lunedì 2 agosto 2021

Jungle Cruise

Il ritorno del cinema d'avventura


Londra, 1916: la botanica Lily Hougton, accompagnata dal fratello MacGregor, parte per una rocambolesca avventura nella foresta amazzonica alla ricerca di un fiore di cui parlano le leggende, dalle mitiche proprietà curative. Per navigare il Rio delle Amazzoni ingaggia i servigi di Frank, proprietario di una imbarcazione sgangherata ma profondo conoscitore delle mille biforcazioni del fiume. L'avventura si rivelerà più complessa del previsto quando sulle loro tracce si metterà il principe tedesco Joachim e, soprattutto, quando la leggenda dietro il fiore si rivelerà fin troppo autentica. 

Il cinema d'avventura è un genere che sembrava morto e sepolto: esploratori e affini, dopo aver conosciuto il loro momento di gloria con le serie di Indiana Jones e All'inseguimento della pietra verde, e aver vissuto un ottimo revival "per ragazzi" con la serie de La mummia, sembravano passati di moda. 
Jungle Cruise raccoglie l'eredità dell'ultimo filone e si rivela una lieta sorpresa che riesce nell'impresa di resuscitare e rilanciare il genere, azzeccandone in pieno gli ingredienti principali: personaggi interessanti e carismatici, scrittura brillante, avventura fatta di continui pericoli superati, spesso in modo rocambolesco, grazie ad astuzia, abilità, e sprezzo del pericolo. Ispirato, come già I pirati dei Caraibi (altra saga che aveva rilanciato un genere, quello dei pirati, che sembrava superato), da un'attrazione di Disneyland, il film tradisce la sua origine ma riesce a sfruttarla per raccontare un'avventura sul fiume con ingredienti di screwball comedy, un mix che non si vedeva dai tempi di un capolavoro come La regina d'Africa

La sceneggiatura è perfetta per il genere: dialoghi brillanti, avventure ai limite dell'incredibile che uniscono fatti storici con un tocco di fantastico, e un colpo di scena per una volta davvero azzeccato. Jaumie Collet-Serra è efficace nel mettere le sue doti di regista di cinema d'azione al servizio della sceneggiatura con una direzione degli attori che ne fa risaltare le capacità comiche, un montaggio serrato che dà al film un ottimo ritmo, un uso della CGI efficace (anche se debitore dell'estetica de I pirati dei Caraibi), e una fotografia che ha il coraggio di "fermarsi" durante alcune delle scene d'azione, mettendo in luce le doti atletiche di Dwayne Johnson.

Johnson offre probabilmente una delle sue prove migliori, donando al suo personaggio quel fascino da simpatica canaglia che aveva già esibito efficacemente, seppur solo a livello vocale, in Oceania, e divertendo e divertendosi anche quando si lancia in improbabili freddure e giochi di parole. A brillare più di tutti, però, è Emily Blunt: il suo sorriso e il suo sguardo strafottente bucano lo schermo, i suoi tempi comici sono eccezionali, il suo humor inglese (il film va, se possibile, visto in inglese) contrasta perfettamente con l'americanissimo Johnson. La sua Dottoressa Houghton è senza ombra di dubbio uno dei personaggi femminili migliori del genere, ed eclissa le sue epigone di tempi più recenti, saga della Mummia in testa, per personalità e carisma.

Jungle cruise è un film divertente, senza pensieri e senza alcuna pretesa se non quella di intrattenere e, perché no, far viaggiare la nostra mente - l'ideale, forse, per questo momento storico. Chi scrive auspica che possa essere anche il primo capitolo di una nuova saga che ha il potenziale di resuscitare un genere che, pur avendo come target di riferimento i ragazzi, è in grado di offrire risate e divertimento di qualità anche agli adulti. Se la saga continuerà (e gli incassi, in tal senso, sembrano promettere bene) dovrà però alzare l'asticella della creatività, puntando verso nuovi territori narrativi ed espressivi: ma si parte da radici solide.

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Pier 

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