venerdì 25 gennaio 2019

La favorita

Il tragico divertimento delle dame


Inghilterra, XVIII secolo. La regina Anna è una creatura fragile e capricciosa, in preda a vari problemi di salute e a una totale incapacità di rinunciare ai piaceri della carne. Lady Sarah, la sua favorita, governa de facto il paese, approfittando della sua influenza sulla suggestionabile regina. Quando però giunge a corte Abigail Masham, lontana parente di Lady Sarah decisa a guadagnarsi un posto nell'alta società, le cose cominciano a cambiare.

Ogni grande tragedia è pervasa da una forte vena comica, che serve da contraltare al dramma che domina la scena, ma al tempo stesso è parte integrante di quel dramma: l'assurdità e la pervicace ostinazione con cui i protagonisti creano il proprio tragico destino non sfuggiva agli antichi, le cui tragedie, da Sofocle a Shakespeare (Shakespeare is always incredibly fun, per usare le parole di Ian McKellen), sono infatti pervase di numerosi momenti di un'ironia strisciante che esplode nei momenti più inaspettati.
Non è dunque una sorpresa, forse, che si sia dovuto attendere un regista greco, quel Yorgos Lanthimos che ha più volte dichiarato di rifarsi alle tragedie euripidee, per avere quella che è forse la più acuta e ficcante tragedia del potere mai vista su schermo. In La favorita la lotta per il potere fa solo vittime, e anche i presunti vincitori si ritrovano prigionieri di una rete di relazioni e dipendenze da cui non possono realmente liberarsi.

Il loro continuo affannarsi è esilarante e drammatico al tempo stesso, un continuo, grottesco balletto che la macchina da presa osserva con la distanza propria degli dei, spettatore silente di uno spettacolo esilarante e tragico cui non ha intenzione di partecipare. Lanthimos adotta infatti il punto di vista di uno scienziato osserva delle cavie di laboratorio: le due "favorite" brigano, tramano, si contendono il favore della regina Anna, e la regina stessa dipende dalla loro presenza e dal loro affetto, vero o presunto che sia. Lanthimos solleva il sipario della vita di corte e ce la mostra nella sua interezza, tra lusso ed espletazione delle più basse funzioni corporali, mostrandoci la puzza dietro il profumo, le deformità dietro il belletto. Lo fa senza giudicare, ma semplicemente mostrando, pizzicando delicatamente le corde della complessa ragnatela di potere che lega i protagonisti, riducendo a poco a poco la loro possibilità di movimento, attirandoli a sé come un ragno fa con le sue prede, mentre queste, dibattendosi, stringono sempre di più i fili che le imprigionano.


Lanthimos, con l'aiuto degli sceneggiatori Deborah Davis e Tony McNamara, dipinge delle protagoniste reali, mostrandone i segreti e le più basse ambizioni senza però giudicarle, ma anzi rendendo le loro azioni, anche quelle più abiette, perfettamente comprensibili. Il principio tragico tra azione e reazione è portato alle estreme conseguenze per raccontare una pagina poco conosciuta della storia inglese che diviene un momento di Storia universale. Tutto questo viene fatto con una sceneggiatura magistrale ed esilarante, che trascina lo spettatore verso un finale di rara potenza degno di una grande tragedia shakespeariana, in cui i fili finalmente si tendono e le protagoniste si trovano a contemplare ciò che hanno creato, senza aver nessuno da rimproverare se non se stesse. Allo stesso tempo, il regista greco non manca di evidenziare le dinamiche sociali che hanno portato le protagoniste ai comportamenti rappresentati - un sistema patriarcale che le vorrebbe relegare sullo sfondo, e che rende l'essere spietate e amorali l'unica strategia possibile per sopravvivere.

La favorita è anche il più sontuoso film in costume dai tempi di Barry Lindon, cui si ispira dichiaratamente per l'impianto visivo e per la scelta di usare solo illuminazione naturale. Questa ispirazione non è però sterile, ma si evolve in nuove direzioni tese a creare e perpetuare un effetto di straniamento continuo che sottolinea ulteriormente l'assurdità della vicenda narrata. Il risultato è un film visivamente sublime, in cui Lanthimos osserva le sue protagoniste con lenti spesso deformate, facendo un ampio uso dell'occhio di pesce e del grandangolo, e infarcendo la vicenda narrata di scene che raccontano la grottesca realtà della vita dell'epoca, a corte e non.

Il film tuttavia non riuscirebbe a raggiungere certe vette se non fosse per l'interpretazione strepitosa delle protagoniste: se Emma Stone e Rachel Weisz sono perfette nel rendere le psicologie delle due favorite, così diverse eppure così simili, su tutte si staglia la figura tragicomica della regina Anna, interpretata magistralmente da Olivia Colman (cui suggeriamo di fare causa a chi la mette alla pari di Lady Gaga nella corsa agli Oscar). La sua prova è indimenticabile per l'abilità di variare continuamente tono, restituendoci una sovrana ora golosa, ora lussuriosa, ora infantile, ora tirannica.

Lanthimos conferma il talento già espresso nei suoi precedenti lavori dimostrando sia la sua capacità di realizzare un prodotto autoriale anche all'interno del sistema produttivo hollywoodiano, sia una straordinaria vena comica e un gusto per l'assurdo assolutamente incredibile (la scena di ballo è in tal senso memorabile), che riesce però a mettere magistralmente al servizio della storia. Il regista greco tiene in equilibrio le varie anime della storia e i vari elementi del film con un'abilità da giocoliere, realizzando quello che è probabilmente il miglior film dell'anno.

*****

Pier

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