domenica 1 ottobre 2017

Madre!

Quando un film sfugge di mano


Lui è uno scrittore di successo che sta attraversando un momento di crisi creativa; lei è sua moglie, completamente assorbita nella ristrutturazione della casa in cui lui è cresciuto, quasi del tutto distrutta da un incendio. La loro vita scorre tranquilla fino a quando uno sconosciuto non bussa alla loro porta, in cerca di un posto dove dormire: lei è scettica, ma lui lo accoglie e lo invita a restare. Da lì, tutto precipita.

Fin dalla sua prima proiezione a Venezia, Madre! ha scatenato reazioni violente e opposte negli spettatori: da una parte chi lo ha adorato, apprezzandone la forza visionaria e l'indubbia impronta registica; dall'altra, più numerosa, chi lo detesta, contestandogli un simbolismo d'accatto, una seconda parte a dir poco confusa, e una spiegazione raffazzonata e poco coerente. 

La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Aronofsky realizza un film di fortissimo impatto, sia visivo che sonoro, in cui gli eventi si susseguono con la logica degli incubi, una parvenza di senso che in realtà causa profondo straniamento e lascia continuamente lo spettatore con la sensazione che qualcosa sia sbagliato, fuori posto, senza però riuscire a capire cosa. Il film racconta una storia dall'afflato biblico, in cui ciò che accade ha un significato simbolico prima ancora che reale, e diversi piani di lettura (biblico, climatico, creativo, autobiografico) si intersecano senza però che uno emerga mai in maniera del tutto univoca. Madre! è incubo, è delirio, è tragedia insensata che si dipana sotto i nostri occhi.
Nel primo atto il regista dimostra di avere pieno possesso della sua creatura, e ci trasporta nel suo mondo distorto e idilliaco attraverso delle immagini che insistono sui corpi e sulle persone prima che sugli spazi, sempre stringenti e compressi, e un sonoro di altissimo livello in cui si inseguono suoni del reale e dell'irreale, fino a cancellare il confine tra i due piani. 

Nella seconda parte, tuttavia, Aronofsky perde completamente le redini, e si lascia trascinare in un gorgo di simbolismi che si sovrappongono a caso, cercando allo stesso tempo di indicare allo spettatore un'interpretazione univoca e infallibile di ciò che sta accadendo. In questo modo, il regista disattende le sue stesse premesse, cercando di introdurre la logica in una storia che proprio nell'assenza di senso aveva trovato la sua cifra espressiva. Aronofsky rinuncia alla dirompente visionarietà della prima parte nel tentativo, peraltro miseramente fallito, di arrivare a una conclusione che fungesse allo stesso tempo da twist narrativo e da chiave interpretativa definitiva. Nel farlo, però, sembra quasi dimenticarsi tutto ciò che ha mostrato fino a quel momento, tutte le contraddizioni, i simbolismi alternativi, complementari e sovrapposti che costituivano il cuore del film, e di cui sembra volersi liberare con la stessa violenza e la stessa goffa inefficacia con cui la sua protagonista cerca di liberarsi degli sconosciuti. Aronofsky perde il controllo persino del tono del film, generando risate sguaiate in momenti che dovrebbero essere di tensione o quantomeno stranianti.
Il film è sorretto dalle ottime prove degli attori: la Lawrence spicca su Bardem, ma ambedue vengono oscurati dall'ingresso in scena di due mostri sacri come Ed Harris e Michelle Pfeiffer, perfetti nei panni di due novelli Adamo ed Eva, accolti nell'Eden e fautori della propria cacciata.

Madre! è, in fondo, un film che pecca di scarso coraggio, che dopo un inizio dirompente esita, tituba, e alla fine si tira indietro, rientrando nei ranghi del cinema di genere. Si ha quasi la sensazione che Aronofsky (o gli studios, chissà) si sia spaventato di fronte al potenziale innovativo della sua opera, che gli avrebbe senza dubbio alienato la gran parte del pubblico, e abbia cercato di rimediare con una spiegazione posticcia. 
Il risultato è un film con un eccessivo numero di alti e bassi, che comunque non piace al pubblico e scontenta anche molti cinefili proprio per questo tentativo di "rifarsi un'immagine", per la pavidità dimostrata dopo una prima parte davvero intrigante nella sua unicità. È comunque un lavoro estremamente interessante, che non merita certo l'ironico scorno con cui è stato accolto da molti critici in quel di Venezia. Certo, rimane il rammarico per ciò che avrebbe potuto essere.

***

Pier

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