giovedì 6 aprile 2023

John Wick 4

Once more, with feeling


Dopo aver rischiato la morte nell'ultimo capitolo, John Wick si è rimesso in forze, protetto dal Re della Bowery, ed è pronto a vendicarsi della Gran Tavola. Sulla sua strada, il Marchese de Gramont, incaricato dalla Tavola di sbarazzarsi di John una volta per tutte. Tra New York, Osaka, Berlino, e Parigi, John dovrà combattere nemici vecchi e nuovi, e persino un vecchio amico, l'assassino cieco Caine.

Prima di scrivere la recensione di questo quarto capitolo della saga di John Wick, ho riletto la recensione che avevo scritto per il terzo capitolo, e per un attimo ho avuto la sensazione di scrivere semplicemente: "rileggete quella, dice già tutto." E, in parte, è così. 

Alcuni elementi che decretano il successo del quarto film sono gli stessi del terzo, e dell'intera saga: un world building eseguito alla perfezione, con società segrete mosse da regole chiare e comprensibili, personaggi ben costruiti e con motivazioni chiare anche se compaiono in scena per pochi minuti, set e ambientazioni ricche, suggestive, evocative. Non è un caso che John Wick sia, insieme alla saga di Avatar (ma con un decimo del budget) l'unico franchise del tutto originale (cioè non basato su opere pre-esistenti) e di successo di questi vent'anni fatti di adattamenti, reboot, sequel, e prequel.

Un altro merito della saga è quello di aver dato spazio a grandissimi attori/artisti marziali quasi del tutto sconosciuti al grande pubblico: questa volta abbiamo due leggende come Donnie Yen (ci torniamo) e Hiroyuki Sanada, oltre a Scott Adkins (meraviglioso e irriconoscibile) e Marko Zaror, ma nei capitoli precedenti hanno fatto capolino tantissimi nomi noti solo agli appassionati del genere.

In cosa, dunque, questo capitolo si distingue dai precedenti? Sicuramente nel budget, che permette scene d'azione ancora più spettacolari, tra hotel futuristici e combattimenti a Parigi in mezzo al traffico o sulle scale che portano al Sacro Cuore. Ciò che spicca, tuttavia, è il cuore: John Wick 4 è un film che punta sulle relazioni. Certo, le botte da orbi la fanno da padrone (e per fortuna), ma al centro di tutto ci sono i rapporti umani: quello tra John e la moglie defunta, ovviamente, ma anche quello di Winston con il suo concierge ("Un amico"); quello di Caine (Donnie Yen) con la figlia, ma anche quello di Shimazu, il gestore del Continental di Osaka, con la sua, Akira, e quello di Tracker (un ottimo Shamier Anderson) con il suo cane; e, infine, i rapporti di amicizia tra tutti gli assassini, rapporti decennali, fatti di debiti di gratitudine che devono essere saldati.

Non è un caso che, accanto ai vari generi da sempre ibridati dalla saga, in questo capitolo faccia capolino il western, il duello d'onore che permea tutta la seconda parte del film e prende controllo dello splendido, intensissimo finale. Questi rapporti sono il cuore della Società degli Assassini per chi ne fa parte, e sono l'antitesi della visione del mondo del villain di turno, il Marchese de Gramont affidato a un Bill Skarsgard che gli conferisce l'adeguato mix di crudeltà e immaturità - un bambino geniale in un mondo di adulti legati a un codice d'onore che non può e non vuole comprendere.

Chad Stahelski realizza un capitolo ricco di cuore, in cui i personaggi e le loro motivazioni non vengono sacrificati sull'altare dello spettacolo. E che spettacolo, signori! Ogni singola scena di combattimento è un piccolo gioiello, e Stahelski si permette persino una citazione de I guerrieri della notte da brividi per quanto è azzeccata e centrata in quel contesto: non male per quello che fino a qualche anno fa era "solo" un coordinatore degli stunt.

Nulla di tutto questo, ovviamente, sarebbe stato possibile senza Keanu Reeves: il suo impegno nel ruolo è encomiabile, e il fatto che non sia un artista marziale finisce per diventare parte integrante della sua dolente performance. La sua fatica, la sua pesantezza nei movimenti e la sua sofferenza sono visibili, reali, e rendono credibile ogni ferita e ogni livido. Il suo John è la versione "assassino" dello Straniero Senza Nome di Clint Eastwood: di poche parole, acciaccato, stravolto, ma inarrestabile nel suo cammino. Accanto a lui giganteggia Donnie Yen, che si muove con una leggerezza sconosciuta ai comuni mortali e interpreta il suo Caine, assassino cieco dal cuore d'oro, con un'ironia e una padronanza dell'uso del corpo che sono una conferma per chi già ne conosceva il talento attoriale, e una rivelazione per chi lo scoprirà qui.

John Wick 4 rimane un film non per tutti: se non vi piacciono i film d'azione, resterà un boccone indigesto, perché l'azione è ancora padrona assoluta della scena. Tuttavia, rispetto ai precedenti, aggiunge un tocco di intimismo che non solo non stona, ma alza efficacemente la posta in gioco, conferendo significato e senso narrativo ai pestaggi che costellano la quasi totalità del film. Nel farlo, dona al film uno spessore che i suoi predecessori (salvo forse il primo capitolo) non avevano, rendendolo decisamente più appetibile per palati che non fremono per il cinema di genere. Chahelski, insomma, riesce a emozionarci, facendoci tifare per più personaggi allo stesso tempo, soffrendo e gioendo con loro dei vari colpi di scena: per una saga iniziata con una premessa da film di serie C, poteva decisamente andare peggio.

*****

Pier

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