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domenica 29 ottobre 2023

Killers of the Flower Moon

La banalità del male


Oklahoma, anni Venti. Ernest Burkhart torna dalla guerra e si reca dallo zio, William Hale, che gli ha promesso un lavoro. Hale è in ottimi rapporti con i nativi che vivono in quella zona, gli Osage, divenuti improvvisamente ricchi perché nella loro terra è stato trovata (inaspettatamente) una grande quantità di petrolio. Quando Ernest si invaghisce di Mollie, un'ereditiera Osage, lo zio non solo approva, ma favorisce la relazione. Il perché diverrà terribilmente chiaro di lì a poco, ed Ernest si troverà di fronte a una scelta.

Dopo l'epico e crepuscolare The Irishman, un inno al potere salvifico della memoria e dei ricordi a fronte di un presente di delusione, Martin Scorsese realizza un altro film che ha al suo cuore l'importanza del ricordo, declinato qui però come testimonianza, come memoria di un passato orribile, di vicende che vorremmo, ma non dobbiamo, dimenticare. In Killers of the Flower Moon, Scorsese continua a raccontare il tema che attraversa tutta la sua cinematografia, le mille manifestazioni del Male nel mondo, e lo fa con un piglio di denucia e quasi documentaristico degno di Michael Moore, regalandoci protagonisti che, per immensa idiozia o ancor più immensa avidità, non si fanno scrupolo nello sterminare un'intera popolazione.

A differenza che in altri suoi film, tuttavia, Scorsese non ammanta di alcun romanticismo i suoi villains e le loro azioni: i killer del titolo si comportano come contabili, e dispongono delle vite altrui come si disporrebbe di un masso che impedisce il passaggio sulla strada. Gli Osage sono de-umanizzati dai protagonisti e, in parte, anche dall'occhio del regista, che sembra voler costringere lo spettatore a "immedesimarsi" con gli omicidi per fargli comprendere appieno gli orrori che si nascondono nel passato degli USA: il West non è stato scoperto o conquistato, ma rubato, e l'indifferenza di oggi nei confronti di quella tragedia non è meno terribile delle atrocità di ieri. 

Ernest, interpretato con magnifica e credibile stolidità da Di Caprio, è il simbolo dell'ignavia di un intero paese, un utile idiota che si fa trascinare dagli eventi ma che, nonostante ne abbia più volte occasione, non sceglie mai la strada della redenzione, minimizzando di continuo la severità delle sue azioni.
Il vero Male è incarnato invece dallo zio Bill, un De Niro mai così spaventoso nonostante non maneggi mai nulla di più pericoloso di un'asse di legno: il  suo personaggio è il Satana biblico, un affascinante tentatore che, come il serpente, si insinua nel giardino dell'Eden fingendosi amico, per poi inquinare le vite di coloro che si sono fidati di lui.

La de-umanizzazione degli Osage, tuttavia, non è totale: Scorsese affida il cuore emotivo del film a Molly, una Osage che - nel bene e nel male - è sempre artefice del suo destino, e che vede il proprio mondo crollare a causa delle azioni abiette di chi aveva giurato di proteggere lei e la sua gente. È lei la vera vittima del Male che si insinua in Oklahoma, distruggendo la sua famiglia e devastandole il corpo e lo spirito. Non è un caso, in tal senso, che le scene della sua malattia siano riprese proprio come quelle di una possessione demoniaca, e che solo un salvifico intervento esterno riesca a liberarla del Male che la stava portando alla morte.

Se l'operazione di Scorsese è vincente a livello cognitivo, è invece parzialmente fallimentare a livello emotivo: l'oggettificazione degli Osage e la banalizzazione del male funzionano a livello di denucia, ma azzoppano il coinvolgimento dello spettatore, che non riesce davvero a empatizzare con protagonisti cui le cose sembrano sempre accadere, anche quando, come nel caso di Mollie, la loro attività nelle decisioni prese è presentata chiaramente sullo schermo. Anche Mollie, dunque, nonostante l'ottima (anche se non stratosferica come si è letto in giro) prova di Lily Gladstone, non riesce a conquistare il cuore dello spettatore dato che ogni coda che le accade sembra inevitabile, ineludibile: non si "tifa" per lei perché non c'è mai davvero un momento in cui sembra che possa sfuggire a quel che le sta succedendo, in cui possa fare una scelta diversa, congegnare un piano di azione per liberarsi del giogo cui è costretta.

Il risultato è un film forse troppo cerebrale, e che finisce quindi per avere un impatto infinitamente inferiore rispetto al potenziale della storia narrata, complice anche una durata che non sembra giustificata dallo svolgimento narrativo, soprattutto nella seconda metà, dove alcune situazioni risultano un po' ripetitive. La bellezza delle immagini e della costruzione bastano a rendere il film eccellente, ma non a elevarlo allo status di capolavoro.

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Pier

domenica 17 maggio 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Speciale "Dietro le quinte"

Puntata speciale di Nuovo Cinema Paravirus, dedicata al "dietro le quinte" del cinema.

Il genere di oggi sono quindi i cosiddetti "meta-film", ovvero i film che raccontano la produzione e la creazione di altri film, veri o fittizi.



I tre film segnalati sono:

1) Cantando sotto la pioggia (disponibile a noleggio su vari servizi). Un capolavoro assoluto, che racconta il passaggio dal muto al sonoro, dalla vecchia alla nuova Hollywood, ma anche l'importanza del sogno, dell'ambizione, e della resilienza. Stanley Donen (qui il nostro speciale su di lui) realizza un film indimenticabile, che racconta la storia del cinema e, nel farlo, entra a farne parte.

2) Tropic Thunder (disponibile su Prime Video). Un capolavoro di comicità demenziale, una parodia dello star system hollywoodiano irresistibile, irriverente, imperdibile.

3) Hugo Cabret (disponibile a noleggio su vari servizi). Un film che è come un orologio antico: i meccanismi non sono sempre perfetti, a volte si inceppano ma, una volta aperto, rivela al suo interno una perfezione e una bellezza tale che è impossibile non restarne rapiti e affascinati. Qui la recensione completa.

Tenete gli occhi aperti per il prossimo speciale di Nuovo Cinema Paravirus. Coming soon!

Pier

venerdì 17 aprile 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Puntata 35

Nuova puntata di Nuovo Cinema Paravirus, la rubrica che vi suggerisce film da vedere in quarantena.


Il genere di oggi sono i film sugli sport di combattimento

I film segnalati sono:

1) Toro scatenato (disponibile su Sky). Un capolavoro immortale, fotografato in un bianco e nero da manuale per raccontare la sinfonia rusticana di Jake La Motta, interpretato da un magistrale Robert De Niro nel percorso che lo porta dalla polvere alla gloria, per poi tornare nella polvere. Uno dei migliori film di Scorsese.

2) Warrior (disponibile su Netflix e Amazon Prime). Due fratelli divisi dalla vita e da un padre troppo esigente si ritrovano nel contesto più improbabile, ma allo stesso tempo più prevedibile: il ring. Una storia di caduta e redenzione dal sapore biblico, in cui il sangue e il sudore della lotta sono nulla rispetto alla sofferenza interiore. Tom Hardy, Joel Edgerton e Nick Nolte sono semplicemente perfetti.

3) Street Fighter (disponibile a noleggio su vari servizi). Un cult involontario, non tanto per l'estrema fedeltà al videogioco da cui è tratto quanto per la genesi quasi assurda del film, tra malattie terminali e storie di droga. Il risultato finale è un fumettone che piacerà ai fan del videogioco e ai ragazzi: considerate le premesse, è già un miracolo.

A domani per la trentaseiesima puntata!

Pier


martedì 14 aprile 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Puntata 32

Nuova puntata di Nuovo Cinema Paravirus, la rubrica che vi suggerisce film da vedere in quarantena.


Il genere di oggi è il biografico.

I film segnalati sono:

1) Wolf of Wall Street (disponibile su Netflix, Timvision, e RaiPlay). Un'allegoria dell'avidità e del sistema capitalistico, qui personificato da Jordan Belfort: una storia talmente grottesca, la sua, che sembrerebbe una parodia, se non fosse completamente vera. Scorsese gira un film militante, in cui la trama esilarante e i personaggi al limite del caricaturale nascondo una realtà marcia e terribilmente reale. Qui la recensione completa.

2) Io non sono qui (disponibile a noleggio su vari servizi). Il racconto della poliedrica personalità di Bob Dylan attraverso sei personaggi, sei vite parallele che rappresentano altrettanti momenti nella vita e nella carriera di Dylan. Todd Haynes mischia stili, suggestioni, stili di ripresa, unendo il surrealismo felliniano alla poesia di Rimbaud, al western, e ad atmosfere oniriche lynchiane, e creando un capolavoro assoluto che, come Dylan, è uno, nessuno e centomila. Imprescindibile.

3) Saving Mr Banks (disponibile su Disney+). Il racconto dell'estenuante trattativa tra Walt Disney e Pamela Travers per acquisire i diritti cinematografici del suo libro, Mary Poppins non brilla per originalità, ma è sorretto da una trama forte e personaggi ben tratteggiati e interpretati da Tom Hanks ed Emma Thompson, e regala allo spettatore quello che promette: sorrisi, lacrime, e una favola senza tempo. Qui la recensione completa.

A domani per la trentatreesima puntata!

Pier


giovedì 2 aprile 2020

Nuovo Cinema Paravirus - Puntata 20

Ventesima puntata di Nuovo Cinema Paravirus, la rubrica che vi tiene compagnia durante la quarantena.



Il genere di oggi è il thriller psicologico.

I film segnalati sono:

1) Shutter Island (disponibile su Netflix, Infinity, e Sky). Un capolavoro sottovalutato di Martin Scorsese, con una sequenza onirica degna di quella firmata da Salvador Dalì per Io ti salverò di Hitchcock (altro film da recuperare, disponibile su YouTube). Qui la recensione completa

2) The prestige (disponibile su Prime Video). A parere di chi scrive, il vero grande capolavoro di Christopher Nolan, che riprende lo schema de I duellanti ma lo trasforma in un rompicapo narrativo perfettamente congegnato che, attraverso la storia della rivalità tra due prestigiatori, ci fa riflettere sulla natura della competizione e sul significato della nostra stessa esistenza.

3) Animali notturni (disponibile su Netflix). Dopo l'ottimo esordio di A single man, Ford dirige la sua opera seconda con una visione d'insieme ammirevole, in cui nulla è fuori posto e tutto si incastra a perfezione: alla fredda crudeltà della scrittura si affianca una fotografia splendida, tra notturni cupi, solleoni abbaglianti alla Sergio Leone, e freddi interni ipermoderni.

A domani per la ventunesima puntata!

Pier

sabato 8 febbraio 2020

Oscar 2020 - I pronostici

Questa notte, come ogni anno, gli occhi del mondo cinematografico si sposteranno sul Dolby Theatre di Los Angeles per la cerimonia di premiazione della novantaduesima edizione degli Academy Awards. 

Se lo scorso anno aveva segnato un trionfo assoluto per la Mostra Cinematografica di Venezia, presente con ben 39 nomination tra concorso e fuori concorso contro le 13 di Cannes, quest'anno la situazione sembra essersi equilibrata, grazie all'inaspettato (e meritato) successo di Parasite: 18 nomination a testa per i due maggiori festival europei.

Come ogni anno, Filmora vi propone i suoi pronostici, accompagnati dalle scelte personali della Redazione (ovvero, le mie): sarà questo l'anno in cui l'Academy si deciderà ad ascolarmi? Ne dubito, ma sperare non costa nulla. 

Pronti? Iniziamo!



Miglior montaggio
Quando un film con un montatore qualunque incontra un film montato da Thelma Shoonmaker, il film con il montatore qualunque è un film morto. Leggenda vivente, collaboratrice storica di Scorsese, la Shoonmaker ha sfoderato l'ennesimo capolavoro della sua arte, la scrittura per immagini, con The IrishmanSembra lei la chiara favorita, con Yang Jinmo per Parasite come possibile sorpresa. Su di lei ricade anche la mia scelta personale, con il sottovalutatissimo lavoro di Jeff Groth su Joker come secondo classificato. 

Pronostico: Thelma Schoonmaker, The Irishman

Scelta personale: Thelma Schoonmaker, The Irishman


Miglior fotografia
Un anno ipercompetitivo, con tutti i candidati che hanno ottime ragioni per reclamare la statuetta. Tuttavia, sembra impossibile che non vinca Roger Deakins, uno dei più grandi direttori della fotografia in attività, recordman di nomination per la categoria ma con una sola vittoria (per Blade Runner 2049). Il suo lavoro su 1917 è magistrale, ed è di fatto l'unica anima di un racconto che vive e muore con le sue immagini. Su di lui ricade anche la mia scelta personale, anche se sia Jarin Blaschke (The Lighthouse) che Robert Richardson (C'era una volta a Hollywood) hanno conquistato il mio cuore.

Pronostico: Roger Deakins, 1917
Scelta personale: Roger Deakins, 1917


Miglior film d'animazione
Da grande fan della Pixar, faccio fatica a non indicare Toy Story 4 come mio film preferito: un colpo al cuore quando nessuno se lo aspettava, l'ennesimo capitolo di risate e commozione regalato dalla casa della Lampada. Tuttavia, nonostante veda Toy Story 4 come il favorito, quest'anno la mia preferenza cade su Klaus (produzione Netflix)una splendida favola, una storia di amicizia, ma soprattutto un film che sperimenta nuove tecniche di animazione, aprendo nuove possibilità per il futuro di un mezzo in continua evoluzione.

PronosticoToy Story 4
Scelta personale: Klaus


Miglior attore non protagonista
Se ci fosse giustizia, dovrebbe vincere Joe Pesci: la sua interpretazione in The Irishman è clamorosa per intensità e profondità, ed è l'esatto opposto dei personaggi sopra le righe che ha sempre interpretato in carriera. Tuttavia, il destino di questa categoria è già scritto: sarà Brad Pitt, splendido (in tutti sensi) interprete di C'era una volta a Hollywoodad aggiudicarsi la statuetta. E Pitt lo merita, sia per l'interpretazione in sé, sia come giusto risarcimento per una carriera troppo spesso sottovalutata, vittima della sua bellezza come già Paul Newman e Robert Redford prima di lui.

Pronostico: Brad Pitt, C'era una volta a Hollywood

Scelta personale: Joe Pesci, The Irishman


Miglior attrice non protagonista
La favorita è senza ombra di dubbio Laura Dern, esilarante avvocatessa senza scrupoli in Storia di un matrimonioTuttavia, la mia preferenza personale va alla sua "assistita" nel medesimo film, Scarlett Johansson, per la sua sorprendente prova in JoJo Rabbit, dove interpreta un ruolo caleidoscopico per emozioni e sfaccettature.

Pronostico: Laura Dern, Storia di un matrimonio
Scelta personale: Scarlett Johansson, JoJo Rabbit


Le due contendenti in Storia di un matrimonio
Miglior sceneggiatura originale
Qui il favorito sembra, eccezionalmente, Parasite: raramente un film straniero si aggiudica il premio per la sceneggiatura, ma la vittoria ai Writers Guild Awards lo impone come favorito di categoria. Knives Out sarebbe una bellissima ma improbabile sorpresa, e Tarantino non è mai da sottovalutare, ma Bong Joon Ho e Han Jin Won dovrebbero aggiudicarsi la statuetta. Su di loro ricade anche la mia preferenza personale.

Pronostico: Parasite
Scelta personale: Parasite


Miglior sceneggiatura non originale
Greta Gerwig sembra la netta favorita con Piccole donnegrazie alla sua reinvenzione e rilettura di un classico che non sembrava aver più nulla da dire. Nonostante abbia molto apprezzato il lavoro della Gerwig, la mia scelta personale ricade forse su JoJo Rabbit, che mi ha toccato maggiormente il cuore.

Pronostico: Piccole donne
Scelta personale: JoJo Rabbit


Miglior attrice protagonista
Renée Zellweger che si aggiudicherà la statuetta per la sua interpretazione di Judy Garland. Ammetto di essere prevenuto contro la Zellweger, attrice che detesto e che mi provoca un'irritazione quasi fisica, al punto che mi sono rifiutato di vedere Judy. La mia scelta personale non può quindi ricadere su di lei, e va quindi (ancora una volta) a Scarlett Johansson, anche perché sarebbe scandaloso rimanesse a mani vuote dopo due interpretazioni come quelle offerte in  JoJo Rabbit e Storia di un matrimonio.

Pronostico: Renée Zellweger, Judy
Scelta personale: Scarlett Johansson, Storia di un matrimonio


Miglior attore protagonista
Un solo nome: Joaquin Phoenix. Non solo la sua interpretazione in Joker è trascendente, dionisiaca, ipnotica, ma Phoenix merita questo riconoscimento da anni, dato che parliamo di uno degli attori più brillanti ed eclettici della sua generazione. Adam Driver è l'unico che potrebbe impensierirlo, ma è davvero un'ipotesi molto, molto, molto remota. Se non si fosse capito, Phoenix si aggiudica anche la mia preferenza personale.
Pronostico: Joaquin Phoenix, Joker
Scelta personale: Joaquin Phoenix, Joker


"Ah, ho vinto?"
Miglior regia
Sembra incredibile, ma pare che anche quest'anno Quentin Tarantino riuscirà a non vincere la statuetta come miglior regista. Piaccia o non piaccia, Tarantino è uno dei cineasti più originali e influenti degli ultimi 30 anni, eppure l'Academy continua pervicacemente a ignorarlo, nonostante con C'era una volta a Hollywood abbia firmato il suo film forse più personale e autoriale. Come se non bastasse, sembra che l'Academy non lo snobberà per un mostro sacro come Scorsese (che dovrebbe vincere ogni premio sulla faccia della Terra, ma non vincerà perché non ne ha bisogno) o per la grande sorpresa di Parasitema per quel capolavoro di tecnica e di vacuità narrativa che è 1917. Il lavoro di Mendes è senza dubbio strabiliante a livello visivo, ma viene da chiedersi quanto ci sia del regista una volta tolti gli effetti speciali e la fotografia di Deakins. Tarantino, snobbato dall'Academy, dovrà accontentarsi della mia preferenza personale.

Pronostico: Sam Mendes, 1917
Scelta personale: Quentin Tarantino, C'era una volta a Hollywood


Miglior film
Se la vittoria di 1917 per la miglior regia ci può stare, quella per miglior film lascerebbe perplessi vista la concorrenza. Il suo avversario principale sembra essere Parasitesenza dubbio molto più meritevole, ma un film straniero non ha mai vinto l'Oscar per il miglior film in novant'anni di storia dell'Academy. Potrebbe essere la volta buona? In un momento di insensato ottimismo, dico di sì, e indico Parasite come favorito. La mia scelta personale, dopo lunga esitazione, ricade su The Irishman, con JokerParasite e Tarantino appena dietro.

Pronostico: Parasite
Scelta personale: The Irishman


Questo è tutto. Cosa aspettate? Correte in sala scommesse!

Pier

domenica 10 novembre 2019

The Irishman

Quando bruciavamo di vita


Frank Sheeran è un anziano che vive in casa di riposo che si trova a ripercorrere la sua vita, a partire da quando, da autista di camion, per una serie di coincidenze finisce per lavorare per Russell Bufalino, boss della mafia a Filadelfia. Sarà l'inizio di un'amicizia, ma anche di una collaborazione che porterà Frank a contatto con alcune figure chiave della storia statunitense, tra cui spicca quella di Jimmy Hoffa, il capo del sindacato dei camionisti, a quei tempi più popolare di Elvis e dei Beatles.

Cosa significa fare i conti con la propria vita? Se lo chiede Frank Sheeran, il protagonista di The Irishman, ma sembra chiederselo anche Martin Scorsese, che gira un film in cui il ricordo e il passato sono assoluti protagonisti, e il presente è pallido comprimario. Il passato è vibrante di vita e di energia, il presente è scolorito, esausto; il passato è il momento in cui si è fatta la storia, in cui addirittura si è stati al centro della Storia, anche se non necessariamente dalla parte giusta; il presente è fatto di abbandono, solitudine, perifericità umana e sociale.

La scena di apertura ci presenta Frank, narratore forse inattendibile - non è importante - dopo averci portato a passeggio nei corridoi della casa di riposo dove vive. Frank rompe la quarta parete e sfonda le pareti della casa con i suoi ricordi, portandoci a passeggio per la sua vita spesa al servizio della mafia italoamericana di Philadelphia. Il film segue il filo delle sue memorie, muovendosi in direzioni sempre imprevedibili, alternando toni completamente diversi anche all'interno della stessa scena, vagando tra piani temporali e spaziali diversi, confuso eppure coerente come solo i ricordi sanno essere.

Scorsese abbandona i toni ipercinetici e adrenalici che contraddistinguono il suo cinema, soprattutto quello che si focalizza su malavitosi di diversa caratura, e adotta un tono nostalgico, struggente, quasi proustiano, in cui ciò che conta non è che ciò che si è fatto ma ciò che non si è fatto e non si ha avuto il coraggio di fare. L'azione viene spesso dilatata o addirittura nascosta, negata: ai ritmi frenetici si sostituisce il lento incedere dello sguardo (tante le inquadrature in soggettiva, tanti i piani sequenza) e del ricordo, che vaga a ritroso senza una meta precisa, alla ricerca di qualcosa di indefinito ma che si sa di aver perduto. Lo sguardo si distoglie dalla carneficina, anziché abbracciarla ed esaltarla come in Quei bravi ragazzi o altre pietre miliari del cinema scorsesiano, preferendo concentrarsi su sguardi, espressioni, situazioni. La scena si svuota di epica e si riempie di dialoghi esilaranti, silenzi, momenti quasi profetici, in cui il protagonista, ormai condannato dalla vita, cerca di trovare ex post un senso in azioni che forse un senso non lo hanno mai avuto.


Man mano che il film procede, l'azione viene progressivamente tolta dalle mani degli uomini e diviene destino ineluttabile, in un lento incedere da tragedia greca che culmina in una devastante solitudine. Frank è Edipo, giovane pieno di vita costretto a uccidere il padre, e che si ritrova a morire in un'oscura periferia, solo e menomato, lontano dalla famiglia e dagli amici.
Frank non è solo in questa tragedia, ma è semplicemente la storia che Scorsese ha deciso di raccontarci, il simbolo di un'intera categoria, forse di un intero paese, come ben esemplificato dalla magistrale scena delle bocce in prigione, perfetto ritratto della decadenza umana e della transitorietà della gloria, della gioia, della vita.

De Niro porta magistralmente in scena un Frank enigmatico, il cui volto spesso esprime ciò che le parole non sanno e non vogliono dire, artefice degli eventi e al tempo stesso loro vittima, trascinato in un vortice di lealtà cui non può davvero appartenere fino in fondo. Per aiutare la Famiglia sacrifica la sua famiglia, dalle figlie alla moglie, fino all'amico Jimmy Hoffa, interpretato da un Pacino mai così affabile e abile nel tenere sotto controllo la sua irresistibile gigioneria. A brillare tra i comprimari, però, è un Joe Pesci in tono solo apparentemente minore: il suo Russell Bufalino è un gentiluomo decaduto, raccolto, silenzioso, che sembra quasi avulso dal mondo di eccessi in cui si ritrova ad operare.

Sullo sfondo dei ricordi di Frank si muove l'America, tra storia ufficiale e storia sotterranea, in cui ogni evento che conosciamo, dalla Baia dei Porci alla morte di Kennedy sembra in qualche modo collegata alla mafia. Attraverso gli occhi e la narrazione di Frank, Scorsese arriva addirittura a ribaltare questo parallelismo, rendendo la storia "mafiosa" più vera e vibrante di quella reale, pallida eco degli eventi che attraversano le vite dei vari Bufalino, Salerno, e Jimmy Hoffa. Con l'afflato che solo i grandi film come C'era una volta in America Il dottor Zivago posseggono, il film racconta anche un intero paese e un'intera generazione, mettendone a nudo le contraddizioni e stracciandone il velo superficiale di felicità materiale per rivelarne la desolazione spirituale.

Come Tarantino con C'era una volta a Hollywood (curioso siano usciti nello stesso anno)Scorsese realizza un film che è anche una summa del suo lavoro, un testamento artistico permeato dalla sua impronta autoriale e dalla sua visione del cinema. Come C'era una volta a HollywoodThe Irishman è un film che non ha paura di essere uno, nessuno, e centomila, di giocare con i generi e le aspettative, né di prendersi i tempi necessari per raccontare la sua storia esattamente come vuole raccontarla 1.

Ma laddove Tarantino esorcizza nostalgia e perdita con uno scarto fantastico che reclama il diritto al sogno e alla vita, Scorsese abbraccia queste emozioni, realizzando un film che segna la fine di un'epoca e di un certo modo di fare cinema, ma segna anche l'inizio di una nuova: The Irishman è un film vibrante di vita, ma di una vita passata, lontana, nostalgica, e finisce quindi per raccontare la fine di questa vita, che è anche fine di un certo modo di essere, di pensare, di fare (settima) arte.
Se Tarantino si rifiuta donchisciottescamente di voltare pagina e leggere la parola "fine", Scorsese chiude il libro, e lo fa con una potenza devastante, un pugno allo stomaco che spiazza e sconvolge ma che, ne siamo certi, apre anche una nuova pagina nel suo cinema.

The Irishman è, senza ombra di dubbio un capolavoro, e un inno alla bellezza e alla varietà del cinema. Guardatelo, assaporatelo, godetevelo (se possibile al cinema). Per una volta si può davvero dire: di film così non ne fanno più.

*****

Pier

1: e qui andiamo controcorrente rispetto ai miopi critici ed esercenti nostrani, e riconosciamo che, senza la libertà pressoché totale concessa da Netflix, un film del genere non si sarebbe probabilmente mai fatto. Quando capiremo che la morte (sempre annunciata, mai definitiva) della sala non è causata da Netflix sarà sempre troppo tardi.

lunedì 11 aprile 2016

Hitchcock/Truffaut

Imperdibile per chi ama il cinema



Nel 1962, François Truffaut, giovane regista sulla cresta dell'onda del successo artistico e professionale, decise di intervistare quello che, pur sottovalutato dalla critica, era a suo parere il miglior regista vivente: Alfred Hitchcock. Hitchcock accettò di sottoporsi a un'intervista della durata di otto giorni, durante il quale Truffaut lo interrogò su tutti i suoi film. Il risultato fu un libro che divenne il principale testo di riferimento per un'intera generazione di registi, che oggi in questo film raccontano, accompagnati dalle registrazioni originali dell'intervista, le scene dei film di Hitch che più hanno segnato il loro immaginario.

Può esserci qualcosa di meglio di una conversazione sul cinema e sulla professione di regista tra François Truffaut e Alfred Hitchcock? La risposta è sì, ed è il documentario di Kent Jones. Alle voci dei due grandi registi, infatti, Jones affianca quelle di Martin Scorsese, Richard Linklater, Wes Anderson e David Fincher, che commentano le scene dei film di Hitchcock, e allo stesso tempo spiegano l'importanza dell'intervista e del cinema hitchcockiano in generale all'interno dell'opera di Truffaut. Abbiamo così Scorsese che commenta le scene di apertura di Psycho e alcune scene di Vertigo insieme a James Gray e Linklater, affiancati dalla voce dello stesso Hitch.

Il film riesce nell'impresa di arricchire il libro cui si ispira, con l'unica pecca, imposta però dai limiti temporali del formato cinematografico, di non poter analizzare tutta l'opera hitchcockiana, ma solo alcuni dei suoi lavori più famosi.

Un film da non perdere per chi ama Hitchcock, per chi ama Truffaut, per chi ama il cinema.

*****

Pier

martedì 21 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street


Il fascino oscuro dell'avidità




New York, Anni 90. Jordan Belfort è un broker di successo e senza scrupoli. Avido e ambizioso, è riuscito a sopravvivere al crollo del mercato del 1987 vendendo azioni non quotate e di scarso valore, iniziando una serie di pratiche finanziarie illecite che lo porteranno a fondare la sua agenzia, la Stratton Oakmont. Il denaro comincia a scorrere a fiumi, accompagnato da un vortice di donne, droga ed eccessi che porteranno Belfort a vivere in un ottovolante continuo dove affetti, amici e salute vengono sacrificati in nome della ricchezza sfrenata e del lusso.

Con The Wolf of Wall Street, Martin Scorsese affronta per la prima volta il mondo della finanza, e lo fa attraverso la controversa storia di Jordan Belfort, il Madoff degli anni 90, un truffatore incallito che ricorda Gordon Gekko, ma riesce a superare il personaggio di fiction in quanto ad avidità e spregiudicatezza. Il regista e lo sceneggiatore, Terence Winter, decidono di basare la storia sull'autobiografia del protagonista, adottando così i toni della commedia nera, di un'ironia cinica e chiassosa che nasconde però una forte critica sociale. Il risultato è un film esilarante e amaro, che colpisce lo spettatore con scene talmente assurde da risultare divertenti, e lo colpisce di nuovo quando questi realizza che sono realmente accadute. Il film non risparmia nulla, nessun eccesso, nessun abuso, mettendo in scena con ogni minimo dettaglio.quel vortice inarrestabile che è stata la vita di Belfort.

Nonostante la lungaggine di alcune sequenze, il film scorre rapido e veloce, trascinato da una regia decisa e psichedelica, da musiche perfette, e da una prova del cast semplicemente sublime. Su tutti spicca il protagonista, un Di Caprio mai così eclettico, capace di rappresentare tutte le innumerevoli sfaccettature del carattere di Belfort: truffatore, padre di famiglia, tossicodipendente, leader carismatico, traditore, amico fedele, uomo della porta accanto, miliardario. Di Caprio indossa i panni di Belfort alla perfezione, alternando momenti di irresistibile ilarità (la scena in cui le droghe gli inducono una sorta di paralisi) ad altri di cupa ferocia, passando per tutto lo spettro delle emozioni umane, in una performance che, se ci fosse giustizia, dovrebbe garantirgli quella statuetta che incredibilmente non ha ancora vinto. Accanto a lui si muove uno splendido Jonah Hill, ormai affermatosi come attore "impegnato", che tratteggia un personaggio insopportabile nel suo essere sempre sopra le righe, sboccato, eccessivo e incontrollabile. Nonostante appaia solo per pochi minuti, infine, non si può non menzionare la splendida prova di Matthew McConaughey, che ruba letteralmente la scena nella parte del primo "mentore" di Belfort, il broker cocainomane e onanista Mark Hanna.

Il film negli USA è stato oggetto di molte critiche, tacciato di essere immorale per aver rappresentato un criminale come un simpatico uomo d'affari un po' spericolato. Queste critiche appaiono del tutto ingiustificate, in quanto perdono del tutto di vista lo scopo dell'opera: mettere a nudo l'immoralità del sistema capitalistico. Immorale non è il film, ma ciò che racconta. E' immorale il fatto che il protagonista, nella realtà, abbia fatto solo quattro anni di prigione; è immorale un sistema che idolatra un uomo che dichiaratamente sfrutta l'ingenuità altrui, e che permette il ripetersi di situazioni simili, come nel caso Madoff; è immorale, infine, che quest'uomo sia tutt'oggi l'idolo indiscusso di moltissimi broker e operatori finanziari, al punto che, in alcune società finanziarie, sono state organizzate proiezioni private del film per gli impiegati.
Scorsese non vuole parlare di Jordan Belfort, rendendolo simpatico o umano ma, attraverso la sua storia, vuole raccontare le storture di un sistema che concentra la ricchezza nelle mani di pochi, in maniera talmente smisurata che questi non sanno letteralmente che farsene.

The Wolf of Wall Street è un film militante: la trama esilarante e i personaggi al limite del caricaturale non riescono a farci dimenticare che la storia è vera, e che i personaggi che la abitano sono realmente vissuti. Il divertimento si mescola quindi a uno sbigottimento crescente, che alla fine del film lascia lo spettatore soddisfatto ma sconcertato, spingendolo a interrogarsi su di sè e sulla società di cui fa parte perchè, come mostra l'ultima inquadratura riservata all'agente FBI, tutti, più o meno consciamente, vorrebbero essere Jordan Belfort.

****1/2

Pier

martedì 19 novembre 2013

Roger Corman - I dimenticati: puntata 11


Il dimenticato di oggi è Roger Corman, regista statunitense, nato a Detroit il 5 aprile 1926.


Regista e produttore straordinariamente prolifico (più di 400 film al suo attivo come produttore e quasi 60 da regista), può essere considerato, insieme a John Cassavetes, tra i primi cineasti indipendenti americani a lavorare interamente secondo le proprie condizioni. All'AIP (American International Pictures) Corman lavora in estrema povertà di mezzi e capitali ma in totale autonomia. La sua firma è precisa e riconoscibile, grazie all'uso aggressivo del dolly, l’innovativo utilizzo del CinemaScope, con la macchina da presa sempre in movimento, alle luci d'atmosfera e una visione cruda e senza compromessi, che non risparmia sequenze brutali e dirette.
Corman dimostra che si può imparare a realizzare un film attraverso "on the job", con un lavoro a ritmi serrati, dimostrando così che la velocità fa trasparire la "veridicità" della produzione e influenzando un'intera generazione di registi, come Martin Scorsese e Monte Hellman.

Corman coglie chiaramente lo sconvolgimento emotivo e sociale presente nell'America dei '50, quando gli adolescenti diventano il target di riferimento per il cinema. Realizza così film come Teenage doll (1957) e Machine Gun Kelly (1958), stabilendo il suo marchio di fabbrica: impegno totale verso la storia, i personaggi e il loro mondo, senza alcuna distanza emotiva tra essi e il pubblico. La visione di Corman di quel periodo diviene così un luogo di continua contestazione e cambiamento, in cui i protagonisti sono loner e outsider, prigionieri di in un mondo in cui solo i più forti sopravvivono. Nei suoi primi lungometraggi Corman rinnova vari generi ormai logori inserendo tematiche femministe, come in Gunslinger (1956), The saga of the Viking women and their voyage to the waters of the Great Sea Serpent (1957) e Sorority Girl (1957).



Nonostante la trasgressività delle sue opere, la vita del regista inizia in maniera piuttosto ordinaria.
Il giovane Roger si interessa di letteratura inglese e ingegneria, ma con il trasloco a Beverly Hills per lui si dischiudono le porte del cinema.
Dopo la laurea, ottiene un impiego da "galoppino" alla 20th Century Fox, diventando poi lettore di sceneggiature. Dopo un viaggio in Inghilterra, ritorna a Los Angeles con uno script low-budget, che cede alla Allied Artists, ottenendo però di essere inserito come produttore associato del progetto,  dal titolo Highway Dragnet (1954).
Deluso dal film e sicuro che avrebbe fatto un lavoro migliore come produttore indipendente, Corman investe tutti i suoi averi (12.000 dollari) nella produzione di The monster from the Ocean Floor (1954).

Dopo aver venduto il film alla Lippert Releasing a titolo definitivo per 100.000 dollari, Corman sceneggia e produce The Fast and the Furious (1954). Girato in dieci giorni, il film rappresenta un grande passo per Corman, che incontra Jim Nicholson e Samuel Z. Arkoff, formando con loro la American Releasing Corporation, di cui diventa il regista "di casa". Vengono così sfornati titoli ad un ritmo incredibile e a budget ridottissimo, cominciando dal western - realizzato in 10 giorni - Five Guns West (1955), seguito da Swamp Women (1955), Apache Woman (1955) e The Oklahoma Woman (1956).

Nel 1956 Corman vira verso la sci-fi, l'horror e i film di exploitation adolescenziali, dirigendo It conquered the world e The day the world ended (entrambi 1956), Not of this Earth, Attack of the Crab Monsters', Teenage doll, The Undead, Sorority Girl, Rock All Night, Naked paradise e Carnival rock (tutti del 1957). Questi film, girati con budget di circa $ 100.000, si rivelano enormi successi per la AIP. Grazie a manifesti sconci e campagne pubblicitarie aggressive, i film fanno subito presa sugli adolescenti, complice lo stile registico di Corman, che  regala la verve e il vigore che mancavano a molti altri film a basso budget.
Il successo delle pellicole spinge la AIP a produrne di nuove, realizzando film come War of the satellites, Teenage cave man, She god of Shark Reef, The saga of the Viking women and their voyage to the waters of the Great Sea Serpent, Machine Gun Kelly (con Charles Bronson) e I, Mobster, tutti del 1958.

 

Nel 1959  il regista di Detroit vira sulla commedia nera, realizzando il satirico A Bucket of Blood, seguito da La piccola bottega degli orrori (1960). Quest'ultimo viene girato in soli due giorni, riutilizzando alcuni vecchi set. Il film, che documenta le disavventure del dipendente del negozio di fiori Seymour Krelboin (Jonathan Haze) alle prese con la sua pianta carnivora, resta uno dei più originali e idiosincratici di Corman, da cui sono in seguito stati tratti un musical di Broadway ed un remake.



In questo periodo Corman produce anche il suo film più personale, The Intruder (1961), con un giovanissimo William Shatner nei panni di un razzista determinato a creare problemi in una piccola città del Sud. Girato in un granuloso bianco e nero con un budget di $ 90.000, usando attori locali e senza permessi, il film fu un disastro al botteghino, a dispetto delle eccellenti recensioni ricevute. Corman, che credeva fortemente nel messaggio del film - il razzismo come cancro per la società americana - comincia allora a concentrarsi su film di genere, in cui il messaggio di critica sociale non è palese, ma codificato e nascosto all'interno però di un quadro molto più commerciale.

I tempi stavano però nuovante cambiando, e i film a lavorazione corta e in bianco e nero eran sul punto di perdere il loro mercato. Nel 1960, Corman persuade così la AIP a fargli dirigere una pellicola di "serie A" con un budget più alto, La caduta della casa degli Usher, tratto dal racconto di Edgar Allan Poe. Girato in CinemaScope e con protagonista Vincent Price, il film ottiene enorme successo commerciale e porta Corman a realizzare un filotto di pellicole tratte da opere di Poe: Il pozzo e il pendolo (1961), I racconti del terrore (1962), The Premature Burial (1962), The Raven (1963), La città dei mostri (1963), La maschera della Morte Rossa (1964) e La tomba di Ligeia (1965). Per The Terror (1963) vengono riutilizzati i set di The Raven, con Boris Karloff , Dick Miller e Jack Nicholson a completare il grosso del film in un'altra sessione di due giorni.
Tutti questi film, a colori, risultano estremamente eleganti nella scenografia (di Daniel Haller), nella fotografia (di Floyd Crosby), nonchè nell'uso fluido dei movimenti della macchina da presa, che accentua il clima di terrore crescente.



Nel 1966 Corman realizza The Wild Angels,  scandalizzando il pubblico con la sua raffigurazione in stile documentaristico della banda di motocilicsti Hell's Angels. Nello stesso periodo comincia a scontrarsi con Nicholson e Arkoff per questioni artistiche. Si avvicina quindi alla 20th Century Fox per dirigere uno dei film di gangster più efficaci degli anni '60, The St. Valentine Day Massacre (1967). Il lavoro per un grande Studio frustra però profondamente il regista, a causa dello scarso controllo sul processo di produzione e della sensazione di spreco di tempo e denaro.

Corman sente che ormai è giunto il momento di prendersi una pausa dalla regia e di concentrarsi sulla produzione. Nel 1971 forma la New World Pictures, distribuendo due grossi successi, Angels Die Hard (1970) e Student nurses (1970), commedia soft-core di sexploitation, di cui è anche produttore. Negli anni successivi, Corman comincia un'aggressiva politica di offerta dei suoi titoli anche nei drive-in e produce un flusso di film exploitation a basso budget realizzati da registi destinati a diventare celebri, tra cui Boxcar Bertha di Martin Scorsese (1972), Femmine in gabbia di Jonathan Demme (1974) e Grand Theft Auto di Ron Howard (1977). Contemporaneamente (e paradossalmente) la NWP diventa il distributore USA di Sussurri e grida di Bergman(1972) e di Amarcord di Fellini (1974).




Col crollo del mercato dei drive-in e l'ascesa di TV via cavo, VHS e, più tardi, DVD Corman capisce presto che i suoi giorni come produttore e distributore cinematografico stanno finendo. Di conseguenza, vende la NWP e fonda la Concorde-New Horizons, società rivolta spiccatamente all'home-video e al mercato direct-to-cable, con cui realizza film caratterizzati dalla massiccia presenza di violenza e sesso. All'inizio del 2000, Corman sposta le sue attività produttive in Irlanda, dove continua a produrre a ritmo serrato (oltre 30 tra film e TF ad oggi).

Roger Corman è stato determinante nel lanciare le carriere di molti giovani talenti del settore. Tuttavia, la sua vera eredità sono i suoi film. Omaggiato con numerose retrospettive in tutto il mondo, il regista è diventato un'autorità a Hollywood, nonostante non giri un film da Frankenstein Unbound del 1990. Corman è stato il "cane sciolto" che ha dato il via al cinema di ribellione negli Stati Uniti, rivoluzionando tecniche di regia e produzione, e segnando così in modo indelebile la storia del cinema.

Alessandro G.

venerdì 24 febbraio 2012

Oscar 2012: i pronostici - Parte Prima

Stasera notte degli Oscar, e così eccoci qui per deliziare i nostri fedeli lettori (25, come quelli di Manzoni) con le previsioni di Filmora. Come sempre, ci saranno il pronostico e la scelta personale dell'autore. Pronti? Si comincia!

Miglior fotografia
Testa a testa, sia nei pronostici che nelle mie preferenze, tra Hugo Cabret e The Tree of Life. Se c'è giustizia a questo mondo, però, deve vincere il film di Malick, perciò, dato che sono un idealista, il mio pronostico e la mia scelta personale premiano il suo film, scene dei dinosauri escluse.
Pronostico: The Tree of Life
Scelta personale:The Tree of Life

Miglior sceneggiatura originale
Altra scelta molto difficile: The Artist è un colpo di genio, ma Midnight in Paris è davvero un gioiellino, e ha dei dialoghi notevoli, oltre a un soggetto eccellente. Credo che all'Academy vorranno premiare Woody, che non porterà a casa nulla nelle altre sezioni, ma io do il mio personale voto all'Artista.
Pronostico: Midnight in Paris
Scelta personale:The Artist

Miglior sceneggiatura non originale
Qua il favorito è Paradiso Amaro, che però per me ha proprio nella sceneggiatura il problema principale, così come Hugo. Tra gli altri tre non so decidermi, sono tutti ugalmente meritevoli, ma forse quello che merita un po' di più è Le Idi di Marzo, non fosse altro che per risarcirlo della scarsezza di candidatura. Anche se Sorkin è sempre Sorkin, maledizione a lui e al suo Moneyball.
Vabbè, mi butto.
Pronostico: Paradiso Amaro
Scelta personale:Le Idi di Marzo

Miglior montaggio
Qui il discorso non inizia nemmeno, Schoonmaker per Hugo Cabret tutta la vita. Meritevole anche il montaggio di Uomini che odiano le donne, ma contro la storica collaboratrice di Scorsese non ci dovrebbe essere partita.
Pronostico: Hugo Cabret
Scelta personale:Hugo Cabret


Miglior film d'animazione
Per il primo anno non c'è la Pixar, e il favorito numero uno è e deve essere Rango, per originalità e voglia di stupire. Al secondo posto metto il film francese e dopo, ma molto dopo, Kung Fu Panda 2, che per questo vincerà.
Pronostico: Kung Fu Panda 2
Scelta personale:Rango

venerdì 3 febbraio 2012

Hugo Cabret

L'infantile capacità di sognare



Parigi, anni '30. Hugo è un orfano che vive all'interno della stazione di Montparnasse, dove si occupa della manutenzione e del funzionamento degli orologi. Il suo unico amico è un misterioso automa, lasciatogli dal padre, che cerca disperatamente di riparare. Proprio per procurarsi alcuni pezzi di ricambio arriva a rubare nel negozio di giocattoli di Nonno Georges, un anziano burbero e scontroso che, come il piccolo Hugo, nasconde un segreto insospettabile. Il loro incontro scatenerà una serie di eventi che aiuteranno entrambi a scendere a patti con il proprio passato.

Fin dalle prime sequenze, Hugo Cabret rivela una sorprendente creatività visiva e registica. Nel giro di dieci minuti si susseguono un piano sequenza "virtuale", che sfrutta le tecniche digitiali per portarci a spasso per Parigi, fino alla stazione di Montparnasse, con un approccio che sarebbe piaciuto a Orson Welles, e un magistrale piano sequenza "reale", in cui vediamo il piccolo Hugo muoversi nel suo mondo segreto all'interno della stazione, scoprendo di volta in volta una nuova, piccola meraviglia. Scorsese approccia il suo primo film per bambini con un'infantile voglia di stupire, regalando trovate visive in ogni momento del film, sia in quelle più dinamiche, sia in quelle più statiche come le visite in biblioteca, vero e proprio castello del sapere, immenso e stupefacente nella sua semplicità.

Il film è un inno alla giovinezza, all'infanzia, a quei primordi della nostra vita caratterizzati dall'amore per la scoperta, l'esplorazione e l'avventura. La storia di Hugo corre in parallelo con quella del cinema, raccontata attraverso la vita e le opere di George Melies, mago, illusionista, e primo grande talento visivo della settima arte. Sue le invenzioni dei primi effetti speciali, dei primi trucchi, delle prime opere in grado di far sognare e non solo di descrivere, attraverso l'uso di immagini sofisticate (per l'epoca) e di un gusto per il fantastico ambizioso e visionario. Il cinema diviene così il vero protagonista del film, che ci accompagna in un viaggio tra le creazioni di Melies e tra altre mille suggestioni, tra cui un automa che non può non ricordare la Metropolis di Fritz Lang.

Scorsese dedica una grande attenzione agli spazi,che da luoghi reali diventano la sede dei giochi e delle avventure di giovani e adulti: la stazione diventa così un dedalo di cunicoli e passaggi segreti, la biblioteca un mondo da esplorare, un set cinematografico un castello di vetro controllato da un mago con la passione per lo stupore. In questo senso la fotografia di Robert Richardson e le scenografie di Dante Ferretti diventano un valore aggiunto che, attraverso un sapiente uso della luce, riesce a conferire ad ogni singolo ambiente e ad ogni situazione un'atmosfera specifica e unica, che lo caratterizza e lo rende vivo, quasi uno dei personaggi della storia

La forza visiva del film è tale che gli si perdonano alcune lungaggini evitabili, una trama esile che stenta a decollare, se non nel finale, e la scarsa attenzione dedicata ai dialoghi dei ragazzi, spesso un po' troppo artefatti. La forza del film è supportata dalla meravigliosa prova di Ben Kingsley nella parte del giocattolaio-regista, reliquia di un tempo che sembra sparito e, allo stesso tempo, precursore di un mondo che deve ancora venire. Intorno a lui e ai due giovani protagonisti si muove un gruppo di caratteristi eccezionali, tra cui spicca Sasha Baron Cohen nel ruolo di un implacabile capostazione che sembra uscito da un racconto di Dickens.


Hugo Cabret è come un orologio antico: i meccanismi non sono sempre perfetti, a volte si inceppano ma, una volta aperto, rivela al suo interno una perfezione e una bellezza tale che è impossibile non restarne rapiti e affascinati. Il 3D è, per una volta, un valore aggiunto, che arricchisce ulteriormente la fiaba di Scorsese, un omaggio al cinema che scalda il cuore e regala alcuni momenti di pura poesia.

***1/2

Pier

venerdì 12 marzo 2010

Shutter Island

Geniale follia

 

Anni '50.Due agenti federali, Teddy Daniels e Chuck Aule, vengono inviati al manicomio criminale di Shutter Island per indagare sull'improvvisa scomparsa di una paziente. INonostante le dichiarazioni di direttore ed infermieri, che affermano che la fuggitiva sia scomparsa nel nulla, l'agente Daniels comincia a sospettare di tutti, direttore e medici compresi. 

Scorsese realizza un thriller psiconalatico duro, intenso, che non lascia un attimo di respiro: continui colpi di scena e momenti di grande tensione contribuiscono a far percepire allo spettatore l'atmosfera claustrofobica dell'istituto psichiatrico. La verità viene sovvertita, manipolata, aggirata, negata, fino a privarla della sua fattualità e a renderla solo un'opinione. Chi è il vero pazzo? Il medico o i pazienti? Scorsese fino all'ultimo non dà risposte, e lascia gli spettatori a tormentarsi nel dubbio, creando una trama complessa con molteplici piani di lettura. 

La regia è splendida per pulizia e rigore, ed è sorretta da un montaggio perfetto e da una fotografia di rara bellezza, che alterna sapientemente luci e ombre, colore e grigi, contribuendo alla creazione dell'atmosfera inquietante richiesta dal genere. Ottime anche le scene oniriche, che citano quelle create da Dalì per Io ti salverò di Hitchcock, vera e propria pietra miliare del thriller psicoanalitico.

Di Caprio è eccezionale, e alterna con maestria la durezza richiesta dalla sua professione e il dolore per quanto ha dovuto vedere durante la guerra. Ottimo anche Ben Kingsley nella parte del direttore del manicomio e Mark Ruffalo nei panni del collega di Di Caprio.

Scorsese firma un film forte, difficile da digerire, ma che fa capire come anche da un genere "pop" come il thriller si possano trarre momenti di grandissimo cinema.

****

Pier