venerdì 3 febbraio 2012

Hugo Cabret

L'infantile capacità di sognare



Parigi, anni '30. Hugo è un orfano che vive all'interno della stazione di Montparnasse, dove si occupa della manutenzione e del funzionamento degli orologi. Il suo unico amico è un misterioso automa, lasciatogli dal padre, che cerca disperatamente di riparare. Proprio per procurarsi alcuni pezzi di ricambio arriva a rubare nel negozio di giocattoli di Nonno Georges, un anziano burbero e scontroso che, come il piccolo Hugo, nasconde un segreto insospettabile. Il loro incontro scatenerà una serie di eventi che aiuteranno entrambi a scendere a patti con il proprio passato.

Fin dalle prime sequenze, Hugo Cabret rivela una sorprendente creatività visiva e registica. Nel giro di dieci minuti si susseguono un piano sequenza "virtuale", che sfrutta le tecniche digitiali per portarci a spasso per Parigi, fino alla stazione di Montparnasse, con un approccio che sarebbe piaciuto a Orson Welles, e un magistrale piano sequenza "reale", in cui vediamo il piccolo Hugo muoversi nel suo mondo segreto all'interno della stazione, scoprendo di volta in volta una nuova, piccola meraviglia. Scorsese approccia il suo primo film per bambini con un'infantile voglia di stupire, regalando trovate visive in ogni momento del film, sia in quelle più dinamiche, sia in quelle più statiche come le visite in biblioteca, vero e proprio castello del sapere, immenso e stupefacente nella sua semplicità.

Il film è un inno alla giovinezza, all'infanzia, a quei primordi della nostra vita caratterizzati dall'amore per la scoperta, l'esplorazione e l'avventura. La storia di Hugo corre in parallelo con quella del cinema, raccontata attraverso la vita e le opere di George Melies, mago, illusionista, e primo grande talento visivo della settima arte. Sue le invenzioni dei primi effetti speciali, dei primi trucchi, delle prime opere in grado di far sognare e non solo di descrivere, attraverso l'uso di immagini sofisticate (per l'epoca) e di un gusto per il fantastico ambizioso e visionario. Il cinema diviene così il vero protagonista del film, che ci accompagna in un viaggio tra le creazioni di Melies e tra altre mille suggestioni, tra cui un automa che non può non ricordare la Metropolis di Fritz Lang.

Scorsese dedica una grande attenzione agli spazi,che da luoghi reali diventano la sede dei giochi e delle avventure di giovani e adulti: la stazione diventa così un dedalo di cunicoli e passaggi segreti, la biblioteca un mondo da esplorare, un set cinematografico un castello di vetro controllato da un mago con la passione per lo stupore. In questo senso la fotografia di Robert Richardson e le scenografie di Dante Ferretti diventano un valore aggiunto che, attraverso un sapiente uso della luce, riesce a conferire ad ogni singolo ambiente e ad ogni situazione un'atmosfera specifica e unica, che lo caratterizza e lo rende vivo, quasi uno dei personaggi della storia

La forza visiva del film è tale che gli si perdonano alcune lungaggini evitabili, una trama esile che stenta a decollare, se non nel finale, e la scarsa attenzione dedicata ai dialoghi dei ragazzi, spesso un po' troppo artefatti. La forza del film è supportata dalla meravigliosa prova di Ben Kingsley nella parte del giocattolaio-regista, reliquia di un tempo che sembra sparito e, allo stesso tempo, precursore di un mondo che deve ancora venire. Intorno a lui e ai due giovani protagonisti si muove un gruppo di caratteristi eccezionali, tra cui spicca Sasha Baron Cohen nel ruolo di un implacabile capostazione che sembra uscito da un racconto di Dickens.


Hugo Cabret è come un orologio antico: i meccanismi non sono sempre perfetti, a volte si inceppano ma, una volta aperto, rivela al suo interno una perfezione e una bellezza tale che è impossibile non restarne rapiti e affascinati. Il 3D è, per una volta, un valore aggiunto, che arricchisce ulteriormente la fiaba di Scorsese, un omaggio al cinema che scalda il cuore e regala alcuni momenti di pura poesia.

***1/2

Pier

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