Visualizzazione post con etichetta Daniel Craig. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Daniel Craig. Mostra tutti i post

sabato 7 settembre 2024

Venezia 2024 - Il Totoleone

Anche quest'anno siamo giunti al termine della Mostra del Cinema, tra caldo tropicale, biciclette, cene ingollate tra un film e l'altro, e critici buongustai in panama bianco: una Mostra di buon livello medio, con poche vette ma ancor meno delusioni o film che facevano venir voglia di fuggire dalla sala. Anche quest'anno Alberto Barbera ha confezionato un'ottima selezione, corroborando l'entusiasmo con cui molti (compreso chi scrive) avevano accolto la sua riconferma.

È stata una Mostra in cui, come nel 2023, ci sono stati molti film biografici, da Diva Futura ad Ainda Estou Aqui, passando per la Callas di Larrain in Maria. Accanto a questi, molti film di carattere storico, come Campo di Battaglia e The Order, mentre minore è stata la presenza della politica, portata solo (e molto marginalmente) da Youth: Homecoming e The Room Next Door. La Mostra continua a guardare alla realtà, sia passata che presente, ma quest'anno è rispuntata la fantasia, che si è persino permessa di inventare intere biografie (The Brutalist). 

Qui trovate un elenco, con voti, dei film visti. Di seguito, invece, trovate i pronostici, quasi sicuramente sbagliati, per il Leone d'Oro e gli altri premi, corredati come sempre dalle mie preferenze personali.


Premio Mastroianni per il miglior attore emergente
Non ci sono tantissimi candidati papabili al premio Mastroianni quest'anno - vuoi per scarsità di ruoli rilevanti, vuoi per la natura corale della maggior parte dei film con giovani protagonisti. Il pronostico ricade su Martina Scrinzi, giovane protagonista di Vermiglio, mentre la mia scelta personale va a Benjamin Voisin, splendido coprotagonista di The Quiet Son, anche se forse è già troppo lanciato per poter ottenere questo premio.
PronosticoMartina Scrinzi, Vermiglio
Scelta personaleBenjamin Voisin, The Quiet Son

Coppa Volpi maschile
Sfida molto accesa, con tantissimi pretendenti: dal Vincent Lindon di The Quiet Son al Joaquin Phoenix canterino di Joker: Folie à Deux (dopo che con Joker non vinse a causa del regolamento della Mostra che impedisce che il Leone d'Oro prenda altri premi - regola cui pare quest'anno sia possibile ovviare in caso di unanimità in giuria); dall'Adrien Brody di The Brutalist al Nahuel Pérez Biscayart di El Jockey, passando per Daniel Craig in Queer. A Biscayart, dolente e silenzioso, va il mio pronostico, mentre su Brody, potente e fragile, va la mia scelta personale.
PronosticoNahuel Pérez Biscayart, El Jockey
Scelta personale: Adrien Brody, The Brutalist

Coppa Volpi femminile 
Sfida meno accesa di quella per la Coppa maschile, ma comunque ricca di pretendenti qualificate: Angelina Jolie offre la classica prova "da Oscar" in Maria, ma Isabelle Huppert potrebbe preferire prove meno appariscenti e più "contenute" come quelle di Tilda Swinton e Julianne Moore in The Room Next Door o di Fernanda Torres in Ainda Estou Aqui. Sulla Torres, bravissima, ricade il mio pronostico. La mia scelta personale va invece, ex aequo, alle due protagoniste del film di Almodovar, che sarebbe dimenticabile (a dispetto di ciò che dice la critica imparruccata, che non a caso sembra apprezzare un Almodovar più conservatore) se non fosse per la loro straordinaria prova.
Pronostico: Fernanda Torres, Ainda Estou Aqui
Scelta personale: Julianne Moore e Tilda Swinton, The Room Next Door

Leone d'Argento (Miglior Regia) 
Se ci fosse giustizia, The Brutalist avrebbe già il Leone d'Oro. Ma dato che il mondo è buio e freddo, e i capolavori vengono riconosciuti pienamente solo con il tempo, temo che Corbet dovrà "accontentarsi" di questo premio - un risultato comunque notevolissimo per un regista al terzo film. Su di lui ricade il mio pronostico, mentre la mia scelta personale ricade su Todd Phillips, che firma un sequel coraggioso e divisivo, creando una commissione di generi di difficile digestione ma di grande ricchezza e complessità. Piccola menzione anche per Giulia Steigerwalt, che realizza un'opera seconda di rara maturità per composizione, chiarezza tematica, e direzione degli attori: ma il film ha toni da commedia, peccato mortale presso i festival cinematografici e i già citati critici imparruccati.
Pronostico: Brady Corbet, The Brutalist
Scelta personale: Todd Phillips, Joker: Folie à Deux

Gran Premio della Giuria 
Il favorito per il secondo premio più importante sembrerebbe un beniamino dei giudici come Luca Guadagnino. E il suo Queer è indubbiamente un bel film a tutti i livelli: visivo (soprattutto), recitativo, e di scrittura (ancorché troppo lungo). Il problema è che è molto poco originale, e soprattutto è un adattamento pessimo del romanzo breve di Burroughs, e ne tradisce in pieno toni, intenzioni, e stile. Se ci fosse un minimo di attenzione per questi aspetti, il premio dovrebbe andare ad altri: ma temo non sarà così. All'opera più bizzarra, originale, meravigliosamente schizofrenica della Mostra - El Jockey di Luis Ortega - va invece la mia preferenza personale.
Pronostico: Queer
Scelta personaleEl Jockey

Leone d'Oro 
Sfida davvero accesa e incerta, con tutti i film già citati per gli altri premi che potrebbero legittimamente ambire anche al trofeo più prestigioso. Come detto, il mio preferito, nonché unico vero capolavoro della Mostra, è The Brutalist, ma temo non vincerà a favore di The Room Next Door. Un film che piace a chi scambia la verbosità per profondità, che può comunque esibire dei meriti oggettivi (tematica rilevante, attrici ottime, uso del colore splendido). Su Almodovar, dunque, ricade il mio pronostico.
Pronostico: The Room Next Door
Scelta personale: The Brutalist

È tutto anche per quest'anno. Correte in SNAI a scommettere sull'opposto dei miei pronostici, e noi ci risentiamo per l'edizione 2025.

Pier

martedì 3 settembre 2024

Telegrammi da Venezia 2024 - #4

Quarto telegramma da Venezia 2024, tra eutanasia, villaggi alpini e di campagna, perdita della memoria, e grandi registi che cercano di adattare grandi scrittori, con risultati altalenanti.


The Room Next Door (Concorso), voto 6.5. Almodovar realizza un film sull'eutanasia splendidamente recitato da Swinton e Moore (anche se la scelta di far fare due personaggi alla pur ottima Swinton risulta posticcia anziché efficace) e con una fotografia pittorica. Tuttavia, la sceneggiatura è eccessivamente verbosa, con una serie di monologhi simil-teatrali che riducono la credibilità e il coinvolgimento emotivo.

Vermiglio (Concorso), voto 7. Italia, anni Quaranta. Una famiglia che vive in un paesino sulle Alpi trentine vede la sua quotidianità sconvolta dall'arrivo di un fuggiasco dalla guerra e dalla crescita delle figlie. Film di respiro, fatto di quotidianità e atmosfere, che ricorda i lavori di Giorgio Diritti nella sua indagine del rapporto uomo-natura e delle relazioni umane. Tocca le corde giuste, nonostante una lunghezza eccessiva. Qui la recensione completa scritta per Nonsolocinema.

Familiar Touch (Orizzonti), voto 8. Una donna ancora autosufficiente ma con gravi problemi di memoria si trasferisce in una clinica. Toccante e commovente, il film affronta il problema del declino cognitivo dal punto di vista del paziente, ma senza indulgere né negli orrori della malattia né in facili pietismi. La protagonista (seria candidata al premio come migliore attrice della sezione Orizzonti) vive la sua quotidianità con leggerezza e sorrisi, cercando di trovare un raggio di luce nell'ombra che le sta calando nel cervello.

Queer (Concorso), voto 6.5. Guadagnino adatta l'omonimo romanzo di Burroughs, e conferma ancora una volta la difficoltà nel portare al cinema i romanzi della beat generation. La storia è infatti di scarso interesse, perché l'innovazione non sta nel "cosa" racconta Burroughs, ma nel "come": una prosa innovativa, che scardina le convenzioni sia a livello stilistico che narrativo. Guadagnino, invece, gira in modo iper-classico, e non bastano alcune scene allucinatorie per restituire lo stile di Burroughs. In generale, è difficile immaginare un regista meno adatto ad adattare l'autore più geniale del gruppo beat: laddove Burroughs è sporco, sudicio, distrutto, Guadagnino è pulito, lucido, patinato. Bellissima la forma (soprattutto l'uso di luce, debitore anche di Storaro nel finale, e colore); ma la sostanza è davvero poca.

Harvest (Concorso), voto 5. Un villaggio vive in pace con se stesso e la natura, vivendo una vera esistenza comunitaria, fino a quando un cambio nel proprietario terriero sconvolge la quotidianità dei protagonisti. Il film sembra indeciso su che strada prendere, flirtando con il folk horror e con il dramma d'epoca senza però mai prendere una decisione. Il risultato è un film confuso, lento, e sconclusionato, che non può essere salvato da alcune scene molto riuscite e dalla buona prova del cast.

Pier e Simone

giovedì 29 dicembre 2022

Glass Onion

Nomen omen


Benoit Blanc, celebre detective, riceve uno strano rompicapo, che si rivela essere un invito per un'esclusiva vacanza sull'isola greca di proprietà del multimiliardario tech Miles Bron. Insieme a lui ci sono gli storici amici di Bron, e la sua ex socia, cui Bron ha sottratto il controllo della società. La vacanza prevede una "cena con delitto", che gli ospiti dovrebbero risolvere. Ma Blanc si rende presto conto che il finto delitto rischia di non essere tale.

Non era semplice replicare il successo di Knives Out!: c'è una ragione per cui ancora oggi leggiamo Agatha Christie, ed è che costruire gialli avvincenti ed efficaci cambiando ogni volta i protagonisti (detective escluso) non è un'impresa da nulla. Il lettore non può essere attirato dall'affetto per i personaggi, e tutto quindi si regge sulla capacità di costruire un giallo efficace, in grado sia di intrattenere che di stupire: non troppo facile da risolvere, altrimenti dove sarebbe la suspence, ma nemmeno troppo difficile, altrimenti il lettore si sentirebbe ingannato. Questa difficoltà è ancora maggiore al cinema, sia per la maggiore tendenza alla serializzazione di situazioni e personaggi (soprattutto di questi tempi), sia per la necessità di spettacolarizzazione che spesso cozza con la metodica, logica lentezza del whodunit: non è un caso che le opere di Agatha Christie più spesso adattate per il cinema siano anche quelle più flamboyant per storia e soluzione.

A queste difficoltà "comuni" Rian Johnson aggiungeva anche quella della formula: Knives Out! funzionava anche grazie al suo approccio destrutturante al genere. I tropoi del whodunit venivano smontati, esposti al pubblico, e rimontati, in un gioco di scatole cinesi in cui sapevamo fin da subito il colpevole, ma anche stimolati a riflettere su come la percezione soggettiva non sia la realtà, e come ciò che è vero possa essere desunto solo mettendo insieme prospettive diverse - diverse percezioni soggettive. Era un gioco più simile a Rashomon che ad Agatha Christie - un gioco divertente, ma che mostra in fretta la corda se non eseguito in maniera impeccabile.

Johnson si dimostra un maestro della messa in scena, e riesce a ricreare la magia di quel gioco di specchi anche nel secondo film. Lo fa cambiando qualche ingrediente: il protagonista, ad esempio, qui è inequivocabilmente Benoit Blanc, che nel primo film giocava un ruolo sì centrale, ma secondario rispetto a quello del personaggio interpretato da Ana de Armas. Anche la location cambia - dalla classica magione con mille segretti a un'isola (un richiamo evidente a Dieci piccoli indiani, e non sarà l'unico) - ma soprattutto cambia la premessa: da un delitto "scoperto" a uno "preparato", un invito a cena con delitto in cui le tensioni sono palpabili e si aspetta solo il loro deflagrare. Johnson mescola sapientemente questi nuovi trucchi con alcuni già presenti nel film precedente: senza fare spoiler, anche qui la molteplicità di prospettive gioca un ruolo più che centrale nella soluzione dell'enigma. 

Johnson tesse la sua tela con pazienza, attirando lentamente lo spettatore nella sua rete di segreti e piccole e grandi meschinità, seminando falsi indizi, addirittura false trame, ma senza mai perdere di vista il suo obiettivo. Il suo film è una perfetta rappresentazione del suo titolo: una cipolla di vetro. All'apparenza, il mistero è invisibile, nascosto sotto i molteplici strati della cipolla, che vanno pelati uno a uno per arrivare alla soluzione. Quando, però, la soluzione arriva, ci si rende conto che la cipolla è sempre stata di vetro, e quindi trasparente. La risposta era lì, in bella vista davanti ai nostri occhi: sarebbe bastato guardare con più attenzione.
La sceneggiatura non si fa mancare nemmeno dei gustosi riferimenti all'attualità (esilarante il modo in cui gestisce la questione Covid) e stoccate al mondo degli ultravip dello spettacolo, dei social, e del tech - impossibile, in particolare, non riconoscere un mix di Zuckerberg ed Elon Musk nel personaggio di Edward Norton. La critica sociale, tema caro a Johnson (al punto che è riuscito a infilarla pure in Star Wars) è meno centrale che in Knives Out!, ma serpeggia nel film come un fiume carsico, riaffiorando in più occasioni.

Il cast collettivo è, ancora una volta, eccezionale: i nomi sono meno altisonanti di quelli del primo capitolo, ma tutti sono perfetti per il proprio ruolo, da un Dave Bautista sempre più a suo agio con le note comico a una Kate Hudson perfetta nel ruolo della svampita egoista, passando per la co-protagonista Janelle Monàe, perfetta antitesi di quella di Ana de Armas nel primo film. A brillare, però, è soprattutto il Benoit Blanc di Daniel Craig, uno dei personaggi originali più riusciti degli ultimi anni di cinematografia: brillante e goffo, carismatico e buffo, Blanc è un personaggio sfaccettato come le storie in cui si trova immerso, e Craig lo interpreta con travolgente energia e un pizzico di sana autoironia, in un ruolo che fa brillare le sue qualità attoriali molto più che quello di 007.

Glass Onion non è esente da difetti, da alcune coincidenze un po' eccessive a un colpevole forse un po' telefonato, anche se la sceneggiatura riesce a lasciare il dubbio praticamente fino all'ultimo; e la critica sociale, pur riuscita in molti punti, è meno efficace che in Knives Out!. Nel complesso, Johnson realizza un film forse leggermente meno brillante del predecessore (d'altronde alcuni elementi della formula sono giocoforza gli stessi) ma che intrattiene e diverte alla grande grazie a uno splendido protagonista e a una sceneggiatura a orologeria in termini di dialoghi e caratterizzazione. In un'epoca in cui le idee originali scarseggiano, Johnson si dimostra ancora una volta uno sceneggiatore e regista di straordinaria inventiva, in grado di realizzare prodotti in grado di piacere sia al pubblico che alla critica.

****

Pier

venerdì 1 ottobre 2021

007 - No Time do Die

Licenza di chiudere


James Bond si è ritirato dal servizio attivo, e si gode la pensione con Madeleine Swann, conosciuta durante gli eventi di Spectre. Tuttavia, il passato di entrambi nasconde ancora segreti, e tornerà a tormentarli, costringendo Bond a tornare in servizio.

Fin da Casino royale, tutta l'esperienza di Daniel Craig come 007 è stata segnata dal tentativo di rinnovare il personaggio, sia a livello caratteriale che narrativo. La stessa scelta di Craig - un Bond grezzo, muscolare, ruvido - andava in quella direzione. Attraverso cinque film, autori e registi diversi hanno condiviso l'obiettivo di creare un universo narrativo coerente, con un arco psicologico del protagonista che si dipana su più film, personaggi ricorrenti, filoni di trama che continuano e si risolvono nel film successivo. No time to die aveva l'ingrato compito di tirare le fila, agendo quasi da Avengers: Endgame di questo ciclo di Bond, e al tempo stesso di continuare questo processo di rinnovamento.

E le novità, indubbiamente, non mancano: l'approccio narrativo è focalizzato sui personaggi più che sulla missione, al punto che questa sembra spesso secondaria rispetto al percorso. Qui si notano le prime differenze con Skyfall (ma anche con Casino royale), che invece era riuscito a mantenere maggiormente in equilibrio le due anime del film - quella dei Bond classici, fatti di avventure rocambolesche e coolness, e quella del ciclo di Craig, focalizzata sui rovelli interiori del protagonista. 

L'impalcatura regge solo grazie a una sceneggiatura con ottimi dialoghi (in alcuni è evidente la mano di Phoebe Wallers-Bridge, chiamata a "svecchiare" alcuni aspetti della sceneggiatura originale) e a una regia solida da parte di Fukunaga, che dimostra ottima mano per l'action, muovendosi con maestria tra i momenti più realistici e quelli più fumettistici, e regalando alcune sequenze memorabili come quella a Matera e una scazzottata in piano sequenza degna di quella di Atomica Bionda. A brillare meno del solito sono i set, abbastanza anonimi e derivativi, nonostante alcuni di essi offrissero grandi possibilità creative ed espressive (ad esempio, il giardino di Safin). 
E deludono abbastanza anche i villain -  non come interpretazione, ma come caratterizzazione e centralità nella trama: Rami Malek offre un'interpretazione convincente, che ricorda quelle dei "mostri" del cinema muto, ma il suo Safin manca di spessore drammatico e motivazioni convincenti; e il Blofeld di Waltz è, ancora una volta, sprecato malamente (anche se, paradossalmente, meno che in Spectre).

Il cast è azzeccato e in ottima forma, con un'unica eccezione: una Léa Seydoux in modalità Corinna Negri, incapace di comunicare efficacemente qualunque emozione e continuamente oscurata da chiunque le venga messo a fianco in scena, attrici bambine comprese: il confronto con il precedente interesse amoroso di Bond (la Vesper Lynd/Eva Green di Casino royale) è impietoso. 
La sua prestazione pedestre, per fortuna, non frustra l'ottima prova di Daniel Craig, che incarna alla perfezione questo Bond malinconico e dolente, e di tutto il cast di supporto: accanto ai come sempre ottimi Ralph Fiennes (M), Ben Whishaw (Q) e Naomie Harris (Moneypenny), a questo giro si distingue Ana de Armas, splendida per ironia e presenza scenica nei panni dell'inesperta (?) agente CIA. Una prova, la sua, che accresce ulteriormente il rammarico per aver affidato la parte della protagonista a un'attrice così inconsistente. Buona anche la prova di Lashana Lynch, una 007 (ebbene sì) convincente, anche se forse lasciata un po' troppo ai margini.

Nonostante qualche inciampo narrativo e una spettacolarità inferiore alle attese, il film avvince e convince negli elementi chiave, i colpi di scena, dotati di un notevole impatto emotivo e capaci di capovolgere di continuo le attese dello spettatore fino all'ultimo minuto di film, e di farlo in  modo soddisfacente. 
Sembra facile, ma non lo era affatto, considerando sia la storia produttiva del film, sia l'enorme bagaglio di aspettative che si portava dietro. No time to die doveva stupire, ma anche guardare al passato; tirare le fila, ma al tempo stesso raccontare una storia a se stante. Ci riesce? La risposta è sì: forse non in maniera memorabile, ma senza dubbio in maniera efficace, rendendo onore a un'era di Bond che, nel bene e nel male, ha avuto il coraggio di cambiare l'immagine di un'icona: in tempi in cui si sta spremendo fino all'estremo l'effetto nostalgia, non è poco.

***

Pier

sabato 10 novembre 2012

007 - Skyfall

Uno 007 intimista



Bond è in missione a Istanbul per recuperare un file contenente la lista degli agenti britannici sotto copertura. Mentre insegue il killer che ha in mano il documento, Bond viene colpito da un proiettile sparato da una sua collega su ordine di M., disposta a tutto pur di riprendere il file. Il killer riesce ad involarsi con la lista, mentre l'agente 007 viene dichiarato morto. La sua scomparsa e il furto della lista daranno vita a una lunga serie di eventi, che porteranno Bond, M. e i servizi segreti a dover fare i conti con il proprio passato e con un nemico invisibile e terribile.

Skyfall completa idealmente la trasformazione del personaggio di Bond avviata con Casino Royale. Il Bond sofferto e tormentato di Daniel Craig trova la sua conclusione e il suo nuovo inizio nel melodramma spionistico orchestrato da Sam Mendes, in cui i sentimenti e le relazioni tra i personaggi non sono un semplice approfondimento, ma il vero motore della storia. Mendes disegna un film con un basso contenuto d'azione, concentrato in poche scene fotografate magistralmente (il combattimento a Shanghai su tutti), e si concentra sulla storia di M., Bond e del loro nuovo nemico, intersecandola con quella di un'intelligence che sembra non essere più al passo dei tempi e di un mondo in cui i nemici sono sempre più invisibili.
Il risultato è un action movie intimista, un apparente ossimoro che trae la sua forza proprio dalla capacità di riconciliare elementi provenienti da generi distanti anni luce.

La sceneggiatura si esalta nei dialoghi, ricchi di ironia british e di parole non dette, in cui prevalgono le dimensioni umane dei personaggi rispetto a quelle professionali. La trama è però piena di difetti, con un villain eccezionale (tra i migliori della storia di Bond) mosso da motivazioni quantomeno risibili, una serie di buchi di sceneggiatura che non possono esistere all'interno di un film di spionaggio, e una certa incostanza nella gestione del ritmo, che risulta eccessivamente rallentato in più di un passaggio. Il finale, ambientato in una campagna scozzese che riflette il tormento e l'incertezza dei personaggi, è di grande tensione emotiva ma di basso impatto spettacolare.
Mendes arricchisce il film di citazioni non casuali, dalle origini di Bond (scozzese, come Sean Connery) al ritorno della storica Aston Martin dei primi film, simbolo di un'epoca ormai finita con la quale è ora necessario chiudere i conti. Proprio il confronto con il passato è il tema centrale del film, che porta tutti i personaggi a un punto di svolta che chiuderà i loro conti in sospeso e segnerà l'inizio di un nuovo capitolo.
Il risultato è un film che è più simile alla serie TV con protagonista John Smiley/Alec Guinnes (da cui è stato recentemente tratto  Tinker, Taylor, Soldier, Spy) che a un classico 007, con l'elemento riflessivo e di indagine dello spionaggio che prende il sopravvento su quello d'azione.

Il cast offre un'ottima prova, capitanato da un Bardem sempre più a suo agio nel ruolo del cattivo psicopatico e da un Daniel Craig intenso, che sembra trovare la sua dimensione migliore quando smette l'abito elegante per fare i conti con il suo passato. Tra le nuove reclute dell' MI6, accanto a una sempre perfetta Judi Dench, spicca Ben Whishaw, che "trasporta" il personaggio di Q ai giorni nostri, trasformandolo in un geek informatico con scarso amore per i fantasiosi gadget del passato.

Skyfall è un Bond a basso contenuto spettacolare, ma rappresenta una degna conclusione a quel processo di umanizzazione di 007 che aveva caratterizzato gli ultimi film. Rimane il rammarico per una storyline risicata e piena di buchi, ma il film è comunque godibile grazie alle prestazioni degli attori e alla regia di Mendes, il quale ci regala un Bond messo a nudo come mai era accaduto prima, che lascia ben sperare per i capitoli successivi.

*** 1/2

Pier

giovedì 2 febbraio 2012

Uomini che odiano le donne - versione USA

Quando l'inutile è magistrale



Michael Blomqvist, affermato caporedattore della rivista d'inchiesta Millenium, viene costretto a dimettersi da uno scandalo. La sua inattività viene ben presto interrotta da un'offerta irrinunciabile: Henrik Vanger, anziano magnate dell'industria svedese, gli offre un'ingente somma se riuscirà a risolvere il mistero di sua nipote Harriet, scomparsa misteriosamente anni prima e che lui crede fermamente essere stata uccisa. Blomqvist inizia le indagini, ma si rende ben presto conto di aver bisogno di aiuto: a supportarlo arriverà Lisbeth Salander, brillante hacker dal presente tormentato e dal passato oscuro, che instaurerà con il giornalista una relazione molto particolare.

Diciamoci la verità: di questo remake americano di Uomini che odiano le donne non si sentiva proprio il bisogno. Vuoi perchè gli originali erano comunque abbastanza ben fatti, vuoi perchè un remake a distanza di pochi anni è abbastanza inutile, fatto sta che il film ha poco senso di esistere. O meglio, avrebbe poco senso di esistere, se non fosse per il nome del regista: David Fincher.
Fincher riprende la materia creata da Larsson e la usa come base per costruire un thriller praticamente perfetto, in cui le scene di tensione sono costruite praticamente solo con il sonoro e in cui nessun dettaglio viene risparmiato, nessuna atrocità viene lasciata in secondo piano. Fincher viviseziona ogni storia, ogni evento, ogni personaggio, concentrandosi però in particolare su Lisbeth, magistralmente interpretata da Rooney Mara.
Quello che segue gli splendidi titoli di testa è quindi un film ad orologeria, cui si riesce persino a perdonare la sua inutilità di fondo grazie alla perfezione di ogni dettaglio tecnico. Il sonoro come detto è curato con una precisione al limite del maniacale, con una folata di vento che diventa un urlo, una voce che diventa un sussurro, un silenzio che vale mille parole. La fotografia è eccellente, e in generale ogni elemento del film si combina armoniosamente con gli altri a formare un unicum che funziona e convince.

Il nuovo Uomini che odiano le donne vince quindi le perplessità iniziali, ma lo fa più per il modo eclettico e inventivo in cui usa il linguaggio cinematografico e gli attori che per il film in sè, che resta invece freddo e lascia addosso una sensazione di inutilità permanente.

***1/2

Pier

sabato 19 novembre 2011

Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'unicorno

Freddo ma vitale

  

Tin Tin, giovane e intraprendente reporter, acquista a un mercato delle pulci francese il modellino di un galeone. Il misterioso furto dell'oggetto e la leggenda che avvolge la barca che questo rappresenta, l'Unicorno, spingono Tin Tin e il suo fido cagnolino Milou a prendere parte alla caccia al tesoro più avventurosa della loro vita. 

A più di ottant'anni dall'uscita del primo albo, Steven Spielberg riesce a finalmente a portare sul grande schermo la geniale creazione della matita di Hergè. Per farlo sceglie di affidarsi alla motion capture, la tecnica resa celebre da Zemeckis (Polar Express, A Christmas Carol) che permette di realizzare film di animazione partendo dalle movenze e dalla mimica di attori reali, tra cui non poteva ovviamente mancare Andy Serkis-Gollum. Il risultato è una via di mezzo tra film e cartone animato, un ibrido molto realistico che manca però del calore e dell'umanità che caratterizzano l'animazione. 

Il film inizia con i migliori titoli di testa visti da dieci anni a questa parte, un omaggio al fumetto e ai disegni originali molto apprezzabile e ben fatto, con qualche similitudine con i titoli di un altro film di Spielberg, Prova a prendermi. La storia ha grande ritmo, e si svolge in modo rocambolesco tra i quattro angoli del globo, in una caccia al tesoro che avrebbe fatto felice Jules Verne. Tin Tin, novello Indiana Jones, risolve mistero dopo mistero, segreto dopo segreto, fino ad arrivare a un gran finale ricco di spunti e citazioni. Il protagonista è ritratto in maniera fedele e convincente, e i personaggi di contorno, in particolare il capitano ubriacone Haddock, sono delle perfette spalle da cartoon, divertenti, comiche ma efficaci quando serve. 

Il Tin Tin di Spielberg convince, ed è sicuramente il miglior film d'animazione ad oggi realizzato con il motion capture. Restano tuttavia delle perplessità sulla scelta di questa tecnologia, che sacrifica emozioni e simpatia dei personaggi in nome di un iperrealismo di cui non si sente realmente bisogno. Il film comunque diverte e stupisce, e per una volta il già annunciato sequel ha più di una ragione di esistere. 

*** 

Pier