dialoghi ben scritti, brillanti, vivi e veri, che portano avanti l'azione anziché appesantirla, delineando un mondo ricchi inani e senza nulla da dire, intrappolati in gossip e routine di cui Fanny, nonostante tutti i suoi privilegi, finisce per sentirsi prigioniera. I personaggi sono ben delineati e interpretati, con Lou de Laâge che, come spesso accade alle protagoniste di Allen, brilla di luce propria (complice anche la splendida fotografia di Vittorio Storaro), donando alla sua Fanny il giusto mix di sensualità, humor, indolenza e innocenza. Valérie Lemercier è perfetta nel ruolo della madre di Fanny, e regala una prova che ricorda quelle di Diane Keaton negli anni più maturi della sua carriera. 

Nella seconda e nella terza parte i dialoghi si rarefanno, lasciando spazio all'inesorabile azione del Fato, con i personaggi che, anche quando credono di avere in mano la situazione, stanno solo creando le premesse per la loro disfatta. Il cinismo di Allen emerge più chiaramente in questa seconda parte, ma a differenza che in altri suoi film non supera l'affetto con cui il regista guarda ad alcuni dei suoi protagonisti. 

Un colpo di fortuna è il miglior film di Allen dai tempi di Blue Jasmine, un film che si presenta come una commedia sentimentale ma finisce per parlare della natura umana, del desiderio, e del destino, cinico e baro, sì, ma anche capace di catarsi e liberazione.

**** 1/2

Pier

Nota: questa recensione è stata originariamente pubblicata su Nonsolocinema.