Baltimora, anni della Guerra Fredda. Elisa è una donna muta che lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio scientifico dove si cercano di sviluppare nuove armi . Un giorno nel laboratorio viene portata a scopo di studio una creatura anfibia di forma umanoide. Laddove tutti vedono la creatura come una cavia priva di sentimenti che potrebbe essere sfruttata a scopo militare, Elisa scopre che è dotata di grande sensibilità e intelligenza e, lentamente, se ne innamora.
Dopo una parentesi molto riuscita nei film d'azione con Pacific Rim e una non troppo felice nell'horror con Crimson Peak, Del Toro torna al "suo" cinema per raccontarci una fiaba moderna. Come tutte le fiabe, la storia di Elisa e della creatura acquatica ha un carattere universale, e parla di assoluti: la natura di Bene e Male (il maiuscolo è d'obbligo), il concetto di diversità, la solidarietà tra gli ultimi, l'importanza del sogno e della fantasia. "Chi è il vero mostro a Notre Dame?", chiedeva Clopin nella meravigliosa intro musicale che apriva il (troppo sottovalutato) disneyano Gobbo di Notre Dame: Del Toro risponde fin dalle battute iniziali, senza paura di creare un film "manicheo", in cui non esistono toni di grigio e buoni e cattivi sono perfettamente distinti come nel cinema hollywoodiano delle origini. Nulla di originale, dunque, eppure Del Toro riesce a prendere questi topoi narrativi e a trasformarli in qualcosa di originale e unico, che porta la sua impronta indelebile in ogni immagine, ogni dialogo, ogni scelta.
Ciò che nella fiaba è stereotipato e archetipizzato diviene qui realistico, sfaccettato, perennemente in equilibrio tra realtà e fantasia così come la storia si muove a metà tra terra e acqua. L'amore tra Elisa e la creatura viene raccontato con una sensualità sconosciuta al genere fantastico, senza però perdere di vista il romanticismo. Il film è una commistione tra Storia e fiaba, con la Guerra Fredda che fa da sfondo alla storia d'amore proibita di Elisa, ricreando quella fenomenale sovrapposizione tra reale e fantastico che caratterizza i film più riusciti di Del Toro come Il labirinto del fauno e La spina del diavolo. Il confine si fa sempre più labile man mano che il film procede, in un crescendo di poesia che culmina nel meraviglioso e ambiguo finale, che costringe a chiederci se venga prima la storia o il mito.
Muovendosi sul sottile confine tra realtà e fantasia, Del Toro finisce per fare anche una riflessione metatestuale sulla natura del cinema e della fiaba, sulla loro capacità di fornire un momento di evasione dalla realtà e al tempo stesso parlare delle questioni fondamentali della natura umana, in un escapismo che, per dirlo con le parole di J.R.R. Tolkien, non è da intendersi come la fuga del disertore ma come la liberazione di un prigioniero. E i personaggi di Del Toro sono prigionieri, prigionieri di una società che non offre loro alcun posto, alcuna accettazione, che li marginalizza e li colpevolizza per la loro diversità; una società perfettamente ritratta nel personaggio di Michael Shannon, formidabile villain di altri tempi in preda a una crescente corruzione morale e persino fisica, che domina la scena con la sua mostruosa normalità, la sua banale malvagità. Accanto a lui si muove un cast di grandi attori poco noti al grande pubblico, dalla protagonista Sally Hawkins a Octavia Spencer, passando per lo splendido Richard Jenkins, cui Del Toro offre dei ruoli che permettono loro di brillare come forse mai avevano fatto prima.
E proprio il cinema delle origini, con la sua aura di magia e mistero , è il punto di riferimento visivo e sonoro di Del Toro, che omaggia apertamente i classici hollywoodiani di vari generi, dal cinema di mostri ai comici del muto, passando per i musical con Fred Astaire. L'omaggio non è però fine a se stesso, ma concorre a creare quell'atmosfera onirica che pervade il film, e costituisce la base da cui Del Toro si muove per costruire le scene più innovative e originali del film, come quella che campeggia sui manifesti pubblicitari. A questo partecipa pure la colonna sonora, che alterna le musiche d'epoca alle dolcezza delle composizioni originali di Alexandre Desplat.
Del Toro amalgama ogni elemento alla perfezione e tutto, dall'incredibile trucco della creatura alla costruzione dei set, mostra il suo inconfondibile tocco e rappresenta un tassello della sua visione.
Se pensate che il cinema debba ritrarre l'umanità nelle sue varie sfaccettature e scale di grigio, probabilmente questo film vi lascerà indifferenti. Se, tuttavia, pensate che il cinema sia l'arte di parlare del reale sotto un manto di magia, poesia e sogno, allora non potrete non amare La forma dell'acqua.
****
Pier
Nessun commento:
Posta un commento