sabato 11 marzo 2023

The Whale

Le tante forme del dolore


Quante forme può prendere il dolore? E si è colpevoli se il proprio dolore crea dolore agli altri? Queste le domande che animano The Whale, ultimo capitolo della schizofrenica carriera di Darren Aronofsky, un regista incapace di essere "medio". I suoi film sono divisivi, e soprattutto polarizzati in termi di qualità: o brillano di luce propria, o sprofondano a livelli abissali, risultando indigesti anche al suo più grande estimatore. 

The Whale fa parte di "quelli buoni", nonostante alcuni potrebbero trovarlo, legittimamente, respingente per la sua scelta di mettere in scena un dolore così vistoso, così fisicamente impattante, con il corpo obeso del protagonista esposto senza alcun pudore in tutte le sue funzioni quotidiane. Bastano tuttavia pochi minuti per capire che questa esposizione non è fine a se stessa, ma funzionale a far emergere il cuore e l'anima del film. Come in The Wrestler, il corpo diviene uno strumento di sublimazione del dolore, un atto di alienazione dal mondo. Quella di Charlie è un'obesità cercata, aborrita ma anche desiderata: un guscio in cui affogare una depressione irrefrenabile, un muro dietro cui nascondersi per tenere lontano un mondo che lo ha già ferito troppe volte. Fino a quando, un giorno, il passato torna nella forma di una figlia arrabbiata ma adorata, e Charlie questa volta apre la porta: a lei, ma anche al giovane membro di una setta, la cui ambigua presenza ci ricorda come la colpa sia un concetto relativo tanto quanto la salvazione. Charlie vuole salvare sua figlia, ma non se stesso, nonostante la prima operazione sarebbe resa infinitamente più facile dalla seconda.

Su tutto incombe Moby Dick, soggetto dell'insegnamento di Charlie e di un misterioso saggio cui sembra molto affezionato, e che conferisce una lettura nuova dell'opera di Melville e, di riflesso, della stessa vicenda di Charlie. Charlie è un uomo distrutto che però ha ancora tanto da dare, preda di una spirale autodistruttiva che non può e, forse, non vuole più arrestare. Tuttavia, nonostante il suo istinto autopunitivo, Charlie non rinuncia alla sua dignità - a essere se stesso, rivendicando scelte fatte per amore anche quando sembravano egoiste.  

Aronofsky trasforma la casa di Charlie in una soffocante cabina, spesso ripresa ad angolature stranianti, che fanno risaltare l'enormità del protagonista in uno spazio tanto piccolo. La sua è una messa in scena teatrale, che fa risaltare i rapporti tra i personaggi, il non detto dei silenzi, degli sguardi che giudicano, amano, vivisezionano, in un incontro-scontro tra volontà feroci e diverse, decise a essere ciò che vogliono e non ciò che gli altri vogliono che siano.

Il cast offre prove eccezionali, con Sadie Sink che si conferma la più talentuosa del gruppo di giovani attori usciti da Stranger Things, e Brendan Fraser che torna sul grande schermo, dopo tante vicissitudini, con un'interpretazione stordente per forza e range emotivo. Come Mickey Rourke prima di lui, Fraser diventa il suo personaggio, fa suo il desiderio di essere visto per ciò che é: un grande attore ingiustamente messo da parte, addirittura ostracizzato per tanto tempo, deciso a riprendersi ciò che è suo, a riaffermare il suo valore.

The Whale è un film emozionante, che ci costringe a confrontarci con le molteplici sfaccettature del dolore e con la catena di rancori e ferite che esso è in grado di creare. Non brilla per originalità della regia, ma forse è un bene: Aronofsky sembra dare il suo meglio quando la sua folle inventiva viene messa al servizio di una storia classica ma dal forte impatto emotivo, costringendolo a concentrarsi sui personaggi e regalandoci finali da brividi in cui immagine e sceneggiatura divengono tutt'uno e trascendono (è proprio il caso di dirlo) il piano del reale.

**** 1/2

Pier

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