Un sogno collettivo
Il musical è il genere onirico per eccellenza: dai grandi classici come Cantando sotto la pioggia agli esempi più recenti come Moulin Rouge o La La Land, passando per le versioni animate della Disney, il musical mette da sempre in scena speranze, ambizioni, desideri, mischiando il reale e il fantastico. I musical più riusciti, tuttavia, sono quelli in cui la realtà rimane ben visibile, in grado di spezzare il sogno così come di farlo carne e renderlo realtà.
In the Heights racconta un sogno collettivo, che attraversa vite e generazioni: quello della comunità latina di Washington Heights. Certo, formalmente il protagonista è Usnavi, ma Usnavi non è altro che un narratore, che racconta una storia che è anche la sua, ma non solo la sua. È la storia di Nina, che sente il peso di dover riscattare un'intera comunità; è la storia di Kevin, che è disposto a sacrificare tutto per dare a sua figlia la possibilità che lui non ha avuto; è la storia di Abuela, che ha fatto da nonna a tutti, dispensando amore per dare agli altri quello che lei, immigrata di prima generazione, non aveva ricevuto - per aiutare gli altri sogni a fiorire. Ed è quello di tanti altri personaggi, i cui sogni si fanno canto e si uniscono a quelli dei protagonisti in un'opera sinfonica corale - non per nulla una delle canzoni si intitola Hundreds of stories - che dà voce a un'intera comunità, a un'intera esperienza - quella, appunto, dei cittadini immigrati, di prima o seconda generazione, divisi tra la patria che li accolti e quella che hanno dovuto lasciare, tra l'orgoglio per le proprie radici e quello per ciò che sono riusciti a ottenere nella loro nuova vita.
La colonna sonora di In the Heights è strepitosa, il trionfo del genio musicale di Lil-Manuel Miranda (Hamilton è il suo trionfo di scrittura, ma musicalmente non fa altro che riprendere ed elaborare suggestioni introdotte qui): un tappeto sonoro ricco, vibrante, che non lascia un attimo di tregua, ed esplode con note felici, malinconiche, orgogliose, rassegnate, divertite, un turbinio di emozioni che avvolge, conquista, trasporta, fa sognare. La gioia della canzone d'apertura, l'energia irrefrenabile di In the club e Carnaval del barrio, la malinconia di Breathe e When you're home, la devastante potenza emotiva di Patiencia y fe (il momento migliore del film, a livello sia musicale che visivo, anche grazie alla fenomenale performance di Olga Merediz): tutti questi ingredienti si mescolano in un affresco musicale omogeneo che ci trasporta nel quartiere, facendoci respirare, sudare, emozionare con i protagonisti.
Jon Chu dirige il film con buona inventiva, anche se a volte rimane la sensazione che avrebbe potuto osare ancora di più. Le sue scelte sono comunque efficaci: Chu accompagna la poliedricità delle musiche con un caleidoscopio di colori e coreografie, un'esplosione di vitalità e movimento che omaggia i musical classici e li trasporta in una dimensione più quotidiana senza sacrificare la fantasia e l'immaginazione. I colpi di scena della trama sono riusciti anche per la sua capacità di giocare con le immagini e con la sceneggiatura, mettendoli al servizio del vero protagonista - il quartiere di Washington Heights.
In the Heights è, a dispetto delle innovazioni musicali, un musical classico, un'ode al potere del sogno che si muove tra una canzone e l'altra con il giusto mix di grazia e gravitas, risultando dolce ma mai sdolcinato, commovente ma mai alla ricerca della lacrima facile. Se il genere non fa per voi, evitatelo; ma se siete amanti del cinema che fa sognare a occhi aperti, lasciatevi trasportare tra i suoni e la luce delle vie di Washington Heights: non ve ne pentirete.
**** 1/2
Pier
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