lunedì 27 agosto 2018

Verso Venezia 2018 - Intervista ad Alberto Barbera

Intervista ad Alberto Barbera, Direttore della Mostra del Cinema di Venezia

Domani The First Man, di Damien Chazelle, inaugurerà la 75a edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Un'edizione che si preannuncia molto ricca, come ormai di consuetudine da quando la Mostra è sotto la direzione di Alberto Barbera.

Barbera, classe 1950, biellese, aveva già diretto la Mostra dal 1998 al 2002. Nel 2012 il ritorno, a sostituire quel Marco Müller che aveva alternato annate strepitose (si pensi alla Mostra del 2007) ad altre decisamente meno convincenti.

Sotto la direzione di Barbera, la Mostra è tornata a essere l'evento centrale del panorama festivaliero, accaparrandosi film che hanno poi fatto incetta di Oscar come BirdmanLa La Land e La forma dell'acqua, ma anche grandi autori come Lav Diaz, Samuel Maoz, e Aleksandr Sokurov.

Abbiamo intervistato il Direttore Barbera, cercando di capire meglio la sua visione sulla Mostra, sul processo di selezione, e sul panorama cinematografico in generale.

Alberto Barbera
Cosa l'ha spinta ad accettare di tornare a Venezia?

Quando ho accettato di tornare a Venezia nel 2012, l'ho fatto mettendo non tanto delle condizioni, quanto proponendo di modificare in maniera anche rilevante la struttura della Mostra in quanto tale, introducendo delle novità, dei progetti, e sostanzialmente cambiando il profilo del festival così come si era consolidato nel corso degli anni, a partire dalla grande innovazione che aveva fatto Carlo Lizzani quando era stato chiamato a dirigere la mostra nel 1979. Da lì in poi di fatto la Mostra era rimasta identica a se stessa nella struttura, con piccoli interventi di adeguamento alla personalità dei singoli direttori che si erano succeduti, però di fatto quello era: un concorso principale ed una sezione collaterale che poi era diventata competitiva a sua volta (anche lì su mia iniziativa nel 2000), e poi una terza sezione più o meno sperimentale.

Dopo il primo mandato ero tornato a Torino a fare il direttore del Museo del Cinema e non avevo molta voglia di ripercorrere a Venezia un percorso già fatto, che poi si era concluso prematuramente ma che comunque aveva avuto una sua parabola in qualche modo definita. 
Ho pensato che valesse la pena di farlo se mi fosse stata data la possibilità di tentare qualcosa di nuovo, tentare di innovare la mostra in quanto tale, che stava subendo i contraccolpi di una competizione molto forte e anche molto aggressiva da parte di altri festival concomitanti in termini temporali: Toronto soprattutto, ma anche Telluride e New York. Era sicuramente nato un processo di ridefinizione dei ruoli dei festival all'interno di un processo più grande di trasformazione dell'universo dell'audiovisivo sotto la spinta dell'evoluzione del digitale. 

Un processo che rischiava di spingere Venezia un po' ai margini di quello che era il circuito internazionale di promozione dei grandi film, con il rischio di relegarla a un ruolo minoritario rispetto ai grandi appuntamenti festivalieri quali Cannes, Berlino, Hong Kong, New York, Toronto, eccetera.
Il pericolo mi sembrava reale, molto forte. I segnali andavano tutti in quella direzione: gli americani che non volevano più venire dicendo che il rapporto tra costi ed investimenti non era più vantaggioso, i rischi erano troppo alti, e così via.
Da qui nacque la decisione di rivedere un po' tutto; finalità, modalità operative, senza parlare di tutto un altro aspetto che è molto importante ed ha avuto una rilevanza enorme, che è stata la grande progettazione legata alla ristrutturazione dei luoghi, dello spazio, dei cinema, dei sistemi d'accoglienza, che è andata avanti parallelamente a questo progetto di ridefinizione della mission del festival, senza il quale forse non saremmo neanche riusciti ad ottenere i risultati che abbiamo invece ottenuto in questi anni.

La Sala Giardino, nuova sala aggiunta sotto la direzione di Barbera
Quali sono state queste novità?

Le novità sono quelle che più volte ho sottolineato e ribadito: la riduzione del numero dei film, per cercare di garantire una maggiore visibilità a tutti i film presentati e quindi un maggior impatto promozionale del festival in quanto tale. Questo non è un fatto secondario, anzi: è un fatto in controtendenza, visto che la maggior parte dei festival tende ad aumentare progressivamente il numero delle proposte, dei film, delle sezioni.

Il secondo punto è stata la decisione di affiancare alla Mostra uno spazio che non abbiamo mai chiamato mercato, perché non è mai stato un mercato nel senso tradizionale del termine. Volevamo che fosse uno spazio rivolto esclusivamente ai professionisti del settore, agli imprenditori commerciali che avevano smesso di venire a Venezia. Un grande problema di Venezia era che, al Lido venivano ancora i registi, gli autori, ma non venivano più tutte quelle figure che sono invece indispensabili, che sono l'altra componente del cinema: la componente industriale, commerciale, produttori, distributori, sales agents, compratori, mediatori, finanziatori eccetera.
Quindi abbiamo dato vita ad un progetto di mercato leggero che poi si è evoluto nel corso degli anni e che sei anni dopo è molto diverso da quella che era all'inizio, perché è stato un lavoro di progressivo aggiustamento del tiro rispetto a quella che abbiamo intuito essere la domanda che veniva da parte degli operatori commerciali del settore.Oggi abbiamo sicuramente raggiunto una parte di obiettivi che ci eravamo proposti, principalmente siamo riusciti a riportare a Venezia un numero significativo di operatori commerciali, senza i quali la mostra sarebbe andata incontro ad un declino progressivo inarrestabile.

Oggi c'é gente che rinuncia ad andare al festival di Toronto e viene a Venezia, perché sa che a Venezia trova occasioni per incontrare operatori commerciali che ha interesse a incontrare, e soprattutto trova delle proposte di co-produzioni di progetti che sono oggi l'elemento chiave per il successo di un mercato. Oggi i mercati non sono più quello che erano una volta, cioè bancarelle dove si vendono prodotti finiti, ma sono spazi virtuali dove si co-producono film ancora da farsi. Questo è un cambiamento radicale che abbiamo intuito, e sul quale ci siamo concentrati e che sta dando ottimi risultati.

Il terzo elemento è stata la creazione del Biennale College, una cosa senza precedenti per la Mostra del Cinema, nata sotto la spinta di analoghe ma non simili esperienze avviate da altri festival. Il primo era stato quello di Rotterdam negli anni '90 con la creazione di "Cinemart", poi altri festival hanno imitato ed espanso questa esperienza: Berlino con "Working Fund", Locarno che ha una piattaforma di sostegno a progetti di cinema indipendente, per non parlare della "Cinefondation" di Cannes, modello estremamente funzionale dal punto vista del festival, ed efficiente dal punto di vista del sostegno ai giovani autori.
Non volevo copiare un modello esistente, volevo fare qualcosa di nuovo, e con Sabrina Delotti, con cui abbiamo dato vita al Torino Film Lab nel 2008, abbiamo elaborato un progetto senza precedenti, che è  quello che oggi chiamiamo il Biennale College, che ha avuto un tale successo da essere esportato dalla biennale stessa anche negli altri dipartimenti della biennale. Oggi quindi esiste un Biennale College teatro ed un Biennale College musica, e credo che esista anche un Biennale College danza.

Quello che però ha avuto maggiore successo e maggiore impatto non soltanto mediatico ma anche concreto ed effettivo è il Biennale College cinema, che è stata una scommessa al buio, rischiosissima: l'idea di passare nell'arco di dodici mesi dall'individuazione di una serie di progetti attraverso un bando internazionale, al finanziamento e realizzazione di tre film che dovevano essere girati e consegnati in tempo per la Mostra dell'anno successivo. Una cosa sulla carta apparentemente assurda, una scommessa che, nonostante le limitazioni del microbudget, sulla carta aveva dei margini di imprevedibilità molto molto elevati mentre invece fin da subito ha funzionato benissimo, fin dal primo anno.
Non solo siamo riusciti ogni anno a realizzare i tre progetti che ci eravamo proposti, ma la maggior parte di questi film ha avuto successo: sono stati accolti bene dalla critica, alcuni hanno avuto una vita attraverso il circuito dei festival, premi internazionali, e alcuni sono stati distribuiti commercialmente, nel loro paese o su piattaforme online .
Quindi, il successo di Biennale College è andato ben oltre le nostre più rosee aspettative.


Poi nel 2017 si è aggiunto un ulteriore elemento, che è l'apertura alla realtà virtuale, con l'apertura di un nuovo concorso di progetti VR: un'iniziativa senza precedenti, perché nessun grande festival era mai andato al di là di una curiosità marginale del VR, anche perché il VR è un'opportunità generata da una tecnologia recentissima che ancora non ha una storia, oltre a non avere uno standard né tecnologico, né linguistico, né formale. Per questo motivo finora ci si era limitati a presentare alcuni prodotti che avevano più il sapore di una curiosità, l'aveva fatto il Sundance, lo aveva fatto Cannes nel Marché, l'aveva fatto con un po' più di attenzione il Tribeca a Maggio di quest'anno, però parliamo di un arco temporale di poco più di 24 mesi, forse 36.

All'interno di questo quadro di cambiamento di tutto il sistema, come vengono selezionati i film del concorso?Cosa è cambiato rispetto al passato?

Innanzitutto, i concorsi sono due. Ci tengo a dirlo perché è lo stesso processo, chiunque voglia iscrivere un film alla selezione di Venezia lo fa genericamente, proponendo il film senza indicare una sezione specifica. Lo dico perché in realtà sono molti quelli che ci chiedono "come faccio ad iscrivere il film ad Orizzonti o al concorso principale?", ma la risposta è sempre la stessa: tu iscrivi il film a Venezia, e poi siamo noi a decidere la collocazione del film.
Questo è un elemento discriminante rispetto alla selezione, perché vuol dire che in realtà dal nostro punto di vista non c'è un concorso di serie A o un concorso di serie B, sono due facce della stessa medaglia, dove la medaglia ovviamente è la vetrina di Venezia, che rispecchia la situazione del cinema mondiale in quel periodo dell'anno.
Le due facce ovviamente si differenziano l'una dall'altra perché in un concorso c'è una prevalenza di autori già affermati, produzioni di peso, mentre nell'altra prevale un'attenzione rispetto ai cineasti emergenti, alle produzioni indipendenti e alle cinematografie meno favorite dal mercato tradizionale, però allo stesso tempo ci piace anche mescolare le carte, ci piace mettere in concorso opere prime di autori sconosciuti, come nel 2017. Allo stesso modo ci piacerebbe, ma non sempre è possibile, mettere in Orizzonti film di autori affermati, che hanno già una storia, una filmografia consistente. Ogni tanto ci riusciamo, per cui la cosa funziona abbastanza bene.

Come avviene il processo di selezione? Intanto c'è un problema quantitativo, perché ogni anno cresce il numero dei film che vengono proposti alla selezione. Nel 2017 abbiamo visionato quasi 1800 lungometraggi e quasi altrettanti cortometraggi.
I film cominciano ad arrivare intorno a Marzo, anche perché molti film vengono proposti contemporaneamente sia a Venezia che a Cannes. Il grosso dei film però arriva da fine Maggio in poi.
Dovendo dare qualche numero, potrei dire che tra Marzo ed Aprile vediamo 200 film e poi da fine Maggio e fine Luglio ne vediamo 1200. La maggioranza è quindi concentrata in quelle otto o nove settimane che sono un autentico incubo, perché vedere 1500 film in pochissimo tempo è non soltanto fisicamente estenuante, ma è anche complicato.
Questo compito improbo è affidato a una commissione di selezione composta da sette persone, sei dei quali stanno stabilmente a Venezia, nel senso che prendono l'impegno di stare fisicamente con me al Lido di Venezia nelle otto o nove settimane di selezione, nel modo che si possa insieme compiere questo percorso. In aggiunta ci sono tre pre-selezionatori che lavorano da casa. Abbiamo messo una piattaforma in sicurezza sulla quale vengono caricati molti dei film che vengono proposti.

I selezionatori da casa quindi vedono i film che riescono a vedere, con una selezione prevalente per gli autori sconosciuti di cui non si sa assolutamente nulla, mentre noi a Venezia vediamo tutti i film di autori  conosciuti, tutti i film che ci sono stati segnalati da una rete complessa di soggetti che ci mandano o ci segnalano i film. Questi soggetti possono essere singole persone, corrispondenti/scout con i quali abbiamo un rapporto istituzionale, e che si occupano di varie aree geografiche: ne abbiamo uno che si occupa del cinema Latino Americano, uno che si occupa del cinema Cinese, uno che si occupa dell'area ex Sovietica, uno che si occupa dell'area sud Asiatica esclusa la Cina e Corea. C'è poi un secondo gruppo di persone, che sono amici, conoscenti, critici che ci mandano segnalazioni di film, in produzione o appena terminati, e poi ci sono gli organismi di promozione da tutto il mondo, che non solo ci mandano il film, ma anche informazioni sui singoli film e che ci aiutano a valutare quelli più interessanti e a dare priorità nella visione. Infine, ovviamente ci sono i singoli autori e produttori con cui abbiamo storicamente rapporti e che ci mandano film eccetera.

La premessa è che noi vediamo tutto. L'impegno è che dobbiamo vedere assolutamente tutto perché non possiamo escludere che, come è successo in passato, arrivi un film di un autore completamente sconosciuto che poi si rivela essere un'opera molto interessante. Non possiamo quindi correre il rischio di lasciar fuori per esempio qualcuno come il vincitore derla miglior regia di quest'anno (Xavier Legrand con L'affido, ndr).
Il processo di selezione è lungo e faticoso, e comporta alcune scelte giocoforza dolorose, anche per il poco tempo a disposizione. Una volta operata la selezione dei film, c'è un altro processo molto importante che è quello di decidere in quale dei due concorsi va messo ciascun film, o se il film va messo fuori concorso. Qui intervengono altri fattori, altri metri di valutazione e di giudizio. Una cosa che dico spesso è che bisogna sempre cercare di difendere i film che si invitano ad un festival, ovvero collocarli nella posizione destinata a fare meno male possibile al film, aiutandolo quindi a essere accolto il più positivamente possibile da parte della critica, degli operatori commerciali, e del pubblico presente al festival.

Quello che faccio a volte è proprio di spiegare perché sia più utile e più efficace, che un film non sia nel concorso principale ma sia invece in "Orizzonti" o sia addirittura fuori concorso.
Le aspettative sono minori, e aiuta anche il lavoro dei critici, che devono vedere 4/5 film al giorno esprimendo un giudizio a caldo, ed è quindi inevitabile che possano sbagliare o comunque esprimere giudizi affrettati. Bisogna tenere conto di questo fatto, e quindi esporre un film più "fragile", diciamo così, a un giudizio negativo vuol dire fargli un cattivo servizio. Questo poi vale soprattutto per i film italiani a Venezia. Un esempio in questo senso è "Nico" di Susanna Nicchiarelli. La produzione avrebbe voluto venire in concorso, come è ovvio. Il film a me è piaciuto moltissimo fin dalla prima visione, ed era un film di cui ero assolutamente convinto e che volevo assolutamente a Venezia.
Ho riflettuto a lungo se metterlo nel concorso principale o no, e poi ho spiegato ai produttori che secondo me il film sarebbe stato ricevuto meglio se fosse stato inserito in Orizzonti, magari come film d'apertura. Hanno accettato, e il film ha vinto il premio come miglior film di Orizzonti ed ha avuto riscontri estremamente buoni, ricevendo recensioni molto positive anche dai critici stranieri, ed è stato venduto in numerosi paesi.


E poi non c'è la controprova perché magari chi dice che un certo film è bello, magari è influenzato dal fatto di averlo visto in una determinata sezione rispetto ad un'altra.Un chiaro esempio dell'importanza del "framing", della presentazione.

Esatto.

Spesso in un festival come la Mostra si parla della qualità dei film, come è naturale. Quando si parla di qualità ci si focalizza solo sul piano artistico, o si guarda alla qualità anche in termini di realizzazione ben eseguita?

Questo è un altro tema che ha dato origine a polemiche frequenti negli ultimi anni, non soltanto a Venezia: un festival deve privilegiare le ragioni dell'arte e dell'estetica o quelle più commerciali e dell'attenzione nei confronti del pubblico? O forse deve cercare di trovare una mediazione tra questi aspetti?
A mio parere queste sono polemiche molto superficiali, incapaci di andare al di là del primo livello che è quello più immediato e anche più banale di una contrapposizione netta tra un cinema d'arte ed un cinema industriale. Sin dalle origini il cinema è sempre stato diviso tra un'anima artistica ed una dimensione industriale. Sono rarissimi i casi di film che vengono realizzati e prodotti completamente al di fuori di una logica commerciale: devono essere film finanziati da mecenati, film di artisti che si affidano magari a circuiti di fruizione alternativa che non è quello del cinema, o film sperimentali fatti dai singoli individui a casa propria, una volta col Super 8 adesso con una telecamera digitale, ma che hanno ambiti ed obiettivi totalmente diversi.
Se ci mettiamo a discutere di cosa sia il cinema artistico e di qual è l'interesse estetico di un film entriamo in un ambito estremamente articolato.

Il festival di Cannes per esempio sembra difendere in maniera anche molto radicale una certa idea di cinema d'autore che è quella sedimentata nella tradizione culturale cinematografica francese, a partire dai Cahiers du Cinema degli anni '50 in poi. Poi è chiaro che anche Cannes si permette delle eccezioni a questa regola, facendo incursioni in un cinema più commerciale facendo anteprime di grossi film Hollywoodiani (quando riesce), o aprendosi a forme espressive diverse come il cinema d'animazione. Tuttavia, dietro all'idea del festival di Cannes c'è comunque questo presupposto culturale che è quello che definiamo "cinema d'autore".

A mio parere la contrapposizione tra cinema d'autore e cinema industriale è comunque qualcosa che appartiene un po' al dibattito del passato. Con la rivoluzione digitale e con i cambiamenti profondi che hanno investito l'intero sistema produttivo dell'audiovisivo, oggi è difficile tracciare una linea netta che separi questi due ambiti. Da un lato ci sono autori che per motivi diversi sempre di più si servono di codici di genere per fare un'opera estremamente personale, o comunque vanno alla ricerca di una mediazione con un pubblico o della capacità di parlare ad un pubblico più ampio rispetto al passato. Dall'altro l'industria del cinema ha capito che se non si punta sulla possibilità di innovare costantemente la narrazione e le forme espressive, oltre alle forme spettacolari, si rischia di perdere l'interesse del pubblico, che oggi come oggi non è più scontato come un tempo.
Quando il cinema era un mezzo di intrattenimento di massa e tutti andavano al cinema almeno una volta alla settimana, l'industria del cinema era un po' più garantita, poteva permettersi di produrre, ne producevano 10, 2 o 3 andavano male ma gli altri 7 o 8 davano profitti e coprivano le perdite.
Oggi è diverso, soprattutto le grandi produzioni producono sempre meno film, a costi sempre maggiori e se sbagliano un film i rischi di non riuscire a coprire le perdite diventano troppo elevati. 

Questo genera un effetto positivo, cioè la volontà di cercare continuamente di rinnovarsi.
Mai come in questi anni il cinema è cambiato, ci sono stati ricambi generazionali continui, esordi di giovani registi, commistioni di generi, tentativi di utilizzare le potenzialità tecnologiche legate agli effetti speciali a fini narrativi. Sarebbe deleterio se un festival non tenesse conto di questa realtà nuova e non cercasse in qualche modo di abbandonare schemi che appartengono al passato per confrontarsi con una realtà estremamente mutevole, dinamica e cangiante come quella di oggi.

Una grande soddisfazione di questi ultimi anni e un grande rammarico?

La grande soddisfazione è di essere consapevole del fatto che Venezia è il festival che si è trasformato di più, che ha introdotto il maggior numero di innovazioni, operazione che nessun altro festival ha fatto. Se pensiamo al numero di progetti innovativi introdotti a Venezia nell'arco di sei anni, questa è la cosa che mi da più soddisfazione, anche perché sono tutte innovazioni che hanno dato dei risultati soddisfacenti. Aver scommesso così tanto, aver assunto dei rischi così alti,aver messo in discussione la forma stessa del festival, il suo profilo e la sua identità ed aver ottenuto dei risultati così soddisfacenti, è la cosa che ovviamente mi gratifica maggiormente.


Recriminazioni non tante, ma una è indubbiamente il fatto di dover fare tanto con così pochi soldi.
Quando io faccio il confronto tra il budget che hanno a disposizione i miei colleghi per fare i loro festival ed il budget di Venezia, da un lato sono orgoglioso, ma dall'altro mi rammarico e penso a cosa potremmo fare con qualcosa di più. Venezia ha un budget che non arriva ai 13 milioni di euro, 12 e mezzo. Il budget di Cannes è sui 22 milioni di euro, Berlino è 28 milioni di euro. Parliamo di festival che sono i diretti concorrenti di Venezia, festival che hanno più o meno le stesse dimensioni a livello di film, eventi, attività, però loro hanno il doppio o più del doppio del budget.
Allora, se da un lato pensi che siamo bravi perché riusciamo a fare le nozze con i fichi secchi, dall'altro mi chiedo anche che cosa riusciremmo a fare se avessimo qualche risorsa in più, perché vuol dire che potremmo fare le cose ancora meglio di come le facciamo, probabilmente.
Ad esempio, potremmo farle in condizioni meno punitive per chi lavora per noi: siamo pochissimi a lavorare, lavoriamo tantissimo, lavoriamo con dei ritmi e degli stress che sono pesantissimi. I nostri dipendenti sono pagati poco, lavorano tantissimo ed hanno pochissimo tempo a disposizione. Poi il vantaggio è che tutti quelli che lavorano per Venezia lo fanno con passione, dando il massimo, però è difficile, se avessimo qualche soldo in più potremmo lavorare in condizioni migliori e potremmo offrire anche un servizio ancora migliore.

Pier

1 commento:

  1. Interessante intervista a Barbera che ne dimostra l’impegno e il grande lavoro profuso per ogni nuova edizione del Festival di Venezia, a fronte di un budget inadeguato alle competenze in campo. Dispiace che in Italia non si potenzino le eccellenze in questo come in altri settori culturali.

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