1971, USA: Daniel Ellsberg, economista che lavora per un'agenzia al soldo del Pentagono, trafuga e diffonde delle copie di un rapporto segreto che dimostra come il governo USA sotto quattro presidenti diversi sapesse dell'impossibilità di vincere la guerra in Vietnam, e ciononostante non abbia ritirato le truppe. Il primo a divulgare i documenti è il New York Times, che però riceve un'ingiunzione della Corte Suprema che, sollecitata dal governo Nixon, impone il blocco della pubblicazione. A questo punto i documenti arrivano in mano ai giornalisti del Washington Post, mettendo l'editore, Katharine Graham, e il suo direttore, Ben Bradlee: pubblicare e rischiare a loro volta il blocco della pubblicazione e un possibile disastro finanziario, o non pubblicare e venire meno alla loro missione di divulgatori della verità.
Il tema della libertà di stampa è quantomai centrale di questi tempi, in cui tra bufale, attacchi frontali del potere costituito, e un oggettivo scadimento del livello qualitativo medio il giornalismo tradizionale arranca e fatica ad assolvere la sua funzione di pungolo dei governanti e servitore dei governati. Un film come The Post arriva quindi con perfetto tempismo. La vicenda narrata è quantomai bipartisan, dato che tocca presidenti di diversi schieramenti ed epoche, ed è raccontata con un ritmo serrato e una narrazione prevalentemente in interni, dove seguiamo le attività giornaliere di una redazione esemplare e il loro costante lavorio alla ricerca della verità. Al tema della libertà di stampa si aggiunge quello dell'emancipazione femminile, affrontato attraverso la figura di Katharine Graham: trovatasi quasi per caso a essere l'editore del Washington Post, Graham è circondata da uomini che le dicono cosa deve e non deve fare, cosa può e non può permettersi. La sua scelta, libera e consapevole, arriva quasi come un urlo liberatorio, una dichiarazione di intenti che rivela un carattere deciso sotto l'apparenza di donna mite e festaiola della protagonista.
Sia Katharine Graham che Ben Bradlee sono interpretati alla perfezione da due mostri sacri come Meryl Streep, ancora una volta meritatamente candidata all'Oscar, e Tom Hanks. Accanto a loro brillano dei comprimari d'eccezione, dal Bob Odenkirk di Breaking Bad e Better Call Saul al Bradley Whitford di The West Wing, che danno vita a una redazione e a un gruppo editoriale quantomai sfaccettato e, proprio per questo, vero e credibile.
Il film ha il merito di non scadere in eccessi di retorica, ma osa pochissimo e sembra sedersi sugli allori, crogiolarsi nella certezza di avere tutti gli elementi per poter realizzare un bel film. Spielberg si accontenta di mettere in scena anziché esplorare, scavare, indagare; di usare i suoi fenomenali attori per trasmettere i personaggi, senza preoccuparsi di esplorarli a fondo. Il risultato è un film godibile ma comunque superficiale che, cosa strana per un film di Spielberg, non riesce davvero a coinvolgere né a emozionare, come invece riescono a fare capolavori del genere "giornalistico" come Tutti gli uomini del Presidente o il più recente Il caso Spotlight. Ci si ritrova a tifare per i protagonisti quasi per inerzia, senza un reale coinvolgimento né interesse per le loro vicende, con la parziale eccezione del personaggio della Graham, ma piùper merito di Meryl Streep che di regia e sceneggiatura.
The Post risulta quindi un film solido, ben realizzato e interpretato magistralmente, ma superficiale; un compitino che racconta la sua storia con efficienza ma senza efficacia, e ha quindi un impatto di gran lunga inferiore a quello che avrebbe potuto avere. Non rimarrà di certo nella storia del cinema sul giornalismo, né resterà a lungo nella memoria dello spettatore.
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Pier
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