mercoledì 14 luglio 2021

Black Widow

Mission Impossible: Fuggire dal genere


Black Widow ha una storia tormentata quasi quanto quella della sua protagonista. Programmato per anni, realizzato solo a ridosso della pandemia, e per questo posticipato fino a oggi, arriva in sala avvolto da una patina di mistero ed "estraneità" a un universo Marvel che ha sorpassato gli eventi raccontati nel film. Era, insomma, un film che non poteva reggersi sull'hype, sul desiderio di scoprire i nuovi sviluppi della macrotrama che si dipana sui vari film.

Sembrava quindi l'occasione per provare a fare qualcosa di nuovo, tornare a quegli esperimenti del "genere nel genere" che erano stati la forza dell'universo Marvel fino a Civil War, quando iniziò l'abbandono delle differenze a livello visivo, presto seguite da quelle narrative e di tono (si veda Thor Ragnarock, lontanissimo dai toni shakespeariani dei predecessori e più vicino a quelli da space opera comica dei Guardiani della Galassia). Ormai l'universo Marvel è incredibilmente e volutamente omogeneo, e per trovare qualche lampo di diversità bisogna rivolgersi alle serie TV su Disney+, WandaVision in primis.

Black Widow avrebbe la libertà di essere un film di genere - lo spionaggio di azione di James Bond o Mission Impossible - e di avere quel tocco di realismo che spesso giocoforza manca dai film Marvel. La Vedova Nera non ha superpoteri, non ha armature potenziate o ali robotiche: è umana, molto umana, con un passato traumatico alle spalle e solo le sue forze e la sua astuzia a consentirle di portare a termine le sue missioni - esattamente come James Bond e Ethan Hunt.

E, per la prima metà di film, ci prova, e ci riesce egregiamente: la sequenza di apertura è, a mani basse, una delle migliori mai realizzate nel MCU, con la tensione che cresce, cresce, cresce, fino a esplodere, e lo scenario che passa da familiare a eccezionale nel giro di pochi, efficacissimi minuti. A seguire, dei titoli di testa degni di Zach Snyder (è un complimento, Snyder ha mille difetti ma sa fare i titoli di testa come pochi altri), con una versione a cappella di una celebre canzone rock ad accompagnare delle immagini incredibilmente crude per un film Marvel, che riflettono gli abusi che le bambine destinate a diventare le Vedove hanno dovuto subire. 
La fuga di Natasha e il successivo incontro-scontro con il suo passato sono gestite magistralmente, con scene di inseguimento e combattimento che non sfigurerebbero in uno dei migliori Mission Impossible. Il dramma e l'azione prevalgono sulle parti comiche, pur presenti, e l'incontro scontro tra Scarlett Johansson e Florence Pugh è teso, asciutto, vero.

Non i tipici titoli di un film Marvel

Poi, improvvisamente, il film vira in un'altra direzione, tornando in territori più familiari ai film minori del MCU: battute a raffica, personaggi macchiettistici, azione edulcorata e ripresa con la solita shaky cam, utilizzo eccessivo di computer grafica, fotografia standard (qualcuno potrebbe dire smarmellata). Il paradigma Marvel prende possesso del film e non lo abbandona più, tradendone la natura e distruggendo l'identità che era riuscito a crearsi nel primo atto. Il risultato è straniante e deludente, in quanto butta alle ortiche la possibilità di fare qualcosa di diverso, in grado di distinguersi dalla massa, e invece risulta uno strano miscuglio tra qualcosa di nuovo e l'obbligo di seguire una sorta di manuale Cencelli della sceneggiatura Marvel. L'anima "cruda" del film torna a fare capolino qui e là (soprattutto nel confronto tra la Vedova Nera e Dreykov), come a non volersi rassegnare all'omologazione, ma esce sconfitta e scompare definitivamente nel grande scontro di chiusura.

Le new entries tra gli attori subiscono il destino della sceneggiatura loro affidata: Florence Pugh brilla e dà vita a un personaggio vivo ed energico, che entra subito nel cuore dello spettatore grazie alle sue sfaccettature; Rachel Weisz e David Harbour sono invece costretti a lavorare con delle macchiette, con la sceneggiatura che rinuncia del tutto ad approfondirne la psicologia - e, soprattutto nel caso del personaggio di Harbour (il Red Guardian), sarebbe stato estremamente interessante. Scarlett Johansson sembra finalmente divertirsi con un personaggio troppo spesso lasciato sullo sfondo nei film corali, e che qui invece viene tratteggiato con attenzione e buona profondità.

Black Widow è un'occasione mancata: dopo un inizio folgorante, sembra quasi rassegnarsi a essere semplice prodotto di intrattenimento "scolastico" e nulla più. Un vero peccato, perché il potenziale c'era, e la decisione di portare il film nella solita, conosciutissima direzione sembra posticcia, appiccicata ex post per non deviare da una formula sì vincente, ma che sta cominciando a esaurire le sue cartucce.

***

Pier

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