L'emozionante incapacità di essere normale
Riggan Thompson è un attore divenuto celebre in gioventù per aver interpretato il supereroe Birdman. Ormai anziano, Riggan cerca di rilanciarsi con uno spettacolo teatrale tratto da un racconto di Raymond Carver e da lui diretto e interpretato. Mentre cerca di superare le difficoltà e le diffidenze legate allo spettacolo, Riggan deve anche tenere a bada la sua coscienza, che prende le sembianze proprio dell'eroe che lo ha reso famoso, di cui per qualche strano motivo sembra aver conservato i superpoteri.
Inutile tirarla per il lungo: a parere di chi scrive, Birdman è uno dei migliori film dell'anno, forse il migliore tra quelli che prenderanno parte alla notte degli Oscar. Inarritu realizza un piccolo gioiello, tutto in interni, che attraverso una serie di piani sequenza da manuale ci fa penetrare nel cuore del teatro, dello spettacolo, e dell'anima del protagonista, che viene messo a nudo lentamente, con pazienza, come in una lunga e intensa seduta psicoanalitica. L'esplorazione ossessiva e meticolosa degli spazi dietro le quinte diviene esplorazione della mente del protagonista, una mente tortuosa, involuta, travolta dal senso di colpa e bloccata dai "se". Cosa sarebbe successo se avesse accettato di fare Birdman 3? Cosa sarebbe successo se non avesse mai fatto Birdman? I se si accumulano, si inseguono, tormentano Riggan e al tempo stesso lo ispirano, lo caricano, gli fanno percepire l'importanza infinita ed effimera dello spettacolo che si appresta a rappresentare, l'ultima occasione di una vecchia vita, l'inizio di una nuova, o forse nessuno dei due.
Accanto allo studio sul personaggio si innestano due riflessioni strettamente interconnesse, la prima sulla celebrità nel mondo dei social media, la seconda sulla capacità umana, e soprattutto maschile, di accettare il cambiamento e il declino fisico e della fama, il lento spegnimento dei riflettori della ribalta e della vita. Inarritu si sbizzarrisce nelle citazioni metacinematografiche, che iniziano ma non si fermano con la scelta del protagonista, un Michael Keaton rimasto a lungo intrappolato nella tuta del Batman burtoniano e che con Riggan condivide numerosi tratti. Era dai tempi di The Wrestler che non si vedeva una così totale identificazione tra attore e personaggio, una fusione di corpo e spirito che risulta in una performance talmente vera e profonda da fare quasi male nella sua toccante autenticità. Una prova da Oscar, senza se e senza ma, per la sua capacità di essere toccante senza essere macchiettistico, per la molteplicità di registri affrontati, per il realismo raggiunto anche nelle situazioni più estreme. Accanto a lui spiccano un Edward Norton eccezionale nel ruolo di un attore teatrale che è lo specchio di Riggan e la sua nemesi, e Zach Galifianakis, misurato e quasi irriconoscibile nel ruolo del fedele agente del protagonista.
Le riflessioni sul mezzo cinematografico e sulla moderna società dei media, tuttavia, non si fermano qui: Riggan si ritrova a pagare il prezzo della fama, un'arma a doppio taglio che può garantire notorietà ma non il rispetto dei propri pari, creando una situazione in cui l'artista deve continuamente mantenersi in equilibrio tra un pubblico e un'industria che vogliono essere intrattenuti e una coscienza, sia umana che professionale, che richiede integrità artistica. Una storia che Inarritu conosce bene, che è quella di molti artisti che rischiano ogni giorno di finire schiacciati dagli ingranaggi di Hollywood. Una storia che, nell'era dei social media e del warholiano minuto di celebrità, diviene la storia di tutti, intrappolati tra una sfuggevole fama a portata di mano e il desiderio di lasciare un segno con la propria esistenza.
Birdman è un capolavoro. Lo è a dispetto di un finale che depotenzia parte del suo messaggio, ma ne rafforza il senso picaresco e roboantemente coraggioso; lo è a dispetto di una bulimia narrativa che rende il ritmo quasi eccessivamente rapido, ma contribuisce anche a rendere il film godibile e stimolante nonostante la sua cifra artistica e di riflessione sociale. Lo è, insomma, a dispetto dell'imperfezione, quell'imperfezione che è al cuore stesso di ogni espressione artistica, e che la continua ricerca del consenso ci spinge spesso a sopprimere.
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Pier
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