Frammenti di memoria
Il racconto della demenza senile non è certo nuovo al cinema, soprattutto negli ultimi anni, in cui film come Still Alice, Away from her, e The leisure seeker hanno affrontato il tema con toni e prospettive molto differenti. Tutti questi film, tuttavia, adottavano una prospettiva esterna alla malattia, mostrando il decadimento mentale e fisico della protagonista come visto da un osservatore. The father ribalta questa prospettiva, e ci porta all'interno del cervello del malato, mostrandoci la realtà dal suo punto di vista. La macchina da presa di The father è un narratore inattendibile, che procede per salti, collegamenti (il)logici, rivisitazioni di scene precedenti, giustapposizioni: è un viaggio in una mente durante il processo di frammentazione indotto dalla malattia, tra i fantasmi che sembrano reali e la realtà che diventa sogno.
La sceneggiatura di Florian Zeller è, semplicemente, un capolavoro: tesa, ritmata, coraggiosa, cattura lo spettatore dalla prima scena e non lo abbandona più, trascinandolo nelle profondità della mente e continuando a sorprenderlo, disorientarlo, emozionarlo fino all'ultima inquadratura.
La regia di Zeller è meno creativa della sua sceneggiatura ma comunque ottima, in grado di superare l'origine teatrale del testo per mettere in scena una macchina visiva e sonora efficace ed evocativa grazie ad alcune scelte artistiche molto azzeccate: la musica diegetica chiaramente distinta da quella extradiegetica, il gioco visivo dei sottili cambiamenti degli spazi e delle situazioni, con la ripetizione delle inquadrature a sottolineare differenze dapprima marginali che divengono sempre più macroscopiche. Il gioco è sorretto da un montaggio da manuale, che gioca con il tempo interno della storia (tempo che, peraltro, è uno dei temi centrali del film), dilatandolo e comprimendolo a seconda delle necessità.
La forza emotiva del film, tuttavia, è tutta nelle mani di Anthony Hopkins, qui forse alla miglior prova di una già scintillante carriera. Non esistono parole che possano descrivere l'incredibile naturalezza dell'attore gallese nel raccontare un uomo malato che cerca disperatamente di aggrapparsi alle ultime certezze che la sua mente gli offre. Rabbia, debolezza, paura, charme: Hopkins offre questo, e tanto altro, dando credibilità a scene che in mano a un altro attore sarebbero state ad altissimo rischio di ridicolo, e che lui trasforma in momenti straordinari, catartici, umani. Accanto a lui impallidisce anche l'ennesima prova sublime di Oliva Colman, perfetta nel rendere il caleidoscopio di emozioni che la figlia di un malato di demenza senile si trova a provare.
The father non è solo un film sulla malattia, ma un magnifico ritratto della mente e della memoria umana, che ci mette di fronte alla loro fragilità e a come siano in grado di distorcere la realtà. Un viaggio dentro noi stessi, che evidenzia come ciò che ci rende chi siamo - la nostra identità - risieda soprattutto nella nostra capacità di pensare, sentire, ricordare. Non perdetelo.
****1/2
Pier
Nota dell'autore adirato: la distribuzione italiana ha, come da tradizione, deciso di aggiungere un pleonastico sottotitolo al titolo originale, ovvero "Nulla è come sembra" - roba da thriller estivo di seconda visione. Quando la smetteremo con queste scelte penose?
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