venerdì 20 ottobre 2017

IT

La bellezza della paura


Derry, Maine, anni Ottanta: il piccolo Georgie esce a giocare con una barchetta in un giorno di pioggia, e scompare senza lasciare traccia. Il fratello di George, Bill, è determinato a scoprire cosa gli sia successo. A lui si unirà un eterogeneo gruppo di ragazzini autosoprannominatosi il Club dei Perdenti: scopriranno che dietro la scomparsa di Georgie e di altri bambini c'è un orrore senza nome che popola da sempre i bassifondi e gli incubi di Derry: IT.

Xavier Dolan ha definito IT il suo film preferito del secolo. Quali sono le motivazioni che stanno dietro a questa palese iperbole? Semplice: IT è un film di genere, e di un genere spesso considerato di serie B, realizzato con la qualità visiva, interpretativa e di scrittura di un film d'autore. IT è un film che, fin dalla magistrale scena d'apertura (il materiale di partenza di King aiuta, ma non basta per realizzare una scena così ben fatta), ripudia ogni facile trucchetto cui ci hanno abituato i film dell'orrore per costruire una storia di terrore e inquietudine, che riflette con fedeltà lo spirito di King e al tempo stesso lo reinventa dal punto di vista visivo e simbolico.

Mettiamolo subito in chiaro: a meno che non siate rimasti traumatizzati da ragazzi, il film non fa paura nel senso stesso del termine. Il film trasmette paura, ma non regala spaventi gratuiti, non alza il volume della colonna sonora per farvi sobbalzare sulla sedia.  IT, come il libro, trasmette la paura provata da un gruppo di ragazzi per cui il confine tra reale e fantasia è più labile, e fa riflettere gli adulti su come i loro mostri finiscano per infestare gli incubi dei ragazzi, e sul perché i ragazzi non osino rivelare loro le proprie paure. È un film che non vuole solo fare paura, ma vuole parlare della paura, del Male, e delle maschere sotto cui si celano nella vita di tutti giorni.


Muschietti mette al centro della storia i personaggi, il vero punto forte del libro, e vince in pieno la scommessa: i membri del Club dei Perdenti sono semplicemente perfetti, fedele rappresentazione di quel momento così delicato che è il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, ma soprattutto archetipo di ogni gruppo di amici che ha giocato insieme in un'estate infinita, in cui combattere un mostro diventa solo un altro modo di stare insieme. Bill, Richie, Beverly, Ben, Eddie, Mike e Stan ci conquistano fin dalla prima scena: sono tutti interpretati ma soprattutto caratterizzati alla perfezione, con una cura e un'attenzione che li rendono veri, reali, rendendo così veri e vividi anche i pericoli che si trovano ad affrontare, la creatura che da secoli infesta la loro città, quel Pennywise che ancora popola gli incubi dei lettori e di chi ha visto la prima (superficiale) miniserie tratta dal libro di King.  Bill Skarsgård offre una prova magistrale nella parte del clown: se è vero che il registro di Tim Curry era più ampio, e costituiva l'unico vero successo della prima miniserie, non si può non riconoscere che Muschietti ha scelto una strada totalmente diversa, restituendoci un Pennywise più fedele al materiale cartaceo, più diabolico, un'incarnazione vivente del Male. È nella prima scena, tuttavia, che Skarsgård mostra tutta la sua versatilità, alternando con inquietante abilità la vera personalità di IT con il volto scanzonato di un vero clown.


Muschietti non ha paura di fare scelte coraggiose, cambiando notevolmente alcuni punti centrali della storia senza però dimenticarli del tutto, con sottili citazioni e raffinate rielaborazioni. La sua scelta è di  mantenersi fedele allo spirito anziché alla lettera del romanzo, ed è una scelta vincente, che rinforza i messaggi di King (l'importanza dell'amicizia, l'universalità del Male) riuscendo al tempo stesso a trasformare in sequenze cinematograficamente convincenti quelle parti del libro che sembravano quasi impossibili da filmare.
Ad aiutarlo c'è la fenomenale fotografia di Chung-hoon Chung, storico direttore della fotografia di Park Chan-wook (Oldboy, Lady Vendetta, Stoker), che crea una Derry soffocante, claustrofobica anche nelle scene all'aperto, rendendo a livello visivo l'idea kingiana che IT è Derry, è la città, la personificazione del Male che la pervade. A questo si aggiunge una cura delle inquadrature e delle immagini che non si vedeva in un film dell'orrore dai tempi (guarda caso), di quello che rimane il miglior film tratto da un film di King, Shining di Stanley Kubrick. Chung gioca con luci e ombre e con la profondità di campo con incredibile maestria, e crea immagini stranianti e quasi aliene, che fanno sì che il film sia permeato da una sottile inquietudine, solo accennata nelle scene apparentemente più spensierate e che esplode con violenza a ogni apparizione di Pennywise.

La scena nella casa abbandonata di sapore hitchcockiano è magistrale per come combina una serie apparentemente infinita di invenzioni visive che riescono a reinventare e innovare uno dei topoi del genere horror. A questa si aggiunge la meravigliosa sequenza finale nelle fogne, in cui Muschietti e Chung, come esperti prestigiatori, sfoderano i loro ultimi trucchi per il gran finale.

IT è un film che tratta il suo materiale di partenza con rispetto, affetto, e passione. Parafrasando Dolan, è un film che rispetta il gusto e l'intelligenza dello spettatore, è ciò che l'intrattenimento dovrebbe sempre essere: un racconto in grado di toccare le corde emotive dello spettatore, suscitando affetto, paura, disgusto, ilarità, tutto lo spettro delle emozioni, con immagini che rimangono impresse e una storia che, in fondo, fa parte di ognuno di noi. Non perdetelo.

**** 1/2

Pier

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