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sabato 7 settembre 2024

Venezia 2024 - Il Totoleone

Anche quest'anno siamo giunti al termine della Mostra del Cinema, tra caldo tropicale, biciclette, cene ingollate tra un film e l'altro, e critici buongustai in panama bianco: una Mostra di buon livello medio, con poche vette ma ancor meno delusioni o film che facevano venir voglia di fuggire dalla sala. Anche quest'anno Alberto Barbera ha confezionato un'ottima selezione, corroborando l'entusiasmo con cui molti (compreso chi scrive) avevano accolto la sua riconferma.

È stata una Mostra in cui, come nel 2023, ci sono stati molti film biografici, da Diva Futura ad Ainda Estou Aqui, passando per la Callas di Larrain in Maria. Accanto a questi, molti film di carattere storico, come Campo di Battaglia e The Order, mentre minore è stata la presenza della politica, portata solo (e molto marginalmente) da Youth: Homecoming e The Room Next Door. La Mostra continua a guardare alla realtà, sia passata che presente, ma quest'anno è rispuntata la fantasia, che si è persino permessa di inventare intere biografie (The Brutalist). 

Qui trovate un elenco, con voti, dei film visti. Di seguito, invece, trovate i pronostici, quasi sicuramente sbagliati, per il Leone d'Oro e gli altri premi, corredati come sempre dalle mie preferenze personali.


Premio Mastroianni per il miglior attore emergente
Non ci sono tantissimi candidati papabili al premio Mastroianni quest'anno - vuoi per scarsità di ruoli rilevanti, vuoi per la natura corale della maggior parte dei film con giovani protagonisti. Il pronostico ricade su Martina Scrinzi, giovane protagonista di Vermiglio, mentre la mia scelta personale va a Benjamin Voisin, splendido coprotagonista di The Quiet Son, anche se forse è già troppo lanciato per poter ottenere questo premio.
PronosticoMartina Scrinzi, Vermiglio
Scelta personaleBenjamin Voisin, The Quiet Son

Coppa Volpi maschile
Sfida molto accesa, con tantissimi pretendenti: dal Vincent Lindon di The Quiet Son al Joaquin Phoenix canterino di Joker: Folie à Deux (dopo che con Joker non vinse a causa del regolamento della Mostra che impedisce che il Leone d'Oro prenda altri premi - regola cui pare quest'anno sia possibile ovviare in caso di unanimità in giuria); dall'Adrien Brody di The Brutalist al Nahuel Pérez Biscayart di El Jockey, passando per Daniel Craig in Queer. A Biscayart, dolente e silenzioso, va il mio pronostico, mentre su Brody, potente e fragile, va la mia scelta personale.
PronosticoNahuel Pérez Biscayart, El Jockey
Scelta personale: Adrien Brody, The Brutalist

Coppa Volpi femminile 
Sfida meno accesa di quella per la Coppa maschile, ma comunque ricca di pretendenti qualificate: Angelina Jolie offre la classica prova "da Oscar" in Maria, ma Isabelle Huppert potrebbe preferire prove meno appariscenti e più "contenute" come quelle di Tilda Swinton e Julianne Moore in The Room Next Door o di Fernanda Torres in Ainda Estou Aqui. Sulla Torres, bravissima, ricade il mio pronostico. La mia scelta personale va invece, ex aequo, alle due protagoniste del film di Almodovar, che sarebbe dimenticabile (a dispetto di ciò che dice la critica imparruccata, che non a caso sembra apprezzare un Almodovar più conservatore) se non fosse per la loro straordinaria prova.
Pronostico: Fernanda Torres, Ainda Estou Aqui
Scelta personale: Julianne Moore e Tilda Swinton, The Room Next Door

Leone d'Argento (Miglior Regia) 
Se ci fosse giustizia, The Brutalist avrebbe già il Leone d'Oro. Ma dato che il mondo è buio e freddo, e i capolavori vengono riconosciuti pienamente solo con il tempo, temo che Corbet dovrà "accontentarsi" di questo premio - un risultato comunque notevolissimo per un regista al terzo film. Su di lui ricade il mio pronostico, mentre la mia scelta personale ricade su Todd Phillips, che firma un sequel coraggioso e divisivo, creando una commissione di generi di difficile digestione ma di grande ricchezza e complessità. Piccola menzione anche per Giulia Steigerwalt, che realizza un'opera seconda di rara maturità per composizione, chiarezza tematica, e direzione degli attori: ma il film ha toni da commedia, peccato mortale presso i festival cinematografici e i già citati critici imparruccati.
Pronostico: Brady Corbet, The Brutalist
Scelta personale: Todd Phillips, Joker: Folie à Deux

Gran Premio della Giuria 
Il favorito per il secondo premio più importante sembrerebbe un beniamino dei giudici come Luca Guadagnino. E il suo Queer è indubbiamente un bel film a tutti i livelli: visivo (soprattutto), recitativo, e di scrittura (ancorché troppo lungo). Il problema è che è molto poco originale, e soprattutto è un adattamento pessimo del romanzo breve di Burroughs, e ne tradisce in pieno toni, intenzioni, e stile. Se ci fosse un minimo di attenzione per questi aspetti, il premio dovrebbe andare ad altri: ma temo non sarà così. All'opera più bizzarra, originale, meravigliosamente schizofrenica della Mostra - El Jockey di Luis Ortega - va invece la mia preferenza personale.
Pronostico: Queer
Scelta personaleEl Jockey

Leone d'Oro 
Sfida davvero accesa e incerta, con tutti i film già citati per gli altri premi che potrebbero legittimamente ambire anche al trofeo più prestigioso. Come detto, il mio preferito, nonché unico vero capolavoro della Mostra, è The Brutalist, ma temo non vincerà a favore di The Room Next Door. Un film che piace a chi scambia la verbosità per profondità, che può comunque esibire dei meriti oggettivi (tematica rilevante, attrici ottime, uso del colore splendido). Su Almodovar, dunque, ricade il mio pronostico.
Pronostico: The Room Next Door
Scelta personale: The Brutalist

È tutto anche per quest'anno. Correte in SNAI a scommettere sull'opposto dei miei pronostici, e noi ci risentiamo per l'edizione 2025.

Pier

martedì 3 settembre 2024

Telegrammi da Venezia 2024 - #4

Quarto telegramma da Venezia 2024, tra eutanasia, villaggi alpini e di campagna, perdita della memoria, e grandi registi che cercano di adattare grandi scrittori, con risultati altalenanti.


The Room Next Door (Concorso), voto 6.5. Almodovar realizza un film sull'eutanasia splendidamente recitato da Swinton e Moore (anche se la scelta di far fare due personaggi alla pur ottima Swinton risulta posticcia anziché efficace) e con una fotografia pittorica. Tuttavia, la sceneggiatura è eccessivamente verbosa, con una serie di monologhi simil-teatrali che riducono la credibilità e il coinvolgimento emotivo.

Vermiglio (Concorso), voto 7. Italia, anni Quaranta. Una famiglia che vive in un paesino sulle Alpi trentine vede la sua quotidianità sconvolta dall'arrivo di un fuggiasco dalla guerra e dalla crescita delle figlie. Film di respiro, fatto di quotidianità e atmosfere, che ricorda i lavori di Giorgio Diritti nella sua indagine del rapporto uomo-natura e delle relazioni umane. Tocca le corde giuste, nonostante una lunghezza eccessiva. Qui la recensione completa scritta per Nonsolocinema.

Familiar Touch (Orizzonti), voto 8. Una donna ancora autosufficiente ma con gravi problemi di memoria si trasferisce in una clinica. Toccante e commovente, il film affronta il problema del declino cognitivo dal punto di vista del paziente, ma senza indulgere né negli orrori della malattia né in facili pietismi. La protagonista (seria candidata al premio come migliore attrice della sezione Orizzonti) vive la sua quotidianità con leggerezza e sorrisi, cercando di trovare un raggio di luce nell'ombra che le sta calando nel cervello.

Queer (Concorso), voto 6.5. Guadagnino adatta l'omonimo romanzo di Burroughs, e conferma ancora una volta la difficoltà nel portare al cinema i romanzi della beat generation. La storia è infatti di scarso interesse, perché l'innovazione non sta nel "cosa" racconta Burroughs, ma nel "come": una prosa innovativa, che scardina le convenzioni sia a livello stilistico che narrativo. Guadagnino, invece, gira in modo iper-classico, e non bastano alcune scene allucinatorie per restituire lo stile di Burroughs. In generale, è difficile immaginare un regista meno adatto ad adattare l'autore più geniale del gruppo beat: laddove Burroughs è sporco, sudicio, distrutto, Guadagnino è pulito, lucido, patinato. Bellissima la forma (soprattutto l'uso di luce, debitore anche di Storaro nel finale, e colore); ma la sostanza è davvero poca.

Harvest (Concorso), voto 5. Un villaggio vive in pace con se stesso e la natura, vivendo una vera esistenza comunitaria, fino a quando un cambio nel proprietario terriero sconvolge la quotidianità dei protagonisti. Il film sembra indeciso su che strada prendere, flirtando con il folk horror e con il dramma d'epoca senza però mai prendere una decisione. Il risultato è un film confuso, lento, e sconclusionato, che non può essere salvato da alcune scene molto riuscite e dalla buona prova del cast.

Pier e Simone

martedì 12 dicembre 2017

Suburbicon

Il volto oscuro dell'America


Stati Uniti, 1959. Gardner Lodge è un padre di famiglia che vive nella città modello Suburbicon insieme alla moglie Rose, paralizzata per via di un incidente, e al figlio Nicky. La città è abitata da soli bianchi, fino a quando accanto alla casa di Gardner si trasferisce una famiglia di colore, i Meyers. Il loro arrivo scatena la reazione veemente della comunità, che viene sconvolta anche da un altro evento: nottetempo due delinquenti si introducono nella villa dei Lodge e uccidono Rose con una dose eccessiva di cloroformio.

George Clooney torna alla regia rielaborando una vecchia sceneggiatura dei fratelli Coen, scritta appena dopo il loro fortunato (e troppo poco conosciuto qui da noi) film d'esordio, Blood Simple. Il tocco dei Coen è evidente in ogni dialogo e ogni situazione che vede protagonista la famiglia Lodge. Il film è pervaso da un'atmosfera trasognata, perennemente in bilico tra assurdo e dramma, tra risata e incubo domestico, conferendo al tutto quel tocco grottesco che ha reso celebre il cinema dei due fratelli. Questa sospensione della realtà è però solo parziale: se alcune delle vicende narrate sembrano assurde, infatti, le motivazioni che muovono i protagonisti sono terribilmente reali nella loro meschinità.

La realtà irrompe poi con violenza dall'unica finestra aggiunta da Clooney, la sottotrama dedicata alla famiglia di colore: se inizialmente le vicende dei Mayers sembrano disconnesse dalla vicenda principale, quasi fuoriposto, con il passare dei minuti ci si rende conto che la loro storia è il contraltare di quella dei Lodge, nonché quella che fornisce la cifra morale del film. La folla cerca il mostro nell'altro, nel diverso, quando in realtà il mostro ha una faccia ben più riconoscibile e domestica, e si annida tra coloro di cui ci fidavamo di più. Non è un caso che lo sguardo che accompagna il film sia quello del piccolo Nicky (un ottimo Noah Jupe), che da innocente diviene prima incredulo e poi terrorizzato dall'incredibile evoluzione degli eventi.

Clooney usa la cittadina di Suburbicon come una metafora dell'America odierna, incapace di vedere il male nel proprio giardino ma pronta a scagliarsi sul primo capro espiatorio disponibile. Pur peccando a volte di retorica, il messaggio arriva forte e chiaro ed è di sicuro impatto: il crescendo di violenza nelle due sottotrame procede perfettamente in parallelo, con la verità sulla morte di Rose che viene gradualmente a galla, tra scene esilaranti e terrificanti rivelazioni, e l'atteggiamento dei cittadini di Suburbicon verso i Meyers che passa dall'essere passivo aggressivo a un vero e proprio linciaggio. Violenza che chiama violenza, generando una sorta di anti-euforia collettiva in cui ognuno sembra ubriaco dal desiderio di sangue.

Il matrimonio tra le due sottotrame non avviene senza intoppi: mancano lo splendido rigore visivo di alcune opere di Clooney (Good Night, and Good Luck su tutte), e lo humor non è al livello dei migliori lavori dei Coen. Tuttavia, Suburbicon è un film ben riuscito, in cui le due storie crescono lentamente in parallelo fino a diventare un unico, inquietante affresco dell'intolleranza, che parla della storia passata dell'America ma dipinge anche un ritratto fin troppo tristamente fedele del suo presente.

*** 1/2

Pier

lunedì 4 settembre 2017

Telegrammi da Venezia 2017 - #2

 Secondo telegramma da Venezia 2017, con i film visti in Concorso e nelle sezioni collaterali.


Foxtrot (Concorso), voto 8.5. Si può sfuggire al destino? Partendo da questa domanda vecchia come il mondo Samuel Maoz, già regista di Lebanon, realizza un film che si muove in perfetto equilibrio tra dramma e assurdo, raccontando la guerra e le sue conseguenze con grande creatività e visione registica. Qui la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

Suburbicon (Concorso), voto 7.5. Partendo da una sceneggiatura scritta dai fratelli Coen (la cui impronta è chiaramente visibile) negli anni Ottanta, Clooney realizza un film che ritrae con efficacia le ipocrisie della società americana (e forse non solo), in cui si tende a cercare all'esterno, nell' "altro", un mostro che molto spesso si annida invece nel nido domestico. Uno humor nero di alto livello e le ottime prove degli attori rendono il film ben riuscito, anche se registicamente poco innovativo.

West of Sunshine (Orizzonti), voto 6.5. Un padre con debiti di gioco deve trovare il modo di pagare i suoi debitori in un giorno, e allo stesso tempo prendersi cura del figlio adolescente. Una trama già vista, ma trattata con estrema delicatezza e grande sensibilità (cosa non scontata, visto ad esempio quel polpettone pretenzioso di Somewhere di Sofia Coppola), in un film che diverte ed emoziona senza mai annoiare.

La mélodie (Fuori Concorso), voto 6.5. Il film racconta con efficacia una storia di riscatto sociale attraverso l'arte già vista mille volte, ma non per questo meno importante, soprattutto di questi tempi. Qui la recensione estesa scritta per Nonsolocinema.

Brawl in cell block 99 (Fuori Concorso), voto 7.5. Vince Vaughn è stato una delle poche note liete della seconda stagione di True Detective, e in questo film conferma il suo grande talento per i ruoli da "duro", dando vita a un personaggio ben sfaccettato e a delle sequenze d'azione spettacolari nel loro crudo realismo. Il regista S. Craig Zahler dirige con sapienza un film che, pur avendo i suoi momenti migliori nelle scene d'azione, non si esaurisce in esse, ma sviluppa la sua storia con coerenza e ritmo.

La voce di Fantozzi (Venezia Classici), voto 3. Si può fare un documentario noioso sulla storia di Fantozzi? Apparentemente sì, nonostante il materiale di partenza basterebbe per salvare anche il cineasta più incapace. Qui all'incapacità, tuttavia, si sposa l'arroganza, la pretesa di voler fare un film autoriale anziché concentrarsi sul tema che ci si era prefissi di affrontare: e allora in un documentario che dovrebbe raccontare Fantozzi e Paolo Villaggio attraverso il suo linguaggio e la sua voce, questa voce viene oscurata, nascosta, ridotta ai minimi termini, a favore di interviste senza senso (Fiorello, Travaglio, Michele Mirabella) e delle animazioni pretestuose à la Terry Gilliam che nulla aggiungono alla narrazione.

Al prossimo telegramma!

Pier

domenica 22 febbraio 2015

Oscar 2015 - I pronostici



Sul filo di lana, a poche ore dall'inizio della cerimonia, ecco i pronostici di Filmora per gli Academy Awards di stanotte. Visto il poco tempo, ci focalizzeremo solo sui premi principali.
Quest'anno pronostico difficile, vista l'altissima qualità di alcuni dei concorrenti.

Come sempre, oltre al pronostico, anche la mia scelta personale.



Miglior montaggio
Il vincitore non può che essere Tom Cross per Whiplash, un capolavoro di intensità e ritmo, con una continua alternanza di temi e controtemi, improvvisazioni e ripetizioni, come fosse una jam session jazz.
Pronostico: Whiplash
Scelta personale: Whiplash

Miglior fotografia
Una delle sezioni in cui la scelta è più dura: Ida, Birdman, Grand Budapest Hotel, tutti meriterebbero la statuetta. Robert Yeoman (Birdman) sembra favorito, ma la mia scelta personale va a Emmanuel Lubezki, autore delle splendide immagini di quel gioellino che è Grand Budapest Hotel.
Pronostico: Birdman
Scelta personale: Grand Budapest Hotel

Miglior film d'animazione
Sezione dove sono arrivate due nomination a sorpresa, per Song of the sea e The tale of princess Kaguya, e l'esclusione inaspettata di Lego Movie. I favoriti sembrano essere Big Hero 6 e How to train your dragon 2. Penso che alla fine la spunterà il primo, che riscuote anche il mio favore personale.
Pronostico: Big Hero 6 
Scelta personale: Big Hero 6

Miglior attore non protagonista
J.K. Simmons, who else? Mark Ruffalo è strepitoso in Foxcatcher, Norton incanta in Birdman, ma qui non può che vincere il dispotico insegnante di Whiplash.
Pronostico: J.K. Simmons 
Scelta personale: J.K. Simmons

Miglior attrice non protagonista
Patricia Arquette (Boyhood) è strafavorita, ma io non posso esimermi dal dare la mia preferenza all'eterna Meryl Streep (Into the Woods), che conquisterebbe così il suo quarto Oscar e pareggerebbe il conto con Katherine Hepburn.
Pronostico: Patricia Arquette 
Scelta personale: Meryl Streep

Miglior sceneggiatura originale
Il favorito sembra essere Birdman, che però proprio nella storia ha forse il punto meno forte. La mia scelta personale ricade quindi su Foxcatcher, un film che suscita emozioni continue proprio grazie alla perfezione della scrittura.
Pronostico: Birdman
Scelta personale: Foxcatcher

Miglior sceneggiatura non originale
Rimpiango di non aver visto Inherent Vice di Paul Thomas Anderson, che quindi non posso includere nei pronostici. Tra quelli che ho visto premierei Damien Chazelle per Whiplash, per l'abilità con cui ha trasformato una storia già vista mille volte in un film emozionante e avvincente. Rischia di vincere, anche per la sua natura di film indie.
Pronostico: Whiplash
Scelta personale: Whiplash

Miglior attore protagonista
Strafavorito Eddie Redmayne (La teoria del tutto), che ha vinto ogni premio possibile e, soprattutto, lo Screen Actors Guild Award: fino ad oggi, solo cinque volte è successo che il vincitore di questo premio non si aggiudicasse poi l'Oscar. Il mio preferito, dopo un lungo travaglio interiore, è invece Michael Keaton per Birdman, con Benedict Cumberbatch appena dietro per la sua interpretazione di Alan Turing in The imitation game.
Pronostico: Eddie Redmayne
Scelta personale: Michael Keaton

Miglior attrice protagonista
Strafavorita Julianne Moore che, nonostante non abbia visto Still Alice, si aggiudica anche la mia preferenza personale. Così, sulla fiducia.
Pronostico: Julianne Moore

Scelta personale: Julianne Moore


Miglior regia
Altra sezione dove la competizione è altissima: si potrebbe premiare l'unicità della scelta di Linklater in Boyhood, la visionarietà di Inarritu per Birdman, la perfezione di immagini, personaggi e dialoghi di Wes Anderson per Grand Budapest Hotel. Penso che il favorito sia Linklater, mentre Anderson si aggiudica la mia scelta personale, anche per risarcirlo dei tanti anni in cui è stato ingiustamente ingnorato.
Pronostico: Richard Linklater
Scelta personale: Wes Anderson

Miglior film
Altra scelta estremamente difficile. Per me il film migliore dell'anno è Birdman, e penso che, alla fine, anche l'Academy andrà in questa direzione, premiando la capacità di Inarritu di unire spettacolo e autorialità.
Pronostico: Birdman
Scelta personale: Birdman

"No suit? Loser."
E' tutto, ci risentiamo dopo la cerimonia per i bilanci. Di una cosa possiamo essere sicuri: it's gonna be legen... (wait for it).



Pier

venerdì 6 giugno 2014

Maps to the Stars - Lo sconsiglio: puntata 15

Maps to the Stars



 Con questo film, Cronenberg entra di diritto nel gruppo "grandissimi registi rimbambiti dal passare degli anni", di cui fa parte da ormai qualche anno Ridley Scott.

Un insulso melò che mischia paranormale, gioventù bruciate e complessi edipici che manco Freud. E sbadigli, tantissimi sbadigli.

Livello di sconsiglio: Massimo (*****)


mercoledì 23 marzo 2011

I ragazzi stanno bene

Una divertente famiglia allargata



Nic e Jules sono una coppia lesbica di mezza età. Hanno due figli, Joni e Laser, ottenuti grazie all'inseminazione artificiale e utilizzando sempre lo stesso donatore anonimo. Quando Joni compie diciotto anni, lei e il fratello decidono di scoprire l'identità del proprio padre biologico. Scoprono infine che è Paul, un donnaiolo amante dell'indipendenza e proprietario di un ristorante nella periferia di Los Angeles. Il rapporto tra loro cresce di intensità, e quando Nic e Jules lo scoprono non possono fare altro che accettare Paul all'interno del nucleo familiare.

I ragazzi stanno bene è la tipica commedia indipendente americana, che tratta un tema delicato come le coppie e le adozioni omosessuali con leggerezza e simpatia, senza per questo rinunciare a mandare un piccolo ma significativo messaggio. La sceneggiatura è ritmata e ben costruita, i personaggi ben delineati, la trama scorrevole. Il finale lascia un po' l'amaro in bocca, non tanto per gli avvenimenti quanto per il fatto che sembra affrettato, inespresso, quasi inconcludente.

Tutti gli attori sono perfetti, con Annette Bening e Mark Ruffalo che spiccano per naturalezza e intensità, laddove Julianne Moore, pur brava, sembra a volte recitare se stessa. I due ragazzi, alla prima vera vesperienza nel cinema "reale" dopo i fantasy che li hanno resi famosi, offrono una prova di grande sostanza, che lascia presagire per entrambi un ottimo futuro.

I ragazzi stanno bene è una buona commedia cui mancano però quella cattiveria e quello humor che le avrebbero dato una marcia in più, esaltando ulteriormente la bravura degli attori.

***

Pier

venerdì 15 gennaio 2010

A single man

Alla ricerca del tempo perduto



George, un professore universitario di letteratura, ha appena perso in un incidente il compagno di una vita. Incapace di reagire al lutto e di andare avanti passa il tempo a riordinare la casa, ritrovando oggetti e documenti che gli ricordano l'amato, spingendolo a meditare il suicidio.

L'esordio cinematografico di Tom Ford è un film "proustiano", fatto di memorie e di oggetti, piccole madeleines quotidiane che riportano alla mente i momenti passati. L'amore di George è raccontato in maniera intima, delicata, lontana dalla morbosità ricercata cui spesso ci hanno abituato altri film sull'amore omosessuale.

La regia sceglie spesso di adottare il punto di vista del protagonista, soffermandosi su dettagli e particolari: su tutti spicca quello degli occhi, vera e propria ossessione di George, richiamata anche in una splendida citazione di Hitchcock.
La fotografia è onirica e sfumata ed esprime lo stato d'animo di George, precipitato in una sorta di apatico limbo dalla morte dell'amato. Ogni frammento della sua vita gli ricorda i momenti passati insieme, generando uno strazio interiore che Ford racconta con partecipazione e compassione (nel senso letterale del termine).

La prova strepitosa di Colin Firth arricchisce ulteriormente un film già pregevole: il suo dolore è intimo, autentico, non affettato nè esagerato. La sua sofferenza diventa quella dello spettatore, che si trova coinvolto senza che per questo Firth debba eccedere in pianti e lacrime, che anzi sono molto misurati e contenuti. Il vero dolore è silenzioso, e Firth riesce a comunicare i sui sentimenti anche senza bisogno delle parole: uno sguardo, un'espressione pensierosa bastano a farci capire quanto gli manchi l'amore di una vita.

A single man è senza dubbio uno dei più brillanti esordi alla regia degli ultimi anni. A volte eccede nella ricerca della perfezione estetica, ma è un difetto marginale se rapportato alla potenza emotiva ed espressiva di un film che non può mancare di colpire al cuore lo spettatore con la forza di un sentimento che sopravvive alla morte.

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Pier