L'arte della realtà
Los Angeles, oggi: Mia sogna di fare l'attrice, ma tra un provino e l'altro fa la barista per mantenersi; Sebastian è un musicista, fervido sostenitore del jazz classico, che vorrebbe aprire il suo locale ma è costretto a suonare in cover band anni '80 e nei piano bar. Il loro incontro-scontro darà loro la forza per inseguire i propri sogni, in una realtà che sembra non aver più posto per i sognatori.
Ci sono film che commuovono, divertono, fanno riflettere; ci sono film che stupiscono per la bellezza delle immagini, per la perfezione tecnica di ogni dettaglio, per una visione d'insieme che si merita l'appellativo, spesso usato a sproposito, di Regia. Ci sono poi film che riescono a combinare ambedue le cose, e che sono destinati a rimanere nella storia del cinema: questi sono i capolavori. La La Land, signori e signori, è un capolavoro, un film destinato a restare, a segnare l'immaginario di un genere (il musical) e della cinematografia esattamente come fece Cantando sotto la pioggia più di 60 anni fa, raccontando la transizione dal muto al sonoro.
Damien Chazelle, reduce dal successo di Whiplash, racconta il tramonto di un genere, di un modo di fare cinema, di un mondo. Racconta la fine della fabbrica di cui sono fatti i sogni, del cinema come lo abbiamo inteso fino a oggi, incapace di sopravvivere in un mondo in cui i sogni non hanno cittadinanza, e lo fa utilizzando il genere che ha fatto del sogno a occhi aperti il suo marchio di fabbrica, il musical romantico, e attraverso la cronaca di una storia d'amore che, ambizioni artistiche a parte, sembra riflettere nella sua evoluzione realistica e cinematograficamente atipica quella di uno dei capolavori di Woody Allen, Io e Annie.
Il film si apre con una sequenza mozzafiato, un numero musicale ripreso interamente in piano sequenza sull'autostrada di Los Angeles, con centinaia di comparse che ballano, cantano e fanno acrobazie come nei musical dell'età dorata di Hollywood, accompagnati dalla prima geniale canzone del film (di cui Jimmy Fallon ha fatto una bella parodia per aprire i Golden Globes), Another day of sun, che unisce i suoni della città a una partitura vivace e accattivante. Già questa sequenza basterebbe per annichilire qualunque film visto quest'anno, ma è nello sviluppo che il film trova la sua forza. Chazelle crea una prima metà "sognante", in cui i protagonisti sembrano vivere in una favola, tra tip tap nelle strade e balli sospesi nel cielo stellato, ma mantiene comunque un elemento stonato che li ancora alla realtà: il tip tap non è perfetto, perché i due personaggi non sono ballerini; il canto è ottimo, ma "realistico", senza picchi di virtuosismo fino alla splendida audizione di Mia nel finale (su cui torneremo). A questa prima metà ne segue una in cui la realtà prende prepotentemente il sopravvento, quasi con violenza, strappando personaggi e spettatore dall'atmosfera onirica in cui erano immersi: i numeri musicali scompaiono, i colori si fanno più cupi, i compromessi più accettabili, i sogni divengono illusioni.
E' in questa parte che emerge maggiormente la grande bravura degli attori protagonisti. Ryan Gosling è un Sebastian quasi odioso nella sua rigidità e nella sua incapacità di evoluzione, eppure talmente "romantico" da farci comunque parteggiare per lui; Emma Stone dona al suo personaggio un mix di grazia, comicità e malinconia che rendono Mia una versione moderna dei comici del muto, da Chaplin (soprattutto) a Buster Keaton. La splendida prova della Stone ha il suo culmine nella già menzionata audizione, in cui Mia si esibisce in The fools who dream, struggente lettera d'amore a un tempo-un cinema-che non c'è più, e primo numero musicale della seconda metà. Detto degli attori e della magistrale regia di Chazelle, non si può non lodare tutto il comparto tecnico del film, capitanato da Linus Sandgren, direttore della splendida fotografia in Technicolor, e soprattutto da Justin Hurwitz, autore di una colonna sonora semplicemente clamorosa per eclettismo e abilità nel mischiare musical, jazz, suoni naturali, e altre suggestioni musicali, con alcune canzoni (City of Stars su tutte) che rimangono per molti giorni in testa allo spettatore. La presenza del jazz (grande passione del regista) definisce l'atmosfera del film. La parabola di un genere intrappolato in un classicismo che è ormai sorpassato, e che è destinato a scomparire se non riesce a rinnovarsi, diventa quella del cinema "classico" di cui la prima metà del film è degna rappresentante.
Arriva infine l'ultima, abbacinante sequenza musicale, in montaggio che metterà a dura prova anche il più arido degli spettatori, in cui cinema e metacinema si intrecciano: Chazelle non racconta solo il "cosa sarebbe successo se...", le strade non prese dei due protagonisti, ma anche il "film non fatto", la storia che avrebbe dovuto raccontare il film se fosse stato davvero solo un omaggio al musical classico di Hollywood (qui trovate un'analisi più dettagliata di questo punto). Questa sequenza è un perfetto riassunto del perché La La Land è un capolavoro: il film offre infatti molteplici piani di lettura, con una storia malinconica in grado di divertire ed emozionare tutti gli spettatori, e una riflessione sul cinema e una perizia tecnica in grado di mandare in brodo di giuggiole i cinefili.
La La Land non è solo il miglior film da un anno a questa parte ma, a parere di chi scrive, uno dei migliori degli ultimi dieci, ed è destinato a entrare nella storia del cinema dalla porta principale. Non perdetelo.
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Pier
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