giovedì 3 gennaio 2019

Suspiria

Le nuove facce dell'orrore


Berlino, 1977. Susie Bannion, una giovane danzatrice statunitense, ottiene un'audizione presso la compagnia di danza Markos Tanz Company. Durante l'audizione attira l'attenzione della famosa coreografa Madame Blanc, e nel giro di breve tempo ottiene il ruolo di prima ballerina. Intorno a lei, tuttavia, continuano ad accadere strani eventi, tra allieve scomparse e sussurrate accuse di stregoneria. Susie dovrà scoprire la verità, sullo sfondo di una Berlino cupa e caotica a causa delle scorribande della RAF.

Se c'è una dote che non manca a Luca Guadagnino, questa è indubbiamente il coraggio: scegliere di confrontarsi con un film di culto come il Suspiria originale di Dario Argento, pietra miliare del genere horror e della cinematografia del regista romano, è infatti un'impresa che farebbe tremare le gambe anche a cineasti più esperti del cremonese. Guadagnino affronta quest'opera ai limiti del titanico scegliendo una visione completamente diversa da quella del film originale, facendo così del suo film un omaggio più che un remake.

Guadagnino di fatto mantiene soltanto l'impianto centrale della storia - la scuola di danza che serve da copertura per una congrega di streghe. Per il resto il distacco è totale: laddove il film di Argento è un horror a tutti gli effetti, quello di Guadagnino è un ibrido che racconta l'orrore attraverso generi e piani di lettura diversi. All'orrore nascosto nella scuola di danza si accompagna anche l'orrore dei crimini del Nazismo, un fuoco solo apparentemente sopito ma che brucia ancora sotto le ceneri in forma di senso di colpa e tensione sociale. In una Berlino che ha un deciso debito visivo con i film di Fassbinder, la storia di Susie si incrocia in molteplici modi con quella della Germania del 1977, una nazione che sta ancora facendo i conti con il proprio passato, qui incarnato dallo psicoterapeuta tormentato, e che si trova sull'orlo di una guerra civile e, forse, di una nuova deriva autoritaria a seguito delle scorribande della Rote Armee Fraktion, con cui sembra collaborare la studentessa scomparsa Patricia. 

Guadagnino osserva la presa di coscienza di Susie e della Germania con occhio contemplativo, interessato più agli effetti del potere sulla personalità che all'aspetto gore che interessava Argento: il film è infarcito di riuscitissimi momenti di body horror degni del miglior Cronenberg, che svolgono però una funzione più introspettiva che spettacolare. Ciò che interessa non è l'effetto, ma la causa, ovvero la presa di coscienza di Susie del proprio potere e del suo ruolo all'interno della congrega e nel mondo, nonché le scelte che compie nel suo percorso di crescita. La splendida fotografia di Sayombhu Mukdeeprom si concentra così sulla creazione di atmosfere non terrificanti o "goticheggianti", ma claustrofobiche. La scuola diviene quindi un tunnel labirintico in cui ai colori saturi degli ambienti si contrappone il rosso fiammeggiante degli abiti di scena e dei capelli di Susie, pura iniezione di colore ed energia in un microcosmo ingessato, all'interno del quale si muovono delle streghe mai così decadenti, vecchie cariatidi destinate all'estinzione, invidiose e avide predatrici della forza vitale della gioventù.


La storia di Susie e la Storia della Germania si incrociano a livello non solo narrativo, ma anche meta-narrativo, con la congrega di streghe che sta anch'essa vivendo un dissidio interno con un rischio di dittatura. Questo complesso incastro narrativo orchestrato dallo sceneggiatore David Kajganich funziona solo in parte: per quanto evocativo e suggestivo, infatti, finisce spesso per appesantire il film, oberandolo di digressioni e lungaggini che rallentano il ritmo senza aumentarne la profondità della riflessione. La storia è comunque coinvolgente, anche se ha un crollo deciso nel finale, dove i punti misteriosi della trama cessano di essere interessanti per diventare semplicemente assurdi, con elementi in palese contraddizione palese tra loro (i flashback sull'infanzia di Susie e ciò che suggeriscono cozzano con la sua scelta finale, ad esempio), finendo addirittura per negare alcuni dei messaggi centrali del film su emancipazione e significato del potere. La regia, fin lì solidissima e di alto livello artistico, purtroppo segue il calo narrativo con una scelta cromatica oltremodo scontata e con delle scelte di trucco indegne di comparire in una puntata del Bagaglino, finendo così per depotenziare una coreografia splendida e immaginifica.

Tilda Swinton, impegnata addirittura in tre ruoli,le ruba la scena nella parte di Madame Blanc, oltremondana ma carismatica come la parte richiede. Il fatto che indossi anche i panni dello psicoanalista (seppur utilizzando uno pseudonimo) risulta più una curiosità che altro, dato che non serviva certo questo espediente per convincere il pubblico delle grandi doti dell'attrice-feticcio di Guadagnino. Dakota Johnson, pur alla sua miglior prova su schermo, risulta comunque poco più espressiva degli elementi di arredo, e in generale del tutto inadatta a sorreggere un film di tale ambizione sulle sue spalle. 
Tra i punti deboli del film vanno a malincuore citate anche le musiche di Tom Yorke, coraggiose ma poco incisive, che finiscono nel dimenticatoio non appena usciti dalla sala: il confronto con le musiche che i Goblin composero per l'originale è quasi impietoso.

Suspiria non è un horror in senso stretto e crea ben pochi spaventi, ed è per questo destinato a scontentare i fan dell'originale che se ne aspettavano una copia carbone. Chi saprà andare oltre alle differenze troverà un film quasi seducente nella sua esplorazione del Male e degli orrori del potere, del passato, e della Storia, baciato da una regia solida e da un comparto visivo sontuoso; un film che paga però una sceneggiatura che poteva essere intrigante ma finisce per essere semplicemente sgangherata a causa di una coda poco riuscita e delle numerose e inutili lungaggini, che rendono il risultato finale poco coerente e ne riducono quindi l'impatto emotivo e la portata esegetica e artistica.

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Pier

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