venerdì 1 ottobre 2021

007 - No Time do Die

Licenza di chiudere


James Bond si è ritirato dal servizio attivo, e si gode la pensione con Madeleine Swann, conosciuta durante gli eventi di Spectre. Tuttavia, il passato di entrambi nasconde ancora segreti, e tornerà a tormentarli, costringendo Bond a tornare in servizio.

Fin da Casino royale, tutta l'esperienza di Daniel Craig come 007 è stata segnata dal tentativo di rinnovare il personaggio, sia a livello caratteriale che narrativo. La stessa scelta di Craig - un Bond grezzo, muscolare, ruvido - andava in quella direzione. Attraverso cinque film, autori e registi diversi hanno condiviso l'obiettivo di creare un universo narrativo coerente, con un arco psicologico del protagonista che si dipana su più film, personaggi ricorrenti, filoni di trama che continuano e si risolvono nel film successivo. No time to die aveva l'ingrato compito di tirare le fila, agendo quasi da Avengers: Endgame di questo ciclo di Bond, e al tempo stesso di continuare questo processo di rinnovamento.

E le novità, indubbiamente, non mancano: l'approccio narrativo è focalizzato sui personaggi più che sulla missione, al punto che questa sembra spesso secondaria rispetto al percorso. Qui si notano le prime differenze con Skyfall (ma anche con Casino royale), che invece era riuscito a mantenere maggiormente in equilibrio le due anime del film - quella dei Bond classici, fatti di avventure rocambolesche e coolness, e quella del ciclo di Craig, focalizzata sui rovelli interiori del protagonista. 

L'impalcatura regge solo grazie a una sceneggiatura con ottimi dialoghi (in alcuni è evidente la mano di Phoebe Wallers-Bridge, chiamata a "svecchiare" alcuni aspetti della sceneggiatura originale) e a una regia solida da parte di Fukunaga, che dimostra ottima mano per l'action, muovendosi con maestria tra i momenti più realistici e quelli più fumettistici, e regalando alcune sequenze memorabili come quella a Matera e una scazzottata in piano sequenza degna di quella di Atomica Bionda. A brillare meno del solito sono i set, abbastanza anonimi e derivativi, nonostante alcuni di essi offrissero grandi possibilità creative ed espressive (ad esempio, il giardino di Safin). 
E deludono abbastanza anche i villain -  non come interpretazione, ma come caratterizzazione e centralità nella trama: Rami Malek offre un'interpretazione convincente, che ricorda quelle dei "mostri" del cinema muto, ma il suo Safin manca di spessore drammatico e motivazioni convincenti; e il Blofeld di Waltz è, ancora una volta, sprecato malamente (anche se, paradossalmente, meno che in Spectre).

Il cast è azzeccato e in ottima forma, con un'unica eccezione: una Léa Seydoux in modalità Corinna Negri, incapace di comunicare efficacemente qualunque emozione e continuamente oscurata da chiunque le venga messo a fianco in scena, attrici bambine comprese: il confronto con il precedente interesse amoroso di Bond (la Vesper Lynd/Eva Green di Casino royale) è impietoso. 
La sua prestazione pedestre, per fortuna, non frustra l'ottima prova di Daniel Craig, che incarna alla perfezione questo Bond malinconico e dolente, e di tutto il cast di supporto: accanto ai come sempre ottimi Ralph Fiennes (M), Ben Whishaw (Q) e Naomie Harris (Moneypenny), a questo giro si distingue Ana de Armas, splendida per ironia e presenza scenica nei panni dell'inesperta (?) agente CIA. Una prova, la sua, che accresce ulteriormente il rammarico per aver affidato la parte della protagonista a un'attrice così inconsistente. Buona anche la prova di Lashana Lynch, una 007 (ebbene sì) convincente, anche se forse lasciata un po' troppo ai margini.

Nonostante qualche inciampo narrativo e una spettacolarità inferiore alle attese, il film avvince e convince negli elementi chiave, i colpi di scena, dotati di un notevole impatto emotivo e capaci di capovolgere di continuo le attese dello spettatore fino all'ultimo minuto di film, e di farlo in  modo soddisfacente. 
Sembra facile, ma non lo era affatto, considerando sia la storia produttiva del film, sia l'enorme bagaglio di aspettative che si portava dietro. No time to die doveva stupire, ma anche guardare al passato; tirare le fila, ma al tempo stesso raccontare una storia a se stante. Ci riesce? La risposta è sì: forse non in maniera memorabile, ma senza dubbio in maniera efficace, rendendo onore a un'era di Bond che, nel bene e nel male, ha avuto il coraggio di cambiare l'immagine di un'icona: in tempi in cui si sta spremendo fino all'estremo l'effetto nostalgia, non è poco.

***

Pier

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