Jojo ha dieci anni, vive nella Germania nazista, ed è un fanatico del regime. Il suo amico immaginario è Adolf Hitler, e il suo sogno è di entrare a far parte della Gioventù Hitleriana. Sua madre cerca di "rieducarlo" con il sorriso, ma invano. Quando Jojo scopre che la madre nasconde in casa Elsa, una ragazzina ebrea, si troverà costretto a riconsiderare tutto il suo sistema di valori.
Il nazismo è stato uno dei grandi mali del Novecento: tali sono stati gli orrori e le nefandezze perpetrate dal regime che, con il tempo, Hitler e i suoi seguaci sono assorti a paradigma del male assoluto. Questo è vero soprattutto al cinema, dove la prospettiva tedesca sulla Seconda Guerra Mondiale è raramente presente e, quando lo è, è sempre quella di qualcuno che ha trovato il coraggio di ribellarsi al regime.
Taika Waititi ha il coraggio di raccontare la storia dalla parte dei nazisti, focalizzandosi sugli ultimi giorni del regime che sta cadendo sotto i colpi degli Alleati. Seguendo l'esempio di un illustre predecessore come Chaplin, Waititi mette in scena una satira, ma a differenza di Chaplin decide di integrarla all'interno di un racconto più tradizionale, incentrato sui personaggi. Questi personaggi vengono tratteggiati e raccontati con un affetto e un occhio più affini ai lavori di Wes Anderson che allo humor tagliente di Waititi, e costituiscono la parte più riuscita del film, quella che intrattiene e appassiona, ma al tempo stesso fa riflettere.
Il fanatismo "innocente" dell'altrimenti adorabile Jojo ci mette di fronte alla potenza della manipolazione di massa e a come sia in grado di corrompere anche gli animi più innocenti. Il messaggio può sembrare banale, ma Waititi riesce a trasmetterlo con forza e senza retorica, servendosi solo dei suoi personaggi e dell'atmosfera semionirica in cui li immerge, fatta di situazioni e personaggi sopra le righe, di un Hitler amico immaginario ancora più insicuro del giovane protagonista, e di una Germania da cartolina: un mix wesandersoniano con un pizzico di originalità, che funziona e rende impossibile non affezionarsi a questi nazisti da operetta e non commuoversi di fronte alle loro sofferenze.
Questa umanità e questo calore, tuttavia, hanno un prezzo: se le assurdità dei personaggi finiscono per esaltarne i tratti più umani, la satira pura si perde e risulta quindi poco tagliente. Le assurdità del totalitarismo e delle idee che lo sorreggono rimangono sullo sfondo, e non vengono sferzate con la veemenza che sarebbe lecito aspettarsi dal genere caro a Giovenale, rendendo qualsiasi collegamento con la contemporaneità abbastanza piatto e superficiale.
Waititi sembra tuttavia compiere questa scelta consapevolmente, interessato forse più a raccontare come si possa spezzare il circolo vizioso del totalitarismo e del culto del capo che a metterne a nudo le nefandezze. L'umanizzazione dei protagonisti e la progressiva rieducazione di Jojo grazie ai modi dolci ma fermi della madre (una ottima Scarlett Johansson) e all'incontro con Elsa sembrano suggerire una visione su come persuadere coloro che oggi propagandano pappagallescamente idee estremiste: è solo attraverso dialogo e conoscenza che si possono appianare le differenze e superare i pregiudizi. L'operazione del regista riesce, anche se rimane il dubbio sull'effettiva utilità di quei momenti di pura satira/comicità slapstick sparsi qua e là per il film: esilaranti, certo, ma un po' avulsi dalla trama e dal messaggio.
Jojo Rabbit è un film semplice, ma fa della sua semplicità la sua forza: i diversi livelli di lettura non sono imposti, ma emergono naturalmente durante alla visione grazie alla forza delle immagini e dei personaggi. Waititi realizza un film efficace, che diverte, commuove e fa riflettere, anche se forse senza il mordente che era lecito aspettarsi da un regista con il suo senso della parodia e della comicità.
*** 1/2
Pier
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